Dopo la vittoria della Coppa dei Campioni nel 1991 un continuo declino. E ora la Stella Rossa, squadra mito dell'ex Jugoslavia, rischia di sparire soffocata dai debiti. Calcio, affari e malavita nella nuova Serbia
La Serbia, dicono, è sorretta da 4 pilastri fondamentali: la chiesa ortodossa, l’Accademia della arti e delle scienze, il quotidiano Politika e la Stella Rossa, la Crvena Zvezda. Ora quest’ultimo pilastro sta per crollare. La Stella Rossa - squadra di Belgrado insieme al Partizan - campione d’Europa nel 1991, ha accumulato 20 milioni di euro di debiti in 4 anni e nessuno sa esattamente perché né come. “Eh non lo sanno neanche loro” mi dice un giornalista sportivo di una nota trasmissione di Belgrado che non vuole che il suo nome sia rivelato. Ma come è possibile che il Partizan ad esempio venda i suoi giocatori all’estero guadagnando un sacco di soldi e la Stella Rossa no ed anzi che sia perennemente in crisi, cambiando allenatore ogni tre mesi? (Fra questi anche, l’estate scorsa, Zdenek Zeman).
Dopo la sconfitta nel derby (Partizan-Crvena Zvezda 2-0) di tre settimane fa, i problemi dei biancorossi sono emersi prepotentemente. Il giocatore sloveno Simić viene buttato fuori di casa dal proprietario perché moroso sull’affitto, girano voci paradossali su giocatori che non avrebbero niente da mangiare; ed infine i due giocatori africani (il sudafricano Bernard Parker e il ganese Mohames Issah), che poco prima di Pasqua sono stati riacchiappati per un pelo all’aeroporto di Belgrado nel tentativo di prendere il primo aereo per casa. Anche se uno dei due smentirà più tardi di essersene mai voluto andare via tanto si trova bene alla Stella Rossa.
Tutto quello che si riesce ad ottenere in questo momento sono
rumors: si dice che in attesa della legge sullo sport che permetta la privatizzazione dei club di football, che a breve andrà in parlamento (adesso le società sono ong), qualcuno voglia far fallire la Crvenva Zvezda per comprarla per pochi soldi. Si parla del tycoon Miroslav Mišković proprietario della holding Delta che vorrebbe comprare lo stadio della Stella Rossa, il Maracanà (sì come quello di Rio de Janeiro) per farci uno shopping center. Il figlio di Miroslav Mišković, Marko è al momento reggente della squadra dopo che il presidente precedente Den Tana se ne è andato sotto la pressione, tra gli altri, del gruppo di tifosi del Delje nord che in una recente conferenza stampa hanno chiesto chiarezza sui conti della squadra. Anche un altro importante uomo d’affari serbo Filip Cepter vuole aiutare i biancorossi come sponsor. “Ma oggi il calcio non è un buon investimento – dice il corrispondente del settimanale “Vreme” Slobodan Georgijev – costa più il mantenimento del campo che l’effettivo guadagno. Allo stadio ci vanno in poche migliaia, i biglietti venduti non sono quindi un ritorno vero. Ma è anche per questo che i fans organizzati, i Delje, hanno tanto potere”.
Lo stadio Marakana, Belgrado
I Delje sono il gruppo di tifosi della Stella Rossa nato negli anni novanta dallo zelo organizzativo di Željko Raznatović/Arkan dalle cui fila vennero molte reclute delle Tigri, temibile formazione paramilitare serba delle guerre di Bosnia e Kosovo. Arkan era riuscito a riunire le litigiose fazioni prima esistenti nella curva della Stella Rossa in un unico gruppo violentemente nazionalista. Oggi i Delje non sono sicuramente più quelli di Arkan, ma sono ancora molto influenti per quanto riguarda le politiche del club. Come dimostra il fatto che pochi giorni dopo una conferenza stampa in cui si chiedevano le dimissioni del presidente Tana, questo effettivamente se ne sia andato. “Nel 2004 – mi spiega un altro giornalista – il presidente del club di allora era una leggenda del calcio serbo Dragan Džajić sotto cui però la squadra non riuscì nemmeno a qualificarsi per la coppa UEFA. I Delje protestarono duramente contro Džajić e anche in questo caso dopo poco tempo lui se ne andò ufficialmente per problemi di salute”.
