A vent'anni dalla caduta del Muro di Berlino l'Europa è molto diversa rispetto a quello che era nel lontano 1989. Per commemorare il crollo della cortina di ferro che separava l'Europa in due blocchi, Osservatorio Balcani e Caucaso ha promosso, lo scorso 13-14 novembre, il convegno
Il lungo '89. Attraverso la partecipazione di intellettuali, rappresentanti istituzionali e della società civile attivi nell'area balcanica e caucasica, il primo giorno della conferenza, dal titolo
I Balcani e il Caucaso tra aspettative e disincanto dopo la caduta del Muro di Berlino, ha trattato delle trasformazioni che in questi due decenni hanno cambiato l'Europa, interrogandosi in particolare sul ricongiungimento delle due parti d'Europa divise per quasi mezzo secolo.
Per parlare dell'Europa vent'anni dopo il muro, i relatori invitati hanno condiviso con il pubblico analisi, opinioni e preoccupazioni riguardo il passato, il presente e le ricadute nell'immediato futuro di diversi aspetti di cruciale importanza, come: gli sviluppi politici e sociali delle transizioni post-comuniste; la condizione e il ruolo delle minoranze nelle transizioni degli anni '90; lo stato di avanzamento del processo di integrazione europea.
Francesca Vanoni, direttrice pro tempore di Osservatorio Balcani e Caucaso, ha aperto i lavori presentando una premessa sulla situazione che caratterizza l'Europa sud-orientale e la regione caucasica ad oggi: ''Per i Balcani e per il Caucaso, il processo di trasformazione è tuttora in corso. L'89 è lungo perché molte promesse sono ancora incompiute e le speranze di allora rischiano di affievolirsi in una transizione dilazionata e logorante.'' Nel prosieguo dell'introduzione diversi elementi sono stati menzionati a sostegno dell'idea che tanto i Balcani e il Caucaso quanto l'Unione europea stanno attraversando un processo di evoluzione più lungo del previsto, che ha rallentato la riunificazione del continente e spesso si è svolto all'insegna di speranze disilluse.
Il primo panel dal titolo ''Emancipazione, sconfitta, gattopardismo'' è stato caratterizzato da un'analisi retrospettiva dell'Europa dall'89 ad oggi. ''Il muro è crollato grazie alla promessa di portare democrazia e libertà a chi non le aveva. E' sorta la visione di un'Europa unita, che però non ha smesso di gravitare attorno all'Occidente.''
L'intervento dell'analista albanese Fatos Lubonja ha approfondito principalmente gli aspetti per cui la transizione - intesa come il passaggio da regimi autoritari alla graduale democratizzazione delle istituzioni e della società - non può dirsi ancora ultimata. Non tutto ha rispecchiato le aspettative ottimistiche di vent'anni prima: ''La democratizzazione, per dirla con le parole di Timothy Garton Ash, si è trasformata in un processo di
refolution, riforma e rivoluzione, non solo rivoluzione, bensì qualcosa di molto più graduale'' ha commentato Lubonja. Inoltre questa lunga transizione è stata negativamente condizionata dal mancato ricambio di élites, trasformatesi in
nouveaux riches, oligarchi e nazionalisti. Per questo, si può senza dubbio parlare di gattopardismo per definire lo stato ibrido che durante la lunga transizione ha caratterizza le democrazie post-comuniste, tuttora segnate dalla presenza della medesima nomenklatura che si è reinventata e riproposta in altre vesti. Inoltre, non va dimenticato che ''anche l'Europa cambia, è un processo comune, non si tratta semplicemente del raggiungimento di un obiettivo da parte degli stati che si trovavano a est del muro''.
A vent'anni di distanza si può affermare che le rosee aspettative di pace e di un'Europa unificata siano state in gran parte disattese, specialmente nei Balcani e nel Caucaso. Dopo circa mezzo secolo la guerra è infatti ritornata in Europa, segnando duramente i paesi del sud-est Europa e del Caucaso. ''Quando lo stato viene meno, le élites nazionaliste usano il nazionalismo per legittimarsi al potere'' afferma la studiosa della London School of Economics, Vesna Bojcic-Dzelilovic. Parimenti, anche la regione caucasica ha avuto un destino infelice. “Si è trattato di guerre create dallo stato, o dall'incompetenza dello stato” sintetizza Grigori Sergeevich Shvedov, caporedattore del sito russo di informazione indipendente Caucasian Knot.
Le aspettative di allora, le delusioni, ma anche vent'anni di cambiamenti.
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Ma in questi vent'anni di mutamento ci sono state anche molte luci, non solo ombre. Con il video “Romania. Generazione '89”, Osservatorio Balcani e Caucaso ha scelto di mostrare in concreto la trasformazione sociale risultato di questa la lunga e logorante transizione.. Attraverso un approccio impressionistico il reportage presenta il punto di vista della generazione nata intorno al '89 in Romania, uno dei paesi più duramente colpiti dalla dittatura comunista. Spicca un enorme gap generazionale tra chi ha vissuto il passaggio dalla società di prima a quella di dopo e chi invece conosce solo la realtà attuale. Come sottolineava 'analista Fatos Lubonja, è emersa “una crisi di valori nella quale si è persa tutta l'Europa, privilegiando il singolo, perdendo la sinergia tra gli individui, nel disincanto”.
Nel secondo panel sono le minoranze a diventare le protagoniste del discorso sulla transizione. Mentre il corrispondente di Osservatorio Balcani e Caucaso dalla Bulgaria, Francesco Martino, ha ricostruito la vicenda della repressione contro la minoranza turca bulgara, culminata proprio nei primi mesi dell'89 con il forzato esodo di massa conosciuto come ''la Grande escursione'', Sergiu Constantin, ricercatore dell'Accademia Europea di Bolzano ha presentato il caso della Romania, una storia di successo in cui l'integrazione europea ha favorito cambiamenti positivi.
Molti dei presenti hanno ricordato come le due parti d'Europa si siano notevolmente avvicinate, sebbene il processo di integrazione europea sia ancora lontano dall'essere compiuto. ''Le cose sono cambiate'' – ha sottolineato Jovan Teokarević, direttore del Centro per l'Integrazione europea di Belgrado – ''rispetto a qualche anno fa, oggi l'Unione Europea riserva una politica diversa agli stati che vogliono diventarne membri, affermando che entreranno non solo quando essi saranno pronti per l'Ue, ma anche quando l'Ue sarà pronta per loro''. Alle prese con la sua crisi interna e con la necessità di ridefinirsi, Bruxelles sembra in preda ad una fatica da allargamento. Teokarević ha quindi suggerito un secondo vertice di Salonicco, per poter ridefinire le strategie e reincludere nell'agenda politica europea l'integrazione di quella parte dei Balcani ancora fuori.
Infatti, a vent'anni dalla caduta della Cortina di ferro, un nuovo muro è sorto a tenere le due parti d'Europa isolate una dall'altra, anche se seguendo ormai una traccia diversa: si tratta della barriera determinata dai visti richiesti per entrare nell'area Schengen. Vi sono stati notevoli progressi in questo senso, con l'allargamento del 2004 e del 2007, ed un altro passo in avanti sarà intrapreso il prossimo 19 dicembre per tre dei paesi rimasti fuori da tale spazio: Serbia, Montenegro e Macedonia. Ne rimarranno però fuori - perché non ancora pronte - l'Albania e la Bosnia Erzegovina. A parlare dell'allargamento della zona Schengen è stata l'Eurodeputata slovena Tanja Fajon, che segue in ambito europeo il processo di liberalizzazione dei visti per i Balcani Occidentali.
''Quando parliamo di questa regione dobbiamo tenere presente che parliamo delle persone che vivono in questi paesi. Si tratta di persone che vivono nel nostro immediato vicinato. In seguito al crollo del muro di Berlino è avvenuto un paradosso: la gente di questa regione che prima si muoveva liberamente in Europa si è vista limitare la libertà di movimento attraverso il regime dei visti. Bisogna includere nel processo della liberalizzazione anche i paesi lasciati fuori, per evitare di scomporre il puzzle balcanico in ulteriori pezzi destabilizzanti, costruendo un altro muro che questa volta isolerebbe e dividerebbe le comunità della regione. Bisogna fare in modo che una questione puramente tecnica non vada a penalizzare la popolazione dei Balcani occidentali.''
Rimane un problema di difficile gestione il caso del Kosovo, trattandosi di uno stato neonato, dalle istituzioni fragili e non riconosciuto unanimemente da tutti imembri dell'Unione Europea. “Bisogna parlare del Kosovo, che non risulta nell'agenda europea in nessun modo, e tanto meno in quella della liberalizzazione dei visti” afferma Tanja Fajon.
Va in parte in controtendenza rispetto a queste istanze Victor Bojkov, della DG Allargamento della Commissione Europea: ''E' vero che si nota in ambito europeo la fatica da allargamento ma il processo sta continuando. E sono stati molti I progressi fatti negli ultimi anni''.
A conclusione della giornata, il discorso è ritornato al tema delle minoranze in Europa e nell'Unione Europea: traendo spunto dalla propria esperienza personale, lo scrittore sloveno di Trieste, Boris Pahor, ha raccontato le vicende, per molti versi tragiche, della minoranza slovena in Italia nel corso del Novecento, di fronte alle quali va sostenuto con forza il sogno e il progetto politico di un'Europa unita ma nel rispetto delle diversità culturali reciproche.