Balcani Cooperazione Osservatorio Caucaso
mercoledì 07 settembre 2022 15:13

 

La Bosnia di Dayton. La voce degli intellettuali locali

22.06.2004   

Nell’ambito della giornata che la redazione di Osservatorio ha dedicato alla Bosnia di Dayton abbiamo ritenuto utile tradurre le voci critiche di due degli intellettuali più noti del paese, intervistati dal settimanale DANI
A cura di Luka Zanoni


All’inizio di quest’anno, il settimanale sarajevese DANI aveva dato ampio risalto alla proposta ESI, riportando oltre alla traduzione in bosniaco del documento del centro studi berlinese, anche le posizioni e le reazioni dei politici locali alla proposta. DANI ha poi intervistato uno dei fondatori dell’ESI, Gerald Knaus, e due intellettuali di spicco del panorama culturale bosniaco, Gajo Sekulić e Zdravko Grebo. Per diverse settimane il settimanale di Sarajevo ha continuato a seguire il dibattito, presentando inoltre alcuni articoli sulle tappe del faticoso processo di avvicinamento della BiH all’Unione europea.

Sia Sekulić che Grebo sottolineano il fatto che solo i cittadini della Bosnia Erzegovina (BiH) possono decidere del proprio futuro. Entrambi, infatti, sono piuttosto critici sulla ennesima proposta di modifica dell’assetto costituzionale del Paese calata dall’alto. Vediamo le loro posizioni più da vicino.



Nell’intervista pubblicata il 5 marzo 2004 da DANI, il professor Gajo Sekulić ha avuto modo di esprimere il suo punto di vista decisamente critico rispetto alla proposta ESI. Alla domanda del direttore del settimanale sul perché sia riluttante nell’accogliere la proposta del think tank, e i suggerimenti per la modifica della Costituzione della BiH contenuta nell’annesso IV dell’Accordo di Dayton, Sekulić risponde: “Si tratta di un progetto di ‘elvetizzazione’ della BiH” e prosegue: “Quei ragazzi, cosiddetti esperti di Berlino, desiderano addolcire l’esistente assetto ‘statale’ (quel posto vuoto dello Stato BiH senza Stato che hanno occupato sia i politici locali stranieri sia i veri stranieri) così che una entità (la RS), il Distretto di Brčko e tutti gli esistenti cantoni vengano coperti con il ‘cantonizzante’ democratico cioccolato svizzero di molto dubbia qualità. Allo stesso modo in cui i nomi delle strade sono stati modificati attraverso una arbitraria ‘procedura’ di conferma della pulizia etnica - ovunque hanno dato nuovi nomi, e per di più si fa in modo che ciò accada velocemente pure a Sarajevo - così i nostri onorevoli esperti mondiali offrono al povero popolo della BiH solo dei nuovi nomi (cantonali) per le Entità, per cercare di risolvere in questo modo il paradosso di almeno due dei progetti bosniacoerzegovesi per il futuro della Republika Srpska (RS). Il primo di questi progetti dall’esterno con tutti i mezzi abolirebbe volentieri la RS senza badare alle conseguenze, mentre l’altro dall’interno la immortalerebbe in eterno richiamandosi a Dayton e alla storia contemporanea. Con ciò, a quanto pare, risolverebbero pure la esplosiva situazione nell’entità della Federacija come stato complesso.

Si tratta di una proposta pretenziosa e arrogante. Certamente lo ‘Stato’ BiH oggi è una somma non funzionale e invisibile, composta da uno Stato semplice come la RS e uno Stato complesso di ‘due popoli’ senza la equiparazione dei diritti dei cittadini (FBiH). Questo evidente paradosso non si risolve però con il ritocco di alcune piccole disposizioni all’interno delle cosiddette condizioni per l’adesione all’Unione europea e ad un più pericoloso relitto archeologico della guerra fredda, che si chiama patto della NATO, sotto l’egemonia americana. Solo le cittadine e i cittadini dell’intera BiH possono creare uno stato della BiH democratico che non costerebbe molto e che sarebbe, in riferimento ai suoi organi di governo, sotto il controllo di una migliore società civile sviluppata.


Senad Pećanin, direttore di DANI, chiede a Sekulić in che modo può essere modificato l’attuale assetto costituzionale, se si tiene presente che buona parte dei partiti della RS ne osteggiano qualsiasi cambiamento.

Sekulić ricorda che “gli attori politici della RS non sono solo i partiti politici, ma fra essi vanno annoverate pure le numerose organizzazioni non governative, le componenti della forza lavoro distrutta delle industrie, i contadini nei differenti villaggi, i giovani, in particolare gli studenti, il movimento femminile della RS che ha un forte potenziale politico, i disoccupati, chi prende un basso stipendio, ecc. Quindi, io come cittadino, filosofo politico e sociologo, guardo la RS in modo molto più complesso e più sobrio, perché fino a ieri la gente normale in BiH, già dal 1989, si è confrontata con un Grande Avversario: gli avvelenatori etnocratici e nazionalisti ai quali non hanno saputo e ancora oggi non sanno opporsi”.

Sekulić prosegue ribadendo che “i soggetti dei cambiamenti sono le élites, il settore non governativo, le istituzioni e i cittadini come individui sovrani”. Secondo il filosofo bosniaco, “si dovrebbe aprire quanto prima un dialogo con la reciproca presenza di tutti quelli che hanno partecipato ai numerosi suggerimenti sui cambiamenti costituzionali. Quindi si dovrebbero definire in modo più preciso i soggetti e i procedimenti democratici dei cambiamenti. Personalmente lavoro alla preparazione dell’ultimo modello di modifica con un’enorme fiducia nel fatto che i cambiamenti o ancora meglio la nuova costituzione democratica della BiH possa essere realizzata solo dai cittadini e dalle cittadine della BiH, attraverso un dialogo di massa e non solo elitario, che sia in grado di incominciare a modificare l’attuale paralisi politica, morale e psicologica che aleggia in BiH e preparare le condizioni per lo svolgimento di elezioni anticipate per un Parlamento costituzionale (in grado di adottare una costituzione, ndt) della BiH, presso il quale i deputati voterebbero in modo differente e migliore per la nuova Costituzione”.

Pećanin rivolgendosi a Sekulić afferma “non so se vorrà essere d’accordo su questo, ma a me sembra che dall’inizio della guerra in BiH non sia mai esistita una situazione politica senza speranza come questa che dura dalle ultime elezioni”. Sekulić risponde: “concordo sulla tua percezione della situazione. La coalizione al potere di tre movimenti populistici che si autodefiniscono in modo pretenzioso partiti, già dalle prime elezioni del 1990, non ha fatto nulla di importante nell’ottica delle soluzioni politiche, sociali, economiche, culturali e delle questioni morali o della crisi. Essa oggi può riconoscere solo ciò che fa sotto la pressione della comunità internazionale, e il modo e la logica di un riconoscimento forzato è la nostra realtà attuale. È vero che l’SDP non si è ancora ‘ristabilito’, se mai un tempo sia stato politicamente ‘sano’”.

In riferimento ai due anni di governo dell’Alleanza per i cambiamenti e alla guida dell’SDP di Zlatko Lagumdžija, appoggiato da Sekulić, quest’ultimo fa notare che “non bisogna dimenticare che quei due anni di governo dell’Alleanza sono stati gli unici nei quattordici anni di massacro prepolitico della gente della BiH da parte dei tre citati soggetti populistici. Ciò che di meglio hanno fatto è senz’altro la dignitosa instaurazione di relazioni di partenariato con la comunità internazionale e l’aver rivolto l’attenzione sul fatto che nel quadro esistente delle relazioni politiche interne ed esterne non è possibile risolvere nemