Balcani Cooperazione Osservatorio Caucaso
mercoledì 07 settembre 2022 16:40

 

Un giorno lungo una vita

24.05.2001   

Il diario di Agostino Zanotti sul viaggio a Travnik per testimoniare al processo contro Paraga, il responsabile del gruppo di militari che il 29 maggio del '93 presso Gornj Vakuf sparò contro i componenti di un convoglio umanitario uccidendo Fabio Moreni, Sergio Lana e Fabio Puletti. Solo Agostino e Christian Penocchio si salvarono. Ora devono testimoniare
di Agostino Zanotti

Mercoledì 25 Aprile 2001

Manca poco più di un mese all’ottavo anniversario dell’eccidio di Guido, Fabio e Sergio, in Italia si celebra la giornata della Liberazione, sono le 8,30 e stiamo decollando dall’aeroporto d’Orio al Serio con un volo della Lufthansa che ci porterà a Sarajevo alle 12,30, passando da Monaco.
Eliana Puletti, in rappresentanza della famiglia Puletti, e Christian Penocchio sono con me per affrontare insieme l’appuntamento che abbiamo tenacemente voluto in tutti questi anni: il processo a Paraga.

Il giorno della partenza mi sembra rappresenti una significativa coincidenza; molte volte in questi anni è capitato che Guido, Fabio e Sergio fossero associati ai “nuovi partigiani”, a persone che oggi, come allora hanno sacrificato la loro vita nel tentativo di difendere i principi universali della Libertà e della Giustizia contro le dittature e i nazionalismi. E’ per questo che Guido giace accanto alle vittime della strage di piazza della Loggia e a fianco dei partigiani bresciani.

Non sarà, a mio avviso l’unica interessante coincidenza di queste giornate bosniache.
Arriviamo all’aeroporto in perfetto orario, ad attenderci, oltre ai carabinieri del MSU (Multinational Specialized Unit) è presente, in rappresentanza dell’Ambasciata Italiana a Sarajevo, il dottor Broseghini che ci porta i saluti dell’ambasciatore e ci augura una buona permanenza. Apprendiamo che il responsabile della nostra sicurezza è il capitano Fedeli, dai modi gentili e di bella presenza, doti che sono subito apprezzate da Eliana che fino a questo momento era in apprensione per come sarebbe stata accolta dalle autorità italiane.

La base del MSU si trova esattamente dietro l’aeroporto, pochi chilometri da percorrere sotto la scorta dei carabinieri, saranno i primi di una lunga serie. Questo tragitto risulta più lungo del previsto perché bisogna evitare il quartiere di Dobrinja alla periferia sud di Sarajevo che l’arbitrato internazionale ha assegnato il giorno precedente alla Federazione BH. Alcuni gruppi di manifestanti, cittadini serbi residenti in questo quartiere che dal 95 era sotto l’amministrazione della Republika Srpska, non hanno gradito questa decisione e hanno bloccato la strada impedendo il passaggio ai mezzi dello Sfor.

Un’altra coincidenza che ci costringe a fare subito i conti con una delle grandi contraddizioni ancora irrisolte del dopo Dayton e cioè l’evidente progredire della ricostruzione materiale, in contrapposizione alla precaria ricostruzione della convivenza multietnica. La prima sostenuta da investimenti stranieri e dal riciclaggio del denaro sporco, l’altra relegata a fanalino di coda di quasi tutti gli interventi degli organismi internazionali e ostacolata dalle varie lobby nazionaliste.
Entrati alla base ci vengono assegnati gli alloggi riservati agli ospiti, una sistemazione ottimale così come la gentilezza e disponibilità di tutto il personale che ci accompagnerà in questi giorni. L’Unità del MSU ha competenza su tutta la Bosnia Herzegovina ed è composta di oltre 300 carabinieri affiancati da personale della polizia militare rumena e slovena. Sono gli stessi che qualche giorno prima avevano dovuto affrontare l’ira della popolazione croata di Mostar mentre entravano nella sede dell’Hercegovacka banka per porla sotto il controllo internazionale, così come imposto dall’alto rappresentante in BiH Wolfgang Petrisch. Quanto successo a Mostar consiglia una presenza non troppo evidente da parte della nostra scorta a Travnik, città mista croato-musulmana, proprio per evitare ulteriori tensioni.

