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mercoledì 07 settembre 2022 15:03

 

Per un nuovo partenariato

25.03.2009    scrivono Christophe Solioz e Vedran Džihić

Il futuro della Bosnia Erzegovina sta nell'Unione Europea, non in un protettorato eterno. Il commento del Centro per le Strategie di Integrazione Europea alla nuova fase politica che si apre con la nomina di Valentin Inzko ad Alto Rappresentante
Traduzione per Osservatorio Balcani e Caucaso: Chiara Sighele

Vedran Džihić è direttore e Christophe Solioz segretario generale del Centro per le Strategie di Integrazione Europea

Questo testo viene pubblicato oggi contemporaneamente da Osservatorio Balcani e Caucaso e da Nezavisne Novine


Da qualche tempo la Bosnia Erzegovina si trova in profonda crisi. A Valentin Inzko, il diplomatico austriaco da poco nominato nuovo Alto Rappresentante della Comunità Internazionale, spetta l'incarico di gran lunga più difficile dall’inizio della sua carriera.

Il cambio al vertice dell'Ufficio dell'Alto Rappresentante (OHR) e del Rappresentante Speciale dell'Unione Europea (EUSR) deve portare a un riposizionamento, urgentemente necessario, della politica internazionale nei confronti della Bosnia. Il dilemma attuale si spiega in fretta: la posizione dell'OHR è divenuta sempre più debole e, da un punto di vista di realpolitik, i poteri di Bonn hanno fatto il loro tempo; contemporaneamente, la forza d’attrazione dell'Unione Europea è rimasta troppo blanda.

Una nuova strategia per la Bosnia

Già in occasione della prossima seduta del Consiglio di implementazione della pace (PIC), fissata per il 25 marzo 2009, Unione europea e Stati Uniti dovrebbero mettere in campo tutto il loro peso politico per un’iniziativa condivisa e transatlantica diretta a fermare la spirale di crisi in Bosnia. Tutti quei politici nazionalisti che bloccano il processo di riforma devono essere diffidati in modo netto dal proseguire il loro ostruzionismo e, se necessario, devono essere sanzionati attraverso l'impiego dei poteri di Bonn. Inoltre va affermato in maniera netta che la divisione della Bosnia deve essere esclusa come opzione politica.

Entro la fine del 2009 si dovrebbe determinare una struttura di doppi riferimenti con chiare scadenze temporali, in base alla quale misurare l'impegno verso le riforme da parte dei politici locali ma anche la coerenza e il procedere della comunità internazionale.

Il centro di questa politica deve essere la riforma della costituzione. È evidente che uno stato con 160 ministri e un’amministrazione elefantiaca e scarsamente efficiente non può sopravvivere. Il principio di un'amministrazione efficiente e il principio di sussidiarietà dovrebbero essere le colonne portanti della nuova costituzione, cui andrebbe affiancata una vigorosa ripresa del processo di integrazione europea. Solo uno stato bosniaco funzionale con un'amministrazione snella e trasparente e un bilancio solido può diventare anche membro dell'UE.

Oltre che sulla riforma della costituzione, fino alla fine del 2009 l'Alto Rappresentante dovrebbe concentrarsi anche sulla creazione delle condizioni per una efficiente transizione verso il Rappresentante Speciale dell'Unione Europea (EUSR). Con l’inizio del 2010, un EUSR più forte e sostenuto dagli USA dovrebbe avviare il passaggio definitivo dal protettorato a una Bosnia europea. Questo significa chiudere l'OHR a fine 2009.

L’urgente necessità di un nuovo partenariato tra la Bosnia e l'UE

La sola promessa dell'integrazione europea in termini vaghi e di lungo periodo non basta più come “fattore di spinta”. Occorre urgentemente un nuovo partenariato tra UE e Bosnia. Nella cornice di una tale partnership l'UE dovrebbe potenziare il suo impegno a favore dell'integrazione della Bosnia, legandolo a contributi concreti. I passi della riforma, cioè i “compiti” dei politici locali, vanno definiti e approntati assieme, la coerenza del loro operato va valutata a cadenza regolare e costante e in caso di ostruzionismo deve esserci un forte sanzionamento da parte dell'EUSR.

Gli incentivi europei potrebbero anche essere raccolti in un pacchetto per una “junior-membership” della Bosnia nell'UE. Questa particolare modalità di adesione – qualora le corrisponda un’adeguata volontà di riforma da parte degli attori locali – dovrebbe prevedere una veloce rimozione dell'obbligo di visto, l'ingresso nella zona dell'euro e la possibilità di un'agevolata partecipazione ai fondi strutturali. Un simile pacchetto approntato dall'UE – in cooperazione con gli USA e le istituzioni finanziarie internazionali – dovrebbe inoltre predisporre i mezzi per migliorare le infrastrutture e creare posti di lavoro. Ovviamente, in tale contesto va mantenuto un severo controllo sul rispetto delle condizionalità europee, la soddisfazione delle quali aprirà la via alla piena adesione.

Osservare passivamente può diventare pericoloso

In una delle prime dichiarazioni dopo la sua nomina a nuovo Alto Rappresentante, Inzko ha parlato di un “paese meraviglioso” e di un “paese di gente meravigliosa”. Purtroppo la guerra e il gioco sempre più nazionalista in corso da anni ad opera delle élites locali ha fatto di questo meraviglioso paese la terra delle occasioni (finora) perdute, nella quale molti dei suoi cittadini non credono più.

Anziché stare a guardare passivamente, il che potrebbe avere risvolti assai pericolosi per il paese, in Bosnia è davvero giunto il momento di annunciare con prontezza la prossima tappa europea e passare al contrattacco con passi concreti e misurabili in qualsiasi momento. In questo percorso i poteri di Bonn dell'Alto Rappresentante dovrebbero trasformarsi in creativi “smart powers”, una miscela di poteri di coercizione e capacità di persuasione del nuovo e forte Rappresentante europeo, attraverso i quali aiutare la Bosnia a passare velocemente dal protettorato all'adesione all'UE. Precondizione di ciò è che UE e USA nel prossimo futuro agiscano in accordo, con decisione e in modo appunto “brillante”, rafforzando la posizione di Valentin Inzko. Questo funzionario dispone della personalità, dell'intelligenza e dell'esperienza necessarie - e adatte al contesto — per lavorare assieme ai cittadini bosniaci, tanto ai politici quanto agli attori della società civile e dell'economia, per il risveglio della Bosnia dal sonno profondo, conducendola verso una normalità europea.
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