Slovenia verso il nuovo governo
16.10.2008
Da Capodistria,
scrive Stefano Lusa
Borut Pahor
Messe le elezioni politiche alle spalle i tre partiti di centro-sinistra cercano alleati per governare. Il premier uscente Jansa accetta la sconfitta ma resta aperto ad un'eventuale ''grosse koalition''. Eletto intanto il presidente del parlamento
Le ultime elezioni politiche in Slovenia hanno tracciato un quadro chiaro, ma non del tutto limpido. I tre partiti di centrosinistra (Socialdemocratici, Zares e Democrazia liberale) non hanno la maggioranza necessaria per governare da soli e sono stati costretti a cercare alleati. Il primo a farsi avanti è stato il partito dei pensionati (Desus). Già la sera del voto, quando non era nemmeno chiaro chi avrebbe vinto le elezioni, il presidente della compagine, Karel Erjavec, aveva espresso la sua disponibilità ad entrare nel futuro governo, ovviamente in cambio di privilegi per i pensionati e di poltrone. Del resto il Desus, dopo essere stato al governo con il centrosinistra, nel 2004, è rimasto nell’esecutivo con il centrodestra e la mossa, almeno dal punto di vista elettorale, sembra aver pagato.
Il futuro premier, nonché leader socialdemocratico, Borut Pahor, fino all’ultimo ha sperato di poter allargare la maggioranza ai Popolari. Questi ultimi, però, dopo la batosta elettorale, con qualche dubbio hanno deciso di rimanere all’opposizione. Era dal 1996 che erano ininterrottamente al governo con compagini di vario colore.
La presenza dei Popolari avrebbe permesso a Pahor di governare con più tranquillità e non dovere, quindi, cercare sempre il consenso tra tutte le formazioni di governo per avere la maggioranza in parlamento. Pahor ora dovrà fare i conti con alleati che potrebbero risultare alla lunga scomodi.
La sua prima mossa è stata quella di offrire la presidenza del parlamento ai suoi amici di Zares. La nuova formazione politica, nata alcuni anni fa dopo una profonda crisi all’interno della Democrazia liberale, era apparsa la più critica all’indirizzo della politica del governo guidato da Janez Janša. La stessa radicalità di alcuni suoi esponenti però sembra cozzare con la filosofia delle “soluzioni consensuali” di cui da alcuni anni oramai va parlando Pahor.
Fedele a questa dottrina anche nel mandato precedente il leader socialdemocratico non ha rinunciato al dialogo con il governo Janša e proprio per questo non sono mancate critiche al suo indirizzo.
Il partito di Gregor Golobič e Franco Juri, sulle prime non si è dimostrato troppo entusiasta. Guidare il parlamento, infatti, significa avere meno peso nel governo. La quasi rinuncia di Zares ha immediatamente fatto nascere i primi screzi nella nuova probabile maggioranza. Subito si sono fatti sentire i pensionati, che avrebbero accettato volentieri l’incarico, ma nemmeno alla Democrazia liberale sarebbe dispiaciuto occupare quella poltrona. Alla fine Zares, però, ci ha ripensato. A coprire la seconda carica dello stato, però, non è andato leader del partito, Golobič, ma una figura di secondo piano. Si tratta di Pavel Gantar, che praticamente ininterrottamente tra il 1994 ed il 2004 è stato ministro nei gabinetti guidati dalla Democrazia liberale. Con la sua elezione, comunque, la futura maggioranza ha superato il primo ostacolo e ha dato prova di compattezza facendo eleggere immediatamente anche i tre vicepresidenti della camera.
Ora le forze politiche stanno discutendo del futuro accordo di coalizione. Il testo elaborato da Pahor sembra alquanto generico e i suoi futuri alleati non hanno fatto mancare richieste di integrazioni. Tutti, ovviamente, si premurano di precisare che non ci sono sostanziali differenze o problemi insormontabili.
Il futuro premier, intanto, spinge sull’acceleratore ed entro domenica vorrebbe avere la lista dei ministri. Dovrà innanzitutto trovare un’intesa con i pensionati che, forti del buon risultato elettorale, precisano di voler un ministro in più della Democrazia liberale. Karel Erjavec, però, vorrebbe soprattutto mantenere la poltrona di ministro della Difesa. Una concessione che né Pahor né i suoi alleati vorrebbero fare. Sulla sua riconferma pesa soprattutto lo scandalo delle presunte tangenti legate alla fornitura dei blindati finlandesi “Patria” all’esercito sloveno. Per lui, che alle scorse elezioni non è riuscito a farsi eleggere in parlamento, ci sarebbe comunque un altro ministero pronto, ma Erjavec non ha troppa voglia di accettarlo.
Sembra, intanto, che Pahor sia intenzionato a lasciare ai suoi alleati la scomoda poltrona di ministro degli Esteri, dove potrebbe andare o il leader di Zares, Gregor Golobič o quello della Democrazia liberale, Katarina Kresal. Quest’ultima si è presentata come un vero e proprio volto nuovo della politica slovena, ma è riuscita a salvare solo parzialmente un partito, che dopo aver governato dal 1992 al 2004 la Slovenia, sembrava destinato a dissolversi. Pahor, comunque, lasciando gli esteri ai suoi alleati si toglierebbe da un bel impiccio. Darebbe ai demoliberali o a Zares un ministero importante e d’altra parte scaricherebbe su di loro la responsabilità di risolvere questioni delicate e ad altissimo impatto emotivo, come quelle legate al contenzioso confinario con la Croazia.
I democratici del premier uscente Janez Janša intanto si preparano ad affrontare un mandato all’opposizione. Subito dopo il voto avevano parlato di irregolarità e parevano intenzionati a dar battaglia. Janša però quando ha capito che nemmeno facendo ripetere il voto in alcuni seggi avrebbe potuto ribaltare l’esito della consultazione ha accettato la sconfitta dimostrando così di possedere una dote su cui pochi avrebbero scommesso: quella di saper perdere.
I democratici del resto non hanno perso occasione di far notare che quattro anni fa, quando erano stati chiamati loro a formare il nuovo governo, avevano invitato tutte le formazioni politiche a farne parte, mentre questa volta non è successo. Pahor infatti non ha avviato contatti né con loro né con il Partito nazionale. Formazione quest’ultima populista dagli accenti xenofobi. In ogni modo una coalizione tra Democratici e Socialdemocratici, anche se improbabile, non è del tutto esclusa. Le due formazioni godrebbero difatti di un’ampia maggioranza in parlamento ed in un passato, anche recente, sia Pahor sia Janša, non hanno mancato di porre l'accento sulla necessità di larghe intese. L’ipotesi di un’alleanza potrebbe diventare reale se gli attuali alleati di Pahor dovessero tirare troppo la corda.
La futura opposizione, intanto, punta il dito sugli avvicendamenti che la nuova maggioranza sarebbe intenzionata a fare all’interno della pubblica amministrazione. C’è chi ipotizza che alle porte ci sarebbe un vero e proprio “tsunami”. Per ora però c’è solo una pioggia di nomine, quella che il governo uscente ha continuato a fare anche nella sua ultima riunione ordinaria.