Nel primo pomeriggio ci raggiunge il nostro avvocato Lorenzo Trucco, partito il giorno prima da Torino in macchina. Verso sera, dopo esserci riposati e consultati, andiamo dall’avvocato Djarko Bulic che ci assiste in sede bosniaca. Un incontro che ci permette di apprendere le modalità di svolgimento del dibattimento e di ragionare in merito alle nostre deposizioni e alla linea della difesa. Con l’aiuto prezioso della traduzione del professor Kemo Sokolija riusciamo anche a confrontarci sulle aspettative e sul clima politico intorno al processo. Abbiamo la conferma di quanto già da noi conosciuto e cioè che Hanefija Prijic si è avvalso della facoltà di non rispondere, che è ancora in custodia cautelare e che è l’unico accusato in questo processo per l’eccidio di Gornj Vakuf.
La questione etnica riemerge con grande evidenza quando apprendiamo che l’accusa sarà sostenuta dal PM Behaija Knijc d’origine bosniaca, anziché dal PM Marinko Jurcevic croato che aveva diretto tutta l’inchiesta, entrambi da noi conosciuti e apprezzati durante la nostra deposizione del ’99.

La questione etnica riemerge anche quando, prima di coricarmi, mi soffermo sulle immagini della CNN che mostrano quanto sta accadendo a Knin in Croazia, dove si devono eseguire delle riesumazioni su ordine del Tribunale dell’Aja per verificare se nel cimitero del paese ci sia una fossa comune di civili serbi uccisi nel 1995.

Il processo quindi si celebra in un clima di grande tensione in tutta la Bosnia, ove riemergono le questioni che sono rimaste drammaticamente aperte dalla fine degli “ accordi di pace”.
Per tutto il pomeriggio Christian ed io ci siamo confrontati su ogni particolare legato al 29 Maggio, ritrovando per ogni questione comunanza di vedute; aleggia solo un’unica preoccupazione legata alla possibilità di un prolungamento della nostra permanenza, preoccupazione che ci indispone notevolmente.

Ci auguriamo la buona notte, consci del fatto che domani dovremo rivedere e riconoscere di persona, dopo tutti questi anni, Paraga, incrociare il suo sguardo e nello stesso tempo rivivere la morte dei nostri amici; meglio pensare ad altro altrimenti la notte non passerà mai.

Giovedì 26 Aprile

Una splendida mattinata accompagna il nostro risveglio. Gli otto uomini della scorta hanno già discusso le modalità operative della missione, diviso i compiti e predisposto per tutti noi un’abbondante scorta di vettovaglie per quella che si preannuncia come un lunga e intensa giornata.
Arriviamo al tribunale di Travnik, ove si celebra il processo su autorizzazione dell’Aja, in perfetto orario; la tensione inizia a salire mentre affrontiamo i pochi scalini che ci portano davanti alla stanza numero ventotto sede del dibattimento. Ad attenderci per i corridoi del tribunale gli amici e i giornalisti che hanno deciso di accompagnarci in questo difficile compito. Tra loro Cinzia Garolla, la compagna di Giudo, che emozione abbracciarla in questa situazione. La loro presenza ci sarà di grande aiuto per tutta la nostra testimonianza. Una breve attesa in un’altra stanza, adiacente la corte, e poi entriamo in aula un attimo prima che, accompagnato da due poliziotti, faccia ingresso anche Paraga.

Il suo arrivo è come un fiume in piena che mi travolge e mi riporta violentemente indietro negli anni; un ritorno al passato che aumenta i battiti del cuore e fa mancare il respiro. Mi concentro su di lui, scruto ogni particolare del suo viso, non ho dubbi è lui. Il tempo si ferma, lo spazio non esiste, l’aula esplode e rivedo lui scendere dalla strada laterale alla Diamond route, sento il suo carisma aleggiare e raggelarmi il sangue; voglio uscire al più presto, devo pensare ad altro per riuscire a bloccare il tremore che si sta impossessando di me. Tra me e lui solo qualche metro, come allora, tra me e lui Guido, Fabio e Sergio non ci sono più.

Dieci minuti in tutto e poi finalmente fuori da quell’aula, lontano da quell’incubo, a cercare di ricompormi, con Christian e gli uomini della scorta, seduti in una stanza che diventerà la nostra sala d’attesa per due lunghissimi giorni.

