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Ambasciatori dall'Iraq

03.11.2009    Da Ankara, scrive Alberto Tetta

(Foto Kurdistan, Flickr)
Un gruppo di guerriglieri kurdi entra in Turchia dal nord dell'Iraq per sostenere la road map di Öcalan e dare forza al processo di pace. La trattativa con le autorità, le reazioni a Diyarbakır e la posizione dell'opinione pubblica turca. Il dialogo possibile
Dopo la firma, il 10 ottobre a Zurigo, dei protocolli sulla normalizzazione delle relazioni diplomatiche con l'Armenia, anche la questione kurda è tornata con forza al centro del dibattito politico in Turchia.

Il ministro degli Interni, Beşir Atalay, aveva concluso il suo giro di consultazioni sulla questione con i partiti politici e le organizzazioni della società civile quando Abdullah Öcalan, il 20 agosto scorso, aveva dato credibilità al processo dichiarando che anche il PKK [Partito dei Lavoratori del Kurdistan, ndr] era disposto a dialogare.

Due mesi dopo quello storico annuncio è di nuovo un'iniziativa del leader del PKK a riportare la questione kurda al centro del dibattito. Il 9 ottobre infatti Öcalan, tramite i suoi avvocati, ha ordinato al PKK di inviare due “gruppi di pace”, composti da militanti dell'organizzazione armata, come “ambasciatori della causa kurda in Turchia”.

Al valico di Hubur

Il primo dei due gruppi è arrivato in Turchia attraversando il posto di confine turco-iracheno di Hubur, nei pressi di Silopi, il 19 ottobre. Questa prima delegazione proveniva dal campo profughi kurdo di Mahmur, nel nord dell'Iraq, ed era composta da ventisei persone, nove delle quali militanti del gruppo armato e diciassette loro famigliari. Secondo diversi commentatori, il ritorno in Turchia dei militanti kurdi sarebbe un chiaro segnale da parte di Öcalan che il PKK è davvero pronto al disarmo.

I membri del primo “gruppo di pace”, dopo aver attraversato il confine, sono stati interrogati da quattro pubblici ministeri del Tribunale di Diyarbakır, per poi essere rilasciati solo in tarda nottata. Come rivelato dal quotidiano Taraf, mentre gli ex guerriglieri e i loro famigliari venivano interrogati era in corso una trattativa tra il leader del Partito della Società Democratica (DTP) Ahmet Türk e i vertici della polizia. Il ministro degli Interni Atalay aveva dichiarato che, se i militanti avessero reso pubblico il comunicato con le rivendicazioni del PKK che portavano con sé, sarebbero stati incriminati per “propaganda terrorista” e arrestati. A tarda notte l'accordo. Il comunicato non sarebbe stato consegnato ai giornalisti, ma ai giudici, che poi si sarebbero fatti carico di far arrivare il documento al governo.

Secondo l'agenzia di stampa kurda Fırat, nel comunicato il PKK detterebbe le pre-condizioni necessarie al disarmo. Tra queste, rendere nota all'opinione pubblica la road map redatta da Öcalan e consegnata alle guardie carcerarie a fine agosto, sospendere le operazioni militari contro il PKK in Turchia e nell'Iraq del nord e modificare gli articoli della Costituzione discriminatori nei confronti delle minoranze etniche.

Il secondo gruppo, invece, composto da militanti del PKK che ora si trovano in Europa, dovrebbe raggiungere la Turchia nelle prossime settimane, ma non è ancora chiaro se il governo turco gli permetterà di entrare nel Paese o li respingerà alla frontiera.

Ma gli ex militanti arrivati in Turchia sono da considerare “ambasciatori di pace” o semplicemente guerriglieri che si arrendono all'esercito? Senza dubbio nel sud est a maggioranza kurda gli ex-combattenti sono considerati eroi che hanno deciso di rischiare l'arresto e il carcere per dare forza al processo di pace. Le immagini delle manifestazioni organizzate a Diyarbakır e nelle altre città a maggioranza kurda il 20 ottobre, per festeggiare il passaggio del “gruppo per la pace”, hanno fatto il giro del Paese irritando molto l'opinione pubblica turca che, sebbene sia favorevole alle trattative, continua a considerare i militanti del PKK dei terroristi e non certo degli eroi.

Il presidente della Repubblica Gül, che poco dopo l'arrivo in Turchia della delegazione kurda aveva detto a caldo ai giornalisti: “Mi pare proprio una buona notizia, non trovate?”, dopo le manifestazioni di Diyarbakır ha cambiato bruscamente registro accusando il DTP di pregiudicare il processo di pace spettacolarizzando l'arrivo degli ex-guerriglieri.

La pace bloccata

Ahmet Türk, segretario del partito kurdo, ha risposto alle critiche il 21 ottobre durante un comizio ad Ankara, dichiarando che se non fosse stato per il DTP “sarebbero state centinaia di migliaia e non decine di migliaia le persone che hanno preso parte alle manifestazioni per accogliere i guerriglieri kurdi”, e ha aggiunto: “La pace è bella, la pace è un valore, la pace è sacra, ma non prendiamoci in giro. Non lottiamo per divenire degli eroi. Lottiamo per una pace giusta. In questa lotta non ci sono vincitori o vinti. E' la pace a trionfare”.

A parte le critiche al DTP, il governo non ha annunciato quali sono i provvedimenti che assumerà per fare sì che il processo di pace prosegua. Prima del 19 ottobre in Turchia si è parlato quasi esclusivamente dell'incontro tra Erdoğan e Baykal, leader dell'opposizione e segretario del Partito Repubblicano del Popolo (CHP), che prima aveva rifiutato l'invito del Primo ministro per poi accettare, ma solo a condizione che l'incontro venisse ripreso dalle telecamere. A quel punto era stato Erdoğan a dare forfait.

Il processo di pace sta quindi attraversando un momento di stallo che neanche l'iniziativa di Öcalan è riuscito a sbloccare. Per la maggioranza dei turchi trovare una soluzione al conflitto con i kurdi rimane, per ora, solo una questione d'immagine, funzionale al processo di adesione della Turchia all'UE. Sebbene il governo stia spingendo per un'inversione di tendenza rispetto alla retorica del nemico che ha coinvolto kurdi e turchi per decenni, questi ultimi sono ben lontani dall'aver accantonato i fantasmi del passato e, più che sostenere attivamente il dialogo inaugurato da Erdogan, non vi si oppongono.

Il governo, però, deve dimostrare al più presto ai kurdi che credono nel dialogo che sta dalla loro parte convincendo, allo stesso tempo, l'opinione pubblica turca che la pace è necessaria. Questo deve avvenire prima del 10 novembre, quando il ministro degli Interni Atalay riferirà in parlamento sui progressi nelle trattative coi kurdi. Se questo non avverrà, è molto probabile che il sanguinoso conflitto che in Turchia ha causato più di 40.000 morti negli ultimi venticinque anni sia destinato a continuare.
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