Crisi fantasma
01.09.2009
Da Tirana,
scrive Marjola Rukaj
(©athrine/Flickr)
Secondo il premier albanese Berisha, l'Albania è l'unico paese in Europa ad essere stato risparmiato dalla crisi economica. L'opposizione afferma il contrario e denuncia che gli ingenti investimenti pubblici del governo rischiano di portare il paese al tracollo finanziario
Non sarà solo la crisi economica globale a spingere in rosso le finanze albanesi. Questo è quanto pronosticano da mesi gli economisti del paese. Oltre all’effetto domino dell’economia mondiale che ha rallentato la crescita albanese, infatti, ad aggravare ulteriormente la situazione sarebbero le rilevanti spese che il governo sta effettuando per finanziare i numerosi investimenti nelle infrastrutture del paese.
Nonostante le numerose vicende di corruzione che hanno spesso affiancato la questione degli appalti e della gestione dei progetti, gli investimenti pubblici sembrano procurare sostegno da parte dell’elettorato al governo Berisha e da quanto evinto nelle ultime elezioni anche da parte degli ambienti internazionali.
In tempi di crisi, mentre gli introiti del governo hanno subito una forte riduzione, il governo Berisha ha scelto di indebitarsi spropositatamente, ottenendo anche prestiti da banche private con interessi enormi rispetto alla media di mercato. Tali mosse sono state puntualmente criticate dagli economisti del paese perché ritenute inadeguate e rischiose.
Secondo le stime attuali, il già alto debito albanese non potrà che raddoppiare a fine anno. Secondo alcuni media di Tirana, attualmente il debito risulta maggiore di quanto previsto nella misura del 130%. Ma il governo Berisha, che non ha mai riconosciuto il fatto che l’Albania fosse afflitta dalla crisi economica come il resto dei paesi balcanici, esclude la possibilità che la sua politica possa avere delle conseguenze negative sull’economia del paese.
Gli economisti, tra cui anche il governatore della banca centrale albanese Ardian Fullani, non perdono occasione per ribadire che il budget dello stato si è letteralmente prosciugato e che la crisi in Albania si prolungherà e si aggraverà oltre quanto veniva previsto solo qualche mese fa. Intanto l’edilizia, il settore più produttivo del paese, si è fermata e l’Unione degli imprenditori edili ha lanciato diverse volte l’appello ad intervenire con politiche di sostegno pubblico. Nello stesso tempo, dopo il complesso spoglio post-elettorale, l’Albania è un paese paralizzato in cui le strutture pubbliche funzionano a capacità ridotte. Secondo dati resi pubblici dall’Instat, l’istituto statistico di Tirana, i consumi albanesi sembrano essersi dimezzati rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Nei media albanesi viene puntualmente descritto un paese paralizzato, mentre i portavoce del governo Berisha ribadiscono che la crescita del paese è spettacolare e orgogliosamente controcorrente rispetto al resto dell’Europa. “La crisi è semplicemente un alibi immaginato dall’opposizione – ha affermato a più riprese Berisha – è un’invenzione di Edi Rama, e un’espressione della sua tristezza e del suo disfattismo”. Mentre dalle fila della sinistra la portavoce di Edi Rama, Mimi Kodheli accusa: “Berisha e il suo ministro delle Finanze, Ridvan Bode devono spiegare agli albanesi perché il Lek si sta svalutando a vista d’occhio. Se l’Albania non è in crisi perché Berisha non paga gli appaltatori che costruiscono le autostrade in giro per il paese?”. La crisi è diventata un argomento all’ordine del giorno su cui le principali forze politiche albanesi controbattono quotidianamente in innumerevoli conferenze stampa.
Nonostante il governo Berisha non voglia ammettere che l’Albania sia travolta dalla crisi, alcune delle misure intraprese nell’ultimo mese fanno pensare che la situazione sia davvero preoccupante.
Ha suscitato enorme scalpore una delibera del governo risalente ai primi giorni di agosto, consistente in un pacchetto di misure dal titolo “Per un migliore uso del budget”, che bloccava a tempo indeterminato tutti gli investimenti da implementare dopo il 3 agosto 2009. Alle domande dei giornalisti, in una delle sue conferenze stampa, il premier ha smentito quanto si vociferava: “Si è trattato solo di una mossa in funzione del prossimo governo, che non si è ancora formato. Il prossimo ministro delle Finanze avrà le sue priorità e dev’essere lasciato libero di gestirle”.
Pochi giorni dopo, il gabinetto Berisha ha deliberato che quest’anno si devierà dalla prassi secondo cui il governo utilizza metà degli introiti ottenuti dalle privatizzazioni per saldare il debito pubblico. Quest’anno tale parte delle privatizzazioni sarà destinata semplicemente agli investimenti.
Inoltre sono diverse le politiche di restrizione delle spese intraprese dal governo Berisha nelle ultime settimane. Ha provocato molte polemiche la decisione di aumentare le imposte su una larga gamma di merci senza risparmiare neanche quelle di prima necessità. “Queste imposte non potranno che causare un aumento dei prezzi. I commercianti faranno naturalmente pesare l’aumento sui consumatori” – afferma Arben Malaj, economista dalle fila del Partito socialista.
Arriva tra le misure sporadiche degli ultimi giorni anche un taglio di spese che colpisce i parlamentari. Gli onorevoli che siederanno nel Kuvend, probabilmente verso metà settembre, non avranno più a disposizione né un’automobile di proprietà dello stato, né un autista personale, di cui i parlamentari albanesi avevano usufruito finora. Altri tagli sono stati indirizzati ai membri del governo e ai loro ministeri, che dovrebbero ridurre le spese operative di almeno il 10%. Non saranno risparmiati neanche i dipendenti del potere locale. Per la remunerazione di questi ultimi, secondo quanto ha espresso il premier negli ultimi giorni, dovrà essere utilizzato solo il 20% delle singole unità del potere locale, comportando di conseguenza anche tagli del personale.
“L’Albania è l’unico paese in Europa che è stato risparmiato dalla crisi economica”, ha affermato Berisha in una conferenza stampa il 26 agosto mentre ha suggerito all’Instat di ricalcolare il PIL, e correggere in positivo i dati dichiarati sulla crescita economica che per il premier ammonta ad almeno l'8%. Di conseguenza nessun piano di emergenza, e probabili nuovi investimenti pubblici non appena si sarà formato il nuovo governo.