Le ore scandiscono la testimonianza di un Paraga che ha deciso di parlare. Racconta la sua versione dei fatti, un racconto, ci riferiscono, pieno di contraddizioni e che fa perno, si capisce subito, sulle nostre deposizioni. Non nega di averci incontrato, ma sostiene di aver avuto un ruolo a sostegno della nostra salvezza. Nella sua testimonianza emergono chiaramente i riferimenti etnici: musulmani e croati già sul piede di guerra a contendersi il territorio con le armi. Linee del fronte che non hanno permesso a Paraga di seguire completamente la nostra salvezza, anche se lui ci aveva indicato la direzione di fuga. Poi un attimo di distrazione, il trattore che non parte, una raffica di mitra e un corpo in terra sul quale inciampa. Contorto dal dolore e dopo aver vomitato incontra altri soldati vicini a lui ai quali racconta cosa ha visto. Astuta la linea difensiva, anche se male interpretata dall’attore principale, a consigliarla Edina Rasidovic, avvocato d’affermato prestigio che ha accettato la difesa di Prijic.

Un colpo di scena che lascia tutti i presenti allibiti, ma che trova una Corte attenta e precisa nel voler capire e dare linearità ad un racconto alquanto contraddittorio. Il presidente Nizdara Zlotrg, dopo aver dato spazio alla pubblica accusa e al giudice a latere, verso le cinque di un faticoso pomeriggio dichiara sospesa la seduta per riaprirla il giorno dopo alle otto e trenta.
Accompagnati dallo sconcerto facciamo ritorno a Sarajevo. Eliana riprende lucidamente ogni passo della testimonianza di Paraga; mi sento molto a disagio, quasi infastidito, devo mantenermi lucido sui ricordi, tenere lontano dalla mia memoria le contaminazioni di un testimonianza sicuramente ben costruita.

Ad attenderci a Sarajevo è arrivato anche Paolo Corsini, il sindaco di Brescia, che nell’attesa del nostro ritorno è stato accompagnato in città e ha visitato il ponte di Vrbanja: luogo dell’uccisione di Moreno Locatelli. Mi è sembrato anche questo un gesto molto importante e significativo, troppo spesso la morte di Moreno è stata dimenticata, trascurata nel suo grande valore simbolico.
A giorni ci sarà anche un passaggio di consegne al comando dell’MSU, il colonnello Tagliaferri lascerà la mano al colonnello Cotticelli; per festeggiare l’avvenimento e in segno della grande ospitalità dei carabinieri veniamo invitati a cena, ovviamente in base, in compagnia del viceconsole la dottoressa Samuela Isopi e marito.

Il giorno ha ancora pochi minuti a disposizione, non può aiutarci, domani tocca a noi.

Venerdì 27 Aprile

Nuvole basse nascondo le colline che guardano scorrere le acque del piccolo fiume, la Miljacka, intorno al quale respira Sarajevo. E’ prestissimo, siamo tutti pronti, ad accompagnarci oggi ci sono anche Samuela Isopi e Paolo Corsini. Abbiamo voluto tenacemente questo processo, veramente speravamo che non si celebrasse in Bosnia, ma la ricerca di Giustizia e Verità per il momento passa da Travnik.

Ho percorso la strada da Sarajevo a Travnik qualche decina di volte, conosco tutti i paesi che attraversa, le curve pericolose e le deviazioni ingannevoli, l’ho percorsa in tutte le stagioni e a qualsiasi ora, ma oggi non riconosco nulla, guardo fuori dal finestrino e non vedo nulla. Questo paesaggio che amo moltissimo non riesce ad eludere lo sbarramento dei molti pensieri che mi accompagnano. In macchina con noi Lorenzo Trucco, avvocato e amico, la riconoscenza nei suoi confronti non avrà fine. In questa vicenda ci ha accompagnato sempre con grande convinzione e umiltà, una persona che scopri a piccole dosi, con un’intelligenza e un sapere che non ti schiaffeggiano, ma che ti avvicinano come un soffio di vento, che senti se hai orecchie per sentire.
Siamo a Travnik in perfetto orario e in perfetto orario riprende il processo.

Meno di un’ora per chiudere con la testimonianza di Paraga e poi viene da noi un’incaricata della corte e chiama il mio nome. Bene meglio così, preferisco essere il primo piuttosto che attendere come nel ’99 sette ore.

Sono le 9,30 uscirò dall’aula dopo sette ore di deposizione. Nella mia testimonianza ho dovuto ripercorrere momento dopo momento tutti gli aspetti significativi di quel viaggio e della tragedia. La memoria ha fatto la sua parte, per quel che poteva. Mi sono accorto che, a mia insaputa, dentro di me alcuni ricordi erano sprofondati lontano, difficilmente raggiungibili, prenderli e portarli alla luce è costata fatica. Ho fatto quello che ho potuto, ripensandoci oggi qualcosa di meglio potevo fare; mi sono attenuto ai fatti, ho evitato di seguire la difesa con le sue domande riferite alla situazione militare di quel tempo, oppure sulle nostre conoscenze, piuttosto che sulle nostre autorizzazioni. Ho detto tutto quello attinente alla morte di Guido, Fabio e Sergio e alle responsabilità di Paraga, il resto non conta: nessuno può ordinare di uccidere cinque persone indifese, cinque operatori di Pace, cinque esseri umani a sangue freddo; non ci sono attenuanti di fronte alla gravità di un fatto del genere.

