Lo sport minore
28.08.2009
Da Capodistria,
scrive Stefano Lusa
Il calcio? Uno sport minore, tranne brevi parentesi. Un'escursione nel calcio sloveno, dai mitici derby tra Olimpija di Lubiana e Maribor alle alterne vicende della nazionale dopo l'indipendenza
Dopo aver rischiato di venir cancellata dal panorama calcistico nazionale l’Olimpija di Lubiana è tornata sulla scena che conta. Nel periodo jugoslavo era stata una sorta di rappresentativa slovena nella Prima lega, mentre dopo l’indipendenza è stata la rivalità tra il Maribor e l’Olimpija a caratterizzare il modesto campionato di calcio sloveno. Nel 2005 poi il crack finanziario e la ripartenza dalla quarta divisione, per poi, dopo quattro anni, tornare in quella che è la serie A slovena.
Non si è dovuto attendere molto per vedere la partita più attesa del campionato, quella con il Maribor. Lo scontro non doveva essere solo tra le due squadre, ma anche tra le due tifoserie: le Viole da una parte ed i Green Dragons dall’altra. Sul campo si è imposto di misura il Maribor, mentre sugli spalti c’erano solo i tifosi della squadra stiriana. La polizia, infatti, ha pensato bene di rispedire a casa il treno con i supporter dell’Olimpija. Sono bastati una trentina di minuti di viaggio per far sì che le forze dell’ordine ne avessero abbastanza.
La storia del calcio sloveno nel periodo jugoslavo non è stata “luminosa”. Nessun team riuscì , infatti, a vincere mai nulla. Solo tre squadre hanno militato nella prima lega federale: l’Olimpija per 21 anni, il Maribor per 5 anni e il Nafta di Lendava in una sola edizione del campionato.
La squadra di Lubiana è rimasta ininterrottamente tra le migliori formazioni jugoslave tra il 1965 e il 1984. Il miglior piazzamento fu il settimo posto che la squadra lubianese ottenne due volte. Per il resto dovette veleggiare in fondo alla classifica, salvandosi spesso “miracolosamente” all’ultima giornata. Nella sua storia resta comunque una finale di coppa Jugoslavia, nella stagione 1969/1970, persa di misura contro la Stella rossa di Belgrado.
Soprattutto negli anni Ottanta, comunque, si rafforzò in Slovenia la convinzione che il calcio fosse lo sport destinato a quelli che venivano chiamati beffardamente “fratelli del sud”. Lubiana aveva i suoi campioni in altre discipline. Lo sci era diventato lo sport nazionale. Gli slalomisti Bojan Križaj, Jure Franko, Boris Strel e gli altri assi dello sci alpino e nordico riempivano di orgoglio gli sloveni. Nel periodo delle gare una vera e propria euforia correva in tutta la repubblica. Negli uffici spuntavano radioline, chi poteva accendeva la TV e rimaneva incollato a vedere cosa avrebbero fatto i propri beniamini. Le competizioni di coppa del mondo che si disputavano in Slovenia richiamavano un gran numero di tifosi e si tramutavano in grandi feste con le fisarmoniche che suonavano polchettte, i Kurenti - le maschere tipiche di Ptuj - con i loro campanacci e fiumi di birra.
Accanto a tutta questa euforia lo stadio dell’Olimpija pareva sempre più vuoto. A riempire gli spalti c’erano più che i tifosi sloveni, quelli degli avversari. Si trattava perlopiù di immigrati che venivano a sostenere le squadre delle loro località d’origine.
Dopo la retrocessione nella stagione 1983/1984 l’Olimpija ci mise 5 anni per tornare nella prima divisione. Lo fece nella stagione 1989/90 dove ottenne un invidiabile ottavo posto, mentre l’anno successivo, nell’ultimo campionato jugoslavo si piazzò quattordicesima. Era quello il periodo in cui nella federazione anche il calcio aveva cominciato ad alimentare passioni nazionaliste che divennero evidenti a tutti nel maggio del 1990, quando a Zagabria i tifosi della Dinamo si scontrarono con quelli della Stella Rossa in quello, che per molti, fu un prologo delle guerre jugoslave. Quando qualche mese prima erano arrivati a Lubiana i supporter della squadra di Belgrado, i poliziotti sloveni pensarono bene di prelevarli alla stazione dei treni e di chiuderli sotto la pioggia dentro allo stadio sin dalle 9 di mattina in attesa della partita. Infreddoliti e bagnati si misero a chiedere a gran voce che venissero portati loro dei panini.
