Balcani Cooperazione Osservatorio Caucaso
mercoledì 07 settembre 2022 14:48

 

Fosse comuni

13.03.2009    Da Capodistria, scrive Stefano Lusa

Che in una miniera dismessa della Slovenia centro-orientale vi fosse una fossa comune risalente alla Seconda guerra mondiale lo si sapeva da tempo. Ora le riesumazioni e il dibattito nel paese su quel drammatico periodo
Una scena raccapricciante quella che si sono trovati davanti gli inquirenti dopo quasi sette mesi di scavi. Una catasta di corpi, in gran parte mummificati, ammassati in una galleria dismessa di una vecchia miniera nei pressi di Laško, nella Slovenia centro-orientale. “Non ho mai visto nulla di simile, nemmeno in un film. Terribile! Non potete nemmeno immaginare come, probabilmente, queste persone hanno sofferto”. Questo il commento del direttore dell’Istituto di medicina legale sloveno, Jože Balažič.

In tutto ci sarebbero 200-300 corpi, ma rimangono inesplorati ancora due pozzi dove, si presume, ci sarebbero altri cadaveri. Nella miniera, così, potrebbero aver trovato la morte addirittura un migliaio di persone. Si tratterebbe di militari collaborazionisti liquidati dal regime jugoslavo a guerra finita, tra la fine di maggio e l’inizio di giugno del 1945. Non è chiaro, però, se si tratta di unità slovene o croate, visto che le testimonianze per ora sono discordanti.

Gli uomini sarebbero stati portati vivi nella miniera. Lì, prima sarebbero stati fatti spogliare e poi sarebbero stati eliminati a colpi di spranga o con il gas. Da una sommaria analisi si notano crani sfondati, mentre sono state rinvenute poche tracce di ferite d’arma da fuoco. Quello che appare chiaro è che, comunque, non tutti sono morti subito. Una mano - ad esempio - stringe la protesi di una gamba di un compagno di sventura. Un altro scheletro è stato trovato nei pressi dell’ultimo muro, costruito per occultare la fossa. Accanto a lui una mazza di ferro con cui probabilmente, il poveretto, ha cercato di sfondare la parete.

Le autorità di allora si sono preoccupate di chiudere ogni possibile via d’accesso alla galleria. Anche, probabilmente, per non far sentire il fetore che proveniva da quella zona. Per arrivare ai primi corpi è stato necessario rimuovere circa ottanta metri di detriti e abbattere una serie di muri anche in cemento armato. Ciò dimostrerebbe palesemente che ci si rendeva conto esattamente di quello che era stato fatto e che la liquidazione di così tanti uomini non poteva certamente essere un motivo di vanto.

Che lì dietro ci fossero dei morti, comunque, lo si sapeva da parecchio tempo; tanto che già nel 1997, di fronte alla miniera, è stata costruita una cappella votiva per commemorarli. In Slovenia degli eccidi dell’immediato dopoguerra si iniziò a parlare negli anni Ottanta e sin dal 1991 si sta cercando di far luce su quelle vicende. Già allora iniziò un lento e travagliato processo di riconciliazione nazionale. Un’apposita commissione, in questi anni, ha evidenziato, in tutto il paese, quasi 600 fosse.

Il numero dei siti e quello delle vittime, ovviamente, non lascia dubbi sul fatto che fosse stata messa in atto un’azione preordinata e ben coordinata, che coinvolse, anche un buon numero di persone. All’epoca il paese si trovava nelle mani di un potere rivoluzionario, che attraverso la polizia esercitava una “giustizia” assolutamente arbitraria.

Gli abitanti del villaggio, che si trova nei pressi della miniera, da una parte esprimono il loro sconcerto, ma dall’altra sembrano parlare mal volentieri dell’accaduto. Del resto in tutta la Slovenia le esecuzioni sommarie dell’immediato dopoguerra sono ancora avvolte da un impenetrabile muro di gomma. La polizia sembra avere grosse difficoltà ad identificare gli autori di quegli eccidi. Gli inquirenti hanno persino pensato di invitare i responsabili a parlare per levarsi quel peso dalla coscienza.

In Slovenia, intanto, la questione è oramai da anni materia di dibattito e di polemica tra gli storici e soprattutto tra i politici. Di quelle vicende, però, c’è sempre più consapevolezza anche nell’opinione pubblica. Nel 2007 ad aggiudicarsi la palma della miglior produzione cinematografica slovena è stato il documentario “I bambini di Petriček” del regista di Miran Zupanič. Nella pellicola si narra la storia di 90 bambini internati in un orfanotrofio, dopo che i loro genitori erano stati liquidati, visto che erano considerati nemici del popolo.

L’organizzazione che raccoglie i reduci partigiani ha intanto condannato per l’ennesima volta quelle esecuzioni sommarie. Il suo presidente Janez Stanovnik ha cercato persino di scaricare tutte le responsabilità sull’“esercito jugoslavo”. Per l’altra parte, invece, la colpa di quegli eventi è dei partigiani comunisti sloveni. Ne è nata subito l’ennesima polemica con toni non molto dissimili da quelli che i contendenti avrebbero usato nel 1945.

Lo stesso clima si è registrato anche - qualche giorno prima del rinvenimento della fossa comune a Laško – a ridosso del confine italo- sloveno. Una delegazione dell’Unione degli istriani – l’organizzazione degli esuli giuliano dalmati che raccoglie il maggior numero di soci – avrebbe voluto deporre dei fiori su una fossa nei pressi di Lokev, una località del carso sloveno. Sono stati bloccati dagli abitanti locali, coadiuvati da “antifascisti” e “nazionalisti” sloveni accorsi in zona. Anche lì non sono mancate parole grosse. Alla fine la polizia ha fatto sciogliere le due manifestazioni.

In Slovenia l’iniziativa dell’Unione degli istriani è stata bollata come una provocazione e addirittura come una provocazione fascista. Ad ogni modo la contromanifestazione è riuscita a dare alla vicenda una pubblicità che una semplice deposizione di qualche fiore e la recita di qualche preghiera non avrebbe certamente avuto. Ora gli esponenti dell’Unione degli istriani giurano che ritorneranno a maggio. Staremo a vedere come andrà a finire.

La vicenda, comunque, ha avuto il merito di far parlare di un’altra fossa comune in Slovenia. In essa ci sarebbero, comunque, dei corpi, anche se per alcuni non si tratta di resti di italiani. Determinare l’esatto colore della divisa che vestivano le vittime, la lingua che parlavano o la tessera di partito che avevano, però, forse non è nemmeno la cosa più importante. Gli speleologi che sono scesi in quella fossa narrano dell’ennesima scena raccapricciante. Le ossa, infatti, sarebbero state coperte negli anni da rifiuti, nonostante si sapesse della probabile esistenza in quel luogo di una fossa comune: scatolame, prodotti di scarto della lavorazione del prosciutto e persino da conchiglie consumate in qualche ristorante locale. Sicuramente non si tratta un bel modo per seppellire dei morti.

Consulta l'archivio