Le violenze al Queer Festival di Sarajevo e il fenomeno wahabita in Bosnia Erzegovina. Il tempo della religione e il tempo dello Stato, intervista con la sociologa Nada Ler-Sofronić
Di: Cecilia Ferrara e Valentina Pellizzer
Sono due settimane ormai che si è svolta la prima e unica serata del Queer Sarajevo Festival, ma ancora gli organizzatori vivono sotto scorta e nascosti. L'evento era il primo di questo genere (arte cultura e dibattiti sui temi LGBT) in Bosnia Erzegovina, ed aveva suscitato forti polemiche per la contemporaneità con il Ramadan, mese sacro dei musulmani, attirandosi sia polemiche pubbliche che minacce anonime molto serie. La sera d'apertura, il festival è stato attaccato da gruppi di hooligans e di wahabiti che hanno braccato i partecipanti nelle strade adiacenti al luogo in cui si svolgeva la mostra, li hanno inseguiti anche in zone lontane della città, tirati fuori dai taxi e picchiati. Quindici persone sono state fisicamente attaccate e altre minacciate quella notte. Il festival è stato chiuso al pubblico e sospeso perché la polizia non poteva garantire la sicurezza.
La Bosnia Erzegovina, come gli altri paesi della regione, non è certo
gay friendly considerato che da appena una decina d'anni l'omosessualità ha cessato di essere reato. In Bosnia esiste un'unica associazione per la promozione dei diritti dei gay, l'
Associazione Q, promotrice del QSF, che organizza una volta al mese una festa gay alla quale si può accedere se invitati via sms e mostrando la carta d'identità. E certo tutti si aspettavano contestazioni, avendo anche in mente la gay parade del 2001 a Belgrado dove i partecipanti furono attaccati da centinaia di hooligans, ma anche le gay parade di Zagabria che si tengono ogni anno solo blindate da cordoni di polizia.
Quella che forse non era attesa è stata la prova di forza dei wahabiti. Un gruppo di uomini, una cinquantina, con il tipico aspetto dei radicali islamici, sono riusciti ad arrivare dove gli hooligan non erano arrivati: di fronte all'entrata dell'Accademia delle Belle Arti, dove si teneva la serata di apertura. Davanti ad una polizia molto inerte hanno insultato e gridato contro i partecipanti al Queer Festival, hanno provato ad entrare e alla fine, sempre sotto gli occhi della polizia, hanno attaccato fisicamente delle ragazze appena uscite dall'Accademia.
Il giorno dopo uno dei settimanali di Sarajevo è uscito con la foto degli uomini barbuti che spingevano per entrare al QSF ed il titolo “Taliban Sarajevo?”.
Nada Ler-Sofronić, sociologa e direttrice del centro “Donna e società” di Sarajevo, da tempo studia il fenomeno del wahabismo in Bosnia Erzegovina, portato dai combattenti stranieri di paesi musulmani che hanno combattuto al fianco o integrati nell'esercito di Alija Izetbegović nella guerra degli anni '90. La teoria della sociologa sarajevese è che il fondamentalismo islamico altro non sia che una forma di fascismo che in Bosnia Erzegovina sta pericolosamente avanzando. “Magari non si vede in centro – dice la Sofronić – dove con tutte le ragazze in minigonna è impossibile pensare ad una Sarajevo integralista, ma in periferia il cambiamento è molto più visibile”.
Cosa è cambiato con gli eventi del Queer Festival?
Nada Ler-Sofronić
Il Queer Festival è entrato suo malgrado nella lunga storia delle relazioni tra le forze retrograde e i valori civili di una società fortemente in tensione come quella bosniaca. Qui non si tratta di atti di gruppi di estremisti, hooligans tifosi di qualche squadra di calcio, ne' di isolati, esotici e impazziti wahabi. In questo caso non ci troviamo a trattare con un problema che riguarda la fede, ma siamo di fronte alla forza di un fenomeno sociopolitico. Qui stiamo parlando di totalitarismo. Questo è un movimento sempre più di massa con un progetto molto chiaro: quello di formare uno stato teocratico che non prende in considerazione i valori laici e tende ad annientare tutti gli elementi dello stato liberale. Ancor meno si tratta di un movimento spirituale o religioso, come viene considerato il wahabismo. In realtà è uno strumento per raggiungere degli obiettivi politici.
Perché è stato attaccato proprio il Queer Festival?
Questo movimento vuole in maniera violenta escludere e chiudere tutti quegli sguardi verso la società e verso il mondo diversi da quelli di una comunità unica, che deve avere un solo tipo di visione. Per questo è necessario portare avanti il primato di un'unica e di una “vera” fede, mentre tutti gli altri gruppi minoritari vengono denunciati come responsabili della crisi in atto. Quando parliamo della popolazione queer è facile trovare un generale consenso, tutti li odiano. I discorsi che abbiamo sentito prima degli attacchi fascisti utilizzavano tutti gli stereotipi e i pregiudizi per chiamare al linciaggio. Le autorità hanno taciuto e anche il cittadino medio non ha sentito particolare fastidio riguardo ai contenuti dei manifesti antigay con cui è stata tappezzata Sarajevo. Questa estrema omofobia è emersa nella forma di un terrore nudo, organizzato e brutale. Quello che è stato utilizzato è un tipico sistema fascista di violenza perpetrato verso chi è più debole, verso coloro che sono sospetti e quelli che ne difendono i diritti. E considerate le pistole e i coltelli che sono apparsi durante quella notte, non è detto che non fossero pronti ad uccidere.
Come si sono comportate le autorità civili e quelle religiose?
Le istituzioni statali hanno rappresentato un terreno fertile per quest'azione violenta, offrendo una resistenza minima o nulla. Le autorità religiose hanno assecondato [questa iniziativa] attraverso dichiarazioni sul male che queste persone [i queer, ndr] rappresentano per la società e per la fede. Esiste inoltre una tendenza alla de-secolarizzazione, per cui sembra normale che una manifestazione si debba adeguare ad un calendario religioso. Questa tendenza ha dato forza a chi attaccava.
Come si sono comportate invece la comunità internazionale, le forze democratiche e la cosiddetta sinistra?
La presenza delle forze internazionali in Bosnia Erzegovina è già drasticamente diminuita. Gli spazi per non essere d'accordo sono praticamente invisibili e molto fragili. La politica della sinistra social democratica è, dal canto suo, intrisa di populismo e di opportunismo. La sinistra non ha alcuna strategia ne' a livello globale, ne' a livello locale, e quello che è ancora peggio non ha una base sociale, non ha una massa critica che si opponga alla delaicizzazione del mondo e alla sua fascistizzazione. Il mondo progressista e' completamente scomparso.
Esiste pero' una società civile e un movimento di cittadini che resiste...
Io faccio parte di questo movimento, ne conosco le forze e le debolezze. Siamo stati giorni e giorni per le strade a protestare contro la violenza, l'inerzia del governo e la corruzione. Questa è una cosa buona perché il mondo ha visto il volto civico di Sarajevo. Non è successo niente di spettacolare, ma l'energia utopistica di questo movimento stava iniziando a farsi sentire. Penso che la violenza sugli attivisti e le persone che erano intorno al Queer Festival, che rimarrà nella memoria come la notte dei cristalli di Sarajevo, sia stato effettivamente un messaggio allo Stato e alla gente: così succederà a tutti quelli che penseranno in futuro di uscire per le strade e di ribellarsi.