Sono state sette ore faticose e dolorose. Ogni volta è così, questa volta molto di più perché, a meno di un metro, c’era lui, Hanefija, strafottente con un sorriso stampato su una faccia da mafioso. Questa volta una corte che ti osserva, una difesa che ti interroga, ed io che seleziono i ricordi, e dai ricordi soffoco il dolore, asciugo le lacrime. Mi sento svuotato, ma no, mi sento come allora indifeso, impaurito, stanco, stanco.

Uscito dall’aula voglio solo parlare con Christian, l’unico che può capire come mi sento, un amico di sventura, un fratello . Con lui scambio alcune opinioni, alcuni consigli, cerco di dargli la carica giusta, la convinzione giusta e poi ci lasciamo per rivederci dopo quasi tre ore. Nel frattempo gli amici più cari mi stanno vicino, pezzi della mia vita che ritornano dentro di me.

Alla fine il PM ci chiama per qualche minuto nel suo studio, noi e Lorenzo. Ci esprime i suoi ringraziamenti, si commuove e con grande sofferenza ci preannuncia che ci sarà il sopraluogo alla fine delle deposizioni. Non è una bella notizia, non ci vogliamo pensare, prendiamo tempo e ci congediamo da lui con una calorosa stretta di mano.

All’uscita riusciamo a mala pena a salutare tutti gli amici che ci hanno accompagnato, con i quali non siamo potuti restare per molto, ma dai quali abbiamo ricevuto grande affetto. A loro un grazie davvero sentito.

Hanno partecipato al processo anche molti amici di Zavidovici, mi ha fatto molto piacere vederli in tribunale, rendono visibile il lavoro di solidarietà fatto in questi anni, la risposta all’eccidio. Confermano il fatto che vogliamo colpire le responsabilità singole, non quelle di un popolo.
Si ritorna a Sarajevo, il dopo cena mi impegna in una serie di partite a ping-pong con i carabinieri, tutte perse. Christian è già a letto, è l’ultima notte a Sarajevo, dentro di me ancora qualcosa che non funziona bene.

Sabato 28 Aprile

Mentre Corsini partecipa ad una conferenza stampa con Muhidin Hamamdzic, sindaco di Sarajevo, noi quattro andiamo a visitare la Bascarsija, l’affascinante quartiere turco nel cuore di Sarajevo, con le sue vie divise in base alle attività artigianali: oro, rame e tappeti. Ci soffermiamo all’interno della Begova Dzamija, la moschea più bella della città. Al ristorante sotto la Sahat-Kula, la torre dell’orologio, offriamo un caffè turco alle nostre guardie del corpo che in otto mesi di permanenza a Sarajevo mai erano riuscite a visitare la città e mai avevano bevuto un caffè così complicato.
Il viaggio di ritorno in aereo è l’occasione per un confronto con Corsini in merito ad alcuni avvenimenti che hanno suscitato molto clamore in Città: l’arrivo del nuovo questore, il nuovo piano asili nido, le cariche della polizia in Corsetto Sant. Agata, la metropolitana. Con questi argomenti da dibattere il tempo scorre velocemente e la paura di volare, per chi ne soffre, praticamente non ha spazio per farsi sentire.

Atterriamo a Bergamo in perfetto orario e poi in macchina arriviamo a Brescia, durante questo tragitto leggiamo la rassegna stampa dei giornali locali; l’ultimo saluto è per Massimo Tedeschi e Massimo Lanzini, i due corrispondenti dei giornali locali, per ringraziarli degli ottimi servizi realizzati, nei quali hanno trasferito non semplicemente la cronaca degli avvenimenti, ma le emozioni di tutti coloro che ci hanno accompagnato.

Ritorno alla mia vita privata, l’ambito nel quale rianimare il mio cuore.

In questi giorni da Vitez e Novj Travnik giungono notizie preoccupanti d’attentati e scontri armati.
La terra di Bosnia non ha ancora pace, come non hanno ancora pace le mie notti.

In questo “ diario” spero di non aver scritto solo parole, ma di essere riuscito a trasferire le mie emozioni, ovviamente, a modo mio.


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