Dragan Džajić, classe 1946, detto la “terza stella” della Stella Rossa, che Pelè aveva definito “il miracolo dei Balcani” fu poi arrestato nel febbraio del 2008, accusato di malversazioni per le vendite di alcuni giocatori della squadra di Belgrado al Saragozza. In pratica Džajić assieme ad altri due funzionari della società sportiva Vladimir Cvetković e Miloš Marinković fu accusato di aver fatto un doppio contratto: i giocatori venivano venduti per una cifra e ne veniva dichiarata un’altra molto minore. Secondo gli inquirenti il passaggio di denaro delle compravendite avrebbe favorito il riciclaggio di denaro proveniente dalla criminalità organizzata. Nel luglio dello stesso anno l’ex giocatore viene rilasciato ed è tutt’ora in attesa di processo. In questi giorni ha fatto sapere ai media che, nonostante le forti pressioni, non ha in programma per ora di tornare nell’amministrazione della Stella Rossa.
L’arresto di una grande stella del calcio, fatta passare in televisione con le manette ai polsi, fu uno shock (“mettere le manette a Džajić è come metterle alla Serbia dissero alcuni). Doveva essere la dimostrazione che lo Stato questa volta voleva usare il pugno duro con il calcio e che da allora si sarebbero fatti controlli a tappeto. I controlli non sono mai stati effettuati ed il risultato sono i 20 milioni di debito del club più importante della ex Ju.
Ma la pratica del doppio contratto non è una novità, così come i legami con la criminalità organizzata e una gestione quanto meno personalistica del calcio non sono una novità in Serbia, ma di cui pochi osano parlare. Nel 2008 una serie di trasmissioni di B92, “Insajder”, fu una delle poche che illustrò il “sistema” che girava attorno al calcio dalla dissoluzione della Jugoslavia in poi.
Dai tempi di Arkan il calcio era diventato per la mafia un ottimo luogo dove riciclare denaro sporco e tramite il quale fare anche ulteriori soldi, oltre che fucina di nazionalismo e di “preparazione all’atmosfera delle guerre che seguiranno” come spiega “Insajder”. Molti esponenti dell’underground serbo-montenegrino acquisivano piccole squadre sconosciute per utilizzarle come sponda alternativa ai propri traffici. Lo stesso Raznatović/Arkan fu presidente di una piccola squadra di Belgrado, l’Obilić, che solo il secondo anno dalla sua presidenza vinse il campionato. Le leggende sulle minacce e sulle violenze dell’ex capo delle “Tigri” nel proprio campo e in quello degli avversari non si contano.
Nella trasmissione di B92 viene tirato in ballo tra gli altri Zvezdan Terzić, presidente dell’OFK Belgrado e della Federazione calcio serba, che in seguito scappò negli Stati Uniti e per il quale è stato spiccato un mandato di cattura in seguito all’accusa di aver ottenuto illegalmente 840.000 dollari per la vendita di un giocatore all’Hamburger SV nel 1998. Dalla latitanza Terzić manderà una lettera ai giornali dicendo che non aveva fatto nulla che gli altri non facessero normalmente.
Sempre secondo quanto raccontato da “Insajder”, i livelli di corruzione nel calcio erano diversi: c’è il riciclaggio di denaro sporco, ci sono le partite truccate collegate a centri per le scommesse gestite dai clan. Il tutto protetto da una commistione all’interno dei consigli di amministrazione di esponenti provenienti dalla politica, dal mondo degli affari, dalle autorità di polizia tributaria e dalla magistratura. “Il calcio – si spiega nella trasmissione - è l’anello di congiunzione tra mafia e politica”. “Nessuno ha però potuto dimostrare nulla su questo sistema – ci spiega Slobodan Georgijev – nel consiglio di amministrazione della Stella Rossa c’è anche oggi un esponente della polizia tributaria a cui però se gli venisse chiesto il suo ruolo lì risponderebbe di essere solo un grande fan della squadra e di volere aiutare”:
Ma c’è anche la gestione dei giocatori da parte dei loro procuratori. “I manager sono il cancro del calcio serbo – ci racconta l’altro giornalista che vuole rimanere anonimo – abbiamo il più alto numero di procuratori dopo l’Argentina: pagano per fare giocare i ‘loro’ nei club, pagano per qualche presenza nella nazionale di modo che il prezzo dei giocatori si alzi e a quel punto li rivendono all’estero. Abbiamo giocatori che se ne vanno dalla Serbia spesso prima dei vent’anni e questo depaupera il nostro campionato. Le squadre, del resto, vivono anche grazie alla vendita dei giocatori. È di questi giorni la notizia che il Partizan ha venduto due giovanissimi di 18 e 19 anni al Manchester United per 17 milioni di euro e adesso la squadra sta a posto per almeno un anno”.