Guerra e crimini sessuali: la svolta dell'ICTY
01.09.2009
Violenza sessuale in contesti di guerra, una fattispecie criminale ben presente nei maggiori conflitti degli anni novanta. E' la giurisprudenza del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia ad aver contribuito a sensibili avanzamenti in materia di punibilità giuridica di tali crimini
Di Sonia Giari
Il ricorso diffuso all'uso di crimini di natura sessuale è una costante comune ai conflitti che hanno segnato la storia dell'umanità sino ad oggi. In particolare la presenza di un cosciente utilizzo di simili fattispecie criminali in contesti di guerra, è stato fortemente comprovato sia per quanto riguarda le due guerre mondiali, sia per i due maggiori conflitti svoltisi negli anni novanta, quali quello ruandese e quello che interessò l'area dell'ex Jugoslavia.
Ma fu solo in quest'ultima occasione, con l'istituzione del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia ed il relativo statuto, che si sviluppò una giurisprudenza tesa a riconoscere e punire le violenze sessuali, e nello specifico lo stupro, quali crimini contro l'umanità, elaborando inoltre regole tese a garantire protezione ai testimoni di tali violenze. E' quindi sostenibile che i mezzi giuridici e la giurisprudenza prodotta dal Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia, si possano considerare quale incipit virtuoso della dottrina giuridica internazionale successivamente sviluppatasi, tesa a garantire la punibilità dei crimini di natura sessuale nel corso dei conflitti che seguirono.
Fin dall'antichità la violenza sessuale nei confronti del genere femminile ha rappresentato una costante, divenendo nel tempo elemento strutturale dello stato di guerra stesso. In particolar modo i conflitti scoppiati nel corso del Ventesimo secolo sono stati teatri di massicce violazioni dei diritti umani delle donne, spesso fatte oggetto di abusi e violenze di carattere sessuale. L'impiego di simili violenze sembra riflettere l'esistenza di una percezione diffusa del corpo femminile quale arma potenziale di offesa. Come afferma Paola Degani - docente dell'Università di Padova - la dicotomia guerra-violenza sessuale si spiega se si analizza il contesto socio culturale che la guerra determina. In contesti di guerra, infatti, la tradizionale percezione dei ruoli femminili e maschili nella società si rinforza, determinando un irrigidimento in senso conservativo degli atteggiamenti nei confronti del genere femminile, che si riflette nel moltiplicarsi dei gender crimes e nella limitazione dei diritti riconosciuti alle donne in quanto tali.
Alla commissione di simili violenze non è però corrisposto fino agli anni novanta lo sviluppo di una giurisprudenza tesa a punire tali crimini. Nonostante fossero presenti - sia nello statuto del Tribunale militare internazionale di Norimberga, istituito per punire i gerarchi nazisti, sia nella Legge 10 stilata dal Consiglio di controllo per punire i criminali di rango inferiore - gli strumenti giuridici per procedere contro tali fattispecie criminali, nessuna accusa fu mossa in merito alle comprovate violenze sessuali perpetrate dai soldati tedeschi nel corso della Seconda guerra mondiale. Stesso discorso vale anche per le violenze sessuali perpetrate dalle forze alleate durante gli anni del conflitto, come gli stupri di massa commessi dalle truppe russe nel corso dell'avanzata finale verso la capitale tedesca; si stima che nella sola città di Berlino, nelle ultime due settimane di guerra, siano stati commessi più di 100.000 stupri a danno delle donne tedesche.
E ancora, il Tribunale militare internazionale per l'Estremo Oriente non si è mai pronunciato in merito alla questione delle comfort women, fenomeno che interessò più di 200.000 donne, costrette dall'esercito imperiale giapponese in case di piacere. In merito a crimini di natura sessuale furono emesse solo due sentenze nei confronti di Hirota Koki e Matsui Iwane, imputati di negligenza in quanto fallirono nel prevenire gli stupri di massa commessi dalle truppe giapponesi sotto loro diretto comando, durante la presa della città cinese di Nanchino.
Inversione di tendenza si ha solo con l'istituzione del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia, ICTY), stabilita con risoluzione 827 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e la conseguente giurisprudenza prodotta dalla corte. La Commissione 780, istituita dalle Nazioni Unite nel 1992 per indagare le massicce violazioni del diritto umanitario commesse nei territori dell'ex Jugoslavia, incluse negli atti partecipi della definizione di pulizia etnica anche crimini quali stupro e in generale violenze sessuali. Tale inclusione si spiega con la mole di prove che furono raccolte in merito a gender crimes commessi durante gli anni del conflitto. Christine Clerein, membro della Commissione dal 1993, avviò un'operazione di investigazione riguardo gli stupri e violenze sessuali in cui furono intervistate 223 donne provenienti da Bosnia e Croazia, che erano state soggette a tali abusi. Durante gli anni del conflitto fu stimato che tra le 20.000 e le 50.000 donne subirono violenze sessuali, la maggioranza delle quali di religione musulmana.
