La patria comune
11.09.2009
scrive Fazıla Mat
(Foto Gamze Sönmez, Flickr)
La road map di Öcalan e l’apertura kurda del premier Erdoğan. Le proposte del governo dopo il documento presentato dal leader kurdo nel carcere di İmralı, le posizioni nello scenario politico turco, l'attesa per il dibattito parlamentare. Prove di pace
La Turchia potrebbe essere vicina come mai prima alla pace nel conflitto turco-kurdo. Il governo turco, dopo aver condotto nell’arco dello scorso mese incontri con i rappresentanti di numerose organizzazioni della società civile per raccogliere pareri e suggerimenti, starebbe infatti preparando una “road map” per avviare una “apertura democratica” sulla questione kurda. Ma lo sviluppo di quello che per il momento risulta essere una dichiarazione di intenti fatta dal governo sarà chiaro solamente a partire da ottobre, quando “l’apertura kurda” o “l’apertura democratica”, come l’ha definita in diverse occasioni il premier Erdoğan, verrà portata in parlamento in coincidenza con l’inizio del nuovo anno legislativo.
Secondo le anticipazioni fornite alla stampa, la road map del governo dovrebbe prevedere tre tappe: la prima riguarderebbe alcune modifiche ai regolamenti locali, le successive sarebbero modifiche alla legge e alla Costituzione. Per quanto riguarda le modifiche ai regolamenti locali, si parla di cambiamenti che non richiedono l’approvazione parlamentare, e in particolare di maggiori possibilità per televisioni e radio private di trasmettere in lingua kurda e dell’istituzione di cattedre di kurdologia all’università. Si prevedrebbe inoltre di restituire i nomi kurdi alle località “turchizzate”, e anche di abolire il divieto di dare ai propri figli nomi kurdi. Ci sarebbero poi modifiche da apportare alla legge 221 del codice penale per creare una base larga di amnistia per i membri del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan), ma anche alla legge che prevede l'incarcerazione di minorenni come “terroristi” per aver lanciato sassi durante manifestazioni. Si rivedrebbe infine anche il sistema dei guardiani di villaggio.
Tempi più lunghi si prospettano invece per la modifica dell’articolo 66 della Costituzione, che fonda il principio della cittadinanza su base etnica, turca. L'MHP (Partito di azione nazionale) e il CHP (Partito del popolo repubblicano) si dichiarano infatti contrari al processo avviato dal governo, accusandolo di portare il paese alla divisione. Il leader del CHP, Deniz Baykal, ha infatti indicato nella possibilità di introdurre la lingua kurda come materia scolastica facoltativa “che poi si trasformerà in materia obbligatoria” un primo passo verso la divisione del paese. Baykal, che ha rifiutato a più riprese di incontrare Erdoğan per discutere della “apertura”, ha dichiarato mercoledì (09.09) che non parteciperà ad alcun incontro finché non sarà reso pubblico il contenuto della “road map” preparata da Abdullah Öcalan.
Il leader del PKK, lo scorso 20 agosto, ha infatti presentato una propria “road map” di 160 pagine alla direzione del carcere di İmralı, dove si trova rinchiuso. Il manoscritto, definito da Öcalan “democratico, unificante e complementare”, sarebbe ancora in mano alle autorità. “Sarà in mano allo Stato, lo staranno studiando”, avrebbe detto Öcalan ai suoi legali secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Fırat. “Tutti stanno aspettando quello che dirò e farò. E non parlo solo del DTP (Partito del popolo democratico), si vede che a un certo punto anche gli altri non potranno farne a meno. Cosa si aspettano da me? Probabilmente si aspettano che mi accolli ciò che seguirà d’ora in poi. Se mi si sta chiedendo qualcosa, se mi si sta accollando una responsabilità è necessario che mi si spiani la strada.”
Alcuni punti essenziali della “road map” che risultano dagli appunti presi dagli avvocati riguardano il concetto di patria. Si leggerebbe che “la patria comune è la Turchia e il Kurdistan. I kurdi accetteranno come patria sia il Kurdistan che la Turchia, e così faranno anche i turchi” e che l’insegnamento della madrelingua “deve essere istituzionalizzato. È necessario che la cultura dei kurdi sia completamente libera. È necessaria una libertà entro cui possano istituzionalizzare la loro cultura”. Inoltre, per quanto riguarda il corpo dei cosiddetti guardiani di villaggio, se ne prevederebbe la sostituzione con delle “milizie di autodifesa elette dagli abitanti del villaggio”.
“Di vitale importanza”, tra i dieci principi indicati da Öcalan, ci sarebbe quello di una “Costituzione democratica”, unico strumento attraverso cui “i problemi fondamentali della Turchia possono essere risolti”. Il leader del PKK avrebbe affermato che “il governo è in grave difficoltà” e, indirizzando le sue parole al premier Erdoğan, avrebbe aggiunto che “noi non faremo da ostacolo nella risoluzione di questo problema. Al contrario, rendiamo noto che daremo tutto l’appoggio in nostro potere”.
Öcalan avrebbe anche dichiarato che nel caso di una mancata soluzione democratica “la Turchia potrebbe ritrovarsi di fronte ad una guerra di gran lunga peggiore di quelle avute negli anni ’90 e nel 2005” e che “se l’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) non prenderà delle serie misure si sfalderà nel giro di qualche mese come gli altri partiti. E questo è quello che vogliono il CHP e l'MHP”.
Uno dei punti su cui l’opinione pubblica turca risulta più sensibile riguarda l’interlocutore della parte kurda nelle trattative. Il DTP ha più volte ribadito che nessuna trattativa è possibile senza il PKK e Öcalan anche se il leader del DTP, Ahmet Türk, ha recentemente portato maggior chiarezza alla affermazione: “Al PKK si chiede di lasciare le armi, e allo steso tempo si afferma che non lo si prende in considerazione… È ovvio che noi non diciamo che il governo o il premier debbano andare a parlare con Öcalan, ma come si può fare senza convincere [la controparte], senza discutere sui progetti, facendo finta che non esistano?”
Yasemin Çongar, del quotidiano Taraf, scrive che “se lo Stato intende veramente far abbandonare le armi al PKK e far scendere i ragazzi dalle montagne dove sono nascosti, deve trovare un modo di parlare con loro. Lo ha già fatto in passato, e se anche ora non lo stesse già facendo, lo farà quando sarà il momento.”
Anche Oral Çalışlar, del quotidiano Radikal, considera necessario instaurare una trattativa “per via indiretta” con il PKK affinché [i combattenti] possano scendere dalla montagna, e fa un bilancio dello stato d’animo dei kurdi suscitato dal clima di dialogo che si è instaurato. “Possiamo dire che i kurdi sono felici, speranzosi e anche preoccupati. Sono felici perché vedono per la prima volta un approccio positivo nei confronti dell’identità kurda. Sono speranzosi perché si rendono conto di essere arrivati ad una svolta storica. Sono preoccupati perché sanno che l’atmosfera militarista causata da una guerra di 25 anni e i segni dei danni nazionalistici non saranno cancellati facilmente.”