Dopo l’indipendenza il calcio in Slovenia continuò ad essere considerato uno sport minore. Quando, nel novembre del 1996, la nazionale giocò una partita di qualificazione per i mondiali del 1998 contro la Bosnia ed Erzegovina, il sarcastico commento che girava nel paese fu che “i bosniaci sloveni avevano perso con i bosniaci per 2 a 1”.
Tutto cambiò durante le qualificazioni per gli europei del 2000. La rappresentativa slovena non esprimeva un calcio stellare, ma riuscì ad acciuffare la qualificazione battendo nello spareggio decisivo nientemeno che l’Ucraina. Al rientro in patria i giocatori vennero accolti come eroi. Tutti saltellavano felici al ritmo dello slogan: “Chi non salta non è sloveno”. Non si trattava più di “bosniaci sloveni” ma di veri e propri paladini nazionali. Sulle loro maglie e sui giornali dai molti nomi di chiare origini meridionali la Ć del loro cognome, era stata sostituita da una molto più slovena Č. Gli stessi giornali che parlavano di quei campioni nati a Maribor, Lubiana o in altre località slovene, non avrebbero evitato di “esaltare” le loro origini meridionali se al posto di fare i calciatori si fossero resi responsabili anche di qualche piccola infrazione.
L’euforia era alle stelle. Tre noti cantautori - Vlado Kreslin, Peter Lovšin e Zoran Predin - idearono persino una canzoncina che divenne l’inno di quella nazionale. D’un tratto nel paese ci si accorse che per promuovere la Slovenia all’estero poteva essere più utile qualificarsi per i mondiali che vincere in altri sport.
La favola iniziò con gli europei del 2000 e si infranse ai mondiali del 2002. La prima partita venne giocata nientemeno contro quello che restava della Jugoslavia. Gli sloveni andarono in vantaggio per 3-0 e si trovarono a giocare anche con un uomo in più. Tutto ciò non bastò e la Jugoslavia giunse, in maniera rocambolesca, al pareggio dando una cocente delusione ai supporter sloveni. La squadra uscì dopo il primo turno. Poi si qualificò anche per i successivi mondiali, dove perse contro la Spagna in una partita passata alla storia del calcio nazionale per il contrasto tra l’allenatore della squadra, l’ex calciatore della Sampdoria Srečko Katanec, e la stella di quella nazionale, Zlatko Zahovič, che dopo quella gara venne rispedito a casa. Così il sogno finì tra le polemiche. Il calcio era diventato un po’ più importante, ma passata l’euforia tornò nuovamente in secondo piano.
Per ora gli sloveni non sono ancora riusciti a battere nessuna delle nazionali nate dalla dissoluzione dell’ex Jugoslavia. Solo sconfitte e pareggi. L’ultima, in amichevole, è stata persa a Maribor, nel novembre dello scorso anno, contro la Bosnia ed Erzegovina, mentre nell’agosto del 2007 non sono nemmeno riusciti a battere il neonato Montenegro. La partita, giocata a Podgorica, è finita 1 a 1. Per contro la nazionale slovena se l’è cavata sempre bene con l’Italia. Una partita questa molto sentita dal pubblico e dai giocatori. Nelle 5 gare disputate si contano due vittorie per parte e 1 pareggio. Il primo successo sloveno fu strappato, nell’agosto del 2002, nientemeno che a Trieste, in quella che doveva essere un’amichevole. In un clima di guerriglia etnica e di insulti reciproci tra le tifoserie gli sloveni vinsero per 1-0. Non è chiaro, comunque, come alle due federazioni sia venuto in mente di far giocare una partita tra le due nazionali in un luogo così carico di tensione.