Già nel testo della quarta Convenzione di Ginevra del 1949, riguardante la protezione delle persone civili in tempo di guerra, venivano esplicitamente menzionati all'articolo 27, quali fattispecie criminali punibili, lo stupro e la prostituzione forzata, ma queste erano considerate condotte criminali in quanto azioni tese a ledere il pudore della donna. Ben diversa è l'interpretazione che fu data allo stupro nello statuto del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia, in cui esso venne riconosciuto all'articolo 5(g) quale crimine contro l'umanità, alla stregua di fattispecie criminali come assassinio, sterminio, riduzione in schiavitù, deportazione, incarcerazione, tortura e persecuzione per motivi politici, razziali o religiosi.
Oltre quindi alla novità data dalla presenza dello stupro quale condotta criminosa esplicitamente menzionata nello statuto di un tribunale penale internazionale, elemento altrettanto innovativo e importante fu l'elaborazione delle Rules of procedure and evidence, adottate nel 1994 dal Tribunale dell'Aia. Di particolare interesse è la rule 96, dedicata esclusivamente alla regolamentazione delle testimonianze in casi di crimini di violenza sessuale. Tale norma costituì la risposta all'appello formulato dal Segretario generale delle Nazioni Unite nel suo rapporto del 1993 in relazione alla Risoluzione 808, che sanciva la nascita del tribunale, in cui esprimeva la necessità di assicurare particolare protezione alle vittime e testimoni di stupri e violenze sessuali.
La rule 96 nello specifico prevede la non necessità di corroborare la testimonianza della vittima, ovvero la non necessità che la testimonianza di una vittima che ha subito violenze sessuali sia comprovata, e in caso di violenza sessuale la difesa dell'imputato non può avanzare l'ipotesi o evidenze il fatto che vi fosse consenso ad avere rapporti sessuali da parte della vittima, nel caso in cui questa abbia subito minacce o abbia avuto ragione di temere violenze, costrizioni, detenzione e/o pressione psicologica per sé o per una terza persona, e soprattutto norma di fondamentale importanza, la non ammissibilità delle precedente condotta sessuale della vittima quale prova assumibile in sede processuale. È inoltre di particolare rilevanza notare che l'uso del termine sexual assault adottato nella rules 96, fu inteso dalla corte quale termine comprendente tutte le modalità di offesa all'integrità sessuale della vittima, quindi non limitatamente al crimine di stupro.
Inoltre, durante il processo indetto dal Tribunale penale internazionale nei confronti di Duško Tadić, membro delle forze combattenti serbe accusato per i crimini commessi nella municipalità di Prijedor, la corte provvide ad elencare misure protettive in materia di anonimato e riservatezza da adottare nel caso di testimonianze di violenze sessuali. Tra le misure indicate nel documento stilato dalla corte in quell'occasione, erano elencati alcuni obblighi tra cui quello di impiegare pseudonimi al fine di proteggere l'identità del testimone, di tenere il processo a porte chiuse al momento della salita al banco dei testimoni, nonché di ricorrere all'utilizzo di voci e immagini alterate in riferimento alle deposizioni dei testimoni e delle vittime.
Nonostante gli avanzamenti in materia di punibilità delle violenze sessuali determinati dalla giurisprudenza elaborata dal Tribunale penale per l'ex Jugoslavia - si ricordi in tal senso il processo ad Anto Furundžija, o quelli riguardanti i casi Foča e Čelebići - non mancarono tuttavia voci critiche all'operato del tribunale stesso. Una di queste, Christine Chinkin - docente presso la London School fo Economics - osserva come il tribunale, focalizzandosi esclusivamente sui meccanismi di punizione dei criminali, abbia omesso di elaborare dispositivi di riparazione e sostegno delle vittime di violenze sessuali, dispositivi che furono in seguito adottati dal Tribunale penale internazionale per il Ruanda nel 1997 con l'istituzione dell'Unità di supporto per vittime e testimoni. Chinkin inoltre prosegue col notare l'assenza di una rappresentanza di genere egualitaria nel corpo giudicante del tribunale. Kelly D. Askin osserva invece come l'assenza della categoria del genere tra quelle elencate quali ragioni fondanti il crimine di persecuzione - articolo 5(h) dello statuto - abbia limitato di molto la possibilità di ricorrere a tale articolo in riferimento a crimini di natura sessuale.
Tuttavia, a dispetto delle numerose critiche avanzate nei confronti dell'operato del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia, non è da dimenticare che esso si pose e impose quale primo organo giuridico internazionale che dedicò particolare attenzione ai crimini sessuali commessi nel conflitto di propria giurisdizione. Impliciti in tale primato erano quindi gli ostacoli in materia di definizione ed elaborazione del diritto applicabile, a cui il tribunale doveva trovare risoluzione allo scopo di produrre una valida giurisprudenza in materia di violenze sessuali, assumibile come precedente per i futuri casi a venire. L'operato del Tribunale per l'ex Jugoslavia, deve essere quindi assunto quale base giuridica di partenza, nonché sede iniziale di elaborazione ed adozione di strumenti giuridici finalizzati a punire efficacemente le violenze sessuali, e nel contempo garantire alle vittime adeguate cure ed assistenza.