È stata una caccia alle streghe, o meglio una caccia al “diverso”. Il primo festival queer di Sarajevo è finito prima ancora di iniziare, con 15 persone ferite e minacciate da bande di hooligans e di wahabiti. E Iggy Pop sospende la data del concerto di Sarajevo
È finito con 15 persone ferite, attaccate in varie parti della città ed altre minacciate, il primo Queer Sarajevo Festival (QSF), organizzato dall’associazione “Q” che si sarebbe dovuto svolgere tra il 24 e il 29 settembre. L’evento era considerato ad alto rischio, a causa dei durissimi attacchi arrivati dai media e da rappresentanti politici e religiosi e delle numerose minacce di morte che hanno colpito i rappresentanti dell’associazione e i sostenitori del festival. La notte dell’apertura, persone che avevano partecipato al Festival sono state inseguite da gruppi di hooligans e di estremisti islamici e picchiate, otto di queste sono finite all’ospedale, il più grave un cittadino danese, ospite del QSF, finito con alcune costole rotte e tenuto sotto protezione nei giorni successivi.
Il giorno dopo quella che è stata chiamata da alcuni media “la notte dei cristalli di Sarajevo”, l’associazione “Q” aveva annunciato la continuazione del festival, ma a porte chiuse. “Continueremo il festival fino a fine 2008 – avevano detto le organizzatrici Svetlana Djurković e Boba Dekić – Da oggi in poi ogni giorno ci sarà qualche evento queer. Persone così primitive come quelle che hanno portato avanti gli attacchi del 24 settembre non possono vincere”. Gli eventi sarebbero stati riprogrammati e la comunità gay e gay friendly di Sarajevo avvertita via sms.
Purtroppo gli sms sono arrivati, ma per annunciare che non ci sarebbe più stato niente. Il venerdì e il sabato le minacce si sono moltiplicate e aggravate: un video su You Tube, poi oscurato, con una musica islamica di sottofondo, mostrava la figura stilizzata del poster del Queer Festival a cui veniva tagliata la testa le parole minacciavano Svetlana Djurković, presidente di "Q".
Decise fino a domenica scorsa ad andarsene dalla Bosnia Erzegovina per la propria sicurezza, Boba Dekić e Svetlana Djurković hanno deciso di reagire e di fare lobbing contro questo clima di paura diretto per ora solo verso gli attivisti gay, ma che domani potrebbe colpire chiunque. La mancanza di sicurezza che si respira nella capitale bosniaca e lo scarso rispetto dei diritti umani ha impressionato perfino gli organizzatori del concerto di Iggy Pop, fissato per il primo ottobre, che oggi hanno annunciato la cancellazione della data anche a causa di quello che è successo al QSF.
“Per me il 24 settembre diventerà una data che ha cambiato la mia percezione di Sarajevo – dice Valentina che vive da molti anni a Sarajevo – Adesso questa città mi fa molta più paura, mi sento un bersaglio perché sono stata all’inaugurazione e perché potrei sembrare tranquillamente queer. Questa finta pace rende molto più pericoloso vivere per chi è fuori da quello che per gli sciovinisti di questo paese viene considerata la “norma”. Questo giorno per me è anche la scoperta di una Sarajevo piena di omertà che si gira dall’altra parte quando fatti così gravi avvengono”.
Ma cosa è successo il 24 settembre?
Il 24 settembre era il giorno dell’inaugurazione del primo Queer Sarajevo Festival, evento culturale della comunità LGBIT della Bosnia Erzegovina, arrivato dopo settimane di tensioni, attacchi e minacce, acuite dal fatto che il Festival si svolgeva durante il Ramadan. Amnesty International, preoccupata delle minacce che si sono susseguite, aveva fatto un appello alle autorità della Bosnia Erzegovina affinché si potesse svolgere il festival nella sicurezza di tutti.
Il giorno dell’apertura sono apparsi ovunque in città manifesti deliranti in cui si parlava dell’omosessualità come perversione, comportamento contro natura, di una malattia che porta le persone ad un livello inferiore a quello degli animali. Alle cinque dello stesso giorno sono stati chiamati attraverso internet “gli uomini di buona volontà” a manifestare contro il Queer Festival nella centrale piazza Alja Izetbegović. All’appuntamento erano molti più i giornalisti di manifestanti, gli unici che si sono presentati erano hooligans e wahabiti.
L’apertura si è tenuta all’Accademia delle Belle Arti alle otto di sera. Tra i 2 e i 300 i partecipanti alla serata. All’interno della grande sala, dove era esposta la mostra “Na strani” con ritratti delle venti persone della BiH che hanno scelto di fare
coming out, si respirava aria di vittoria e di sollievo insieme. Ma è durato poco.
Fuori i tifosi hanno iniziato subito a fare delle “passeggiate” di fronte all’Accademia e poi si sono posizionati dall’altra parte della Miljiačka, il fiume di Sarajevo, urlando insulti e minacce. Invece di fronte all’entrata sono arrivati degli estremisti islamici, i cosiddetti wahabiti, e altri provocatori che cercavano di entrare urlando e insultando. “La polizia non ha fatto entrare i wahabiti, ma per il resto non si è comportata in maniera professionale”, dice Irfan Redzović l’autore della mostra fotografica. È stata evidente in effetti la riluttanza e la difficoltà della polizia a fare interposizione con chi stava uscendo dalla mostra tanto che alcune persone, fra le quali chi scrive, sono state attaccate con calci e pugni con precisione e violenza ben pianificate.
Nelle strade laterali invece sono state seguite le persone che si allontanavano e le hanno attaccate a distanza di sicurezza dalla polizia, altre sono state inseguite in macchina fino alla periferia della città. Il regista Predrag Kojović e il giornalista Emir Imamović sono stati presi poco lontano dall’apertura e picchiati da alcuni wahabiti. Haris Ćupina, ragazzo di Mostar che aveva posato per la mostra con la bandiera queer avvolta intorno al corpo, è stato preso assieme ad alcuni amici a Hrasno ed è finito con il naso rotto all’ospedale.
In tutta la città la sensazione era quella di un assedio. Denis non era andato al QSF, ma era in un caffè del centro:“Quando siamo usciti abbiamo visto questi due gruppi di tifosi, ragazzi giovani con le felpe con i cappucci, che confabulavano. Appena ci hanno visto si sono zittiti, io d’istinto ho preso la mano della mia ragazza e allora li ho sentiti dire ‘ah ok non sono gay’”. Un ragazzo italiano è stato seguito e minacciato da alcuni wahabiti alcune ore dopo gli eventi principali, in pieno centro.
Il giorno dopo sono state numerose le reazioni da parte della società civile e di alcuni partiti.
Srđan Dizdarević, presidente dell’Helsinki Committee in BiH, ha parlato di retorica fascista che ha accompagnato gli eventi di violenza del 24 settembre. Dino Mustafić direttore del Mess, il principale festival di teatro di Sarajevo, ha lanciato un appello ai cittadini ad alzare la propria voce contro chi ha attaccato la libertà di espressione. Tra i partiti si sono schierati con posizioni forti in difesa dei diritti umani, il partito Liberal Democratico (LDS) e il partito di Danis Tanović Naša Stranka (“il nostro partito”), più sfumata la posizione dei social democratici (SDP). Anche le organizzazioni internazionali e le ambasciate hanno emesso comunicati stampa di condanna e di preoccupazione. Rimane invece assordante il silenzio di due dei maggiori partiti di ispirazione musulmana come l’SDA di Sulejman Tihić e il “Partito per la BiH” di Haris Silajdžić che non si sono voluti impegnare a pochi giorni dall’importante tornata elettorale delle amministrative del prossimo 5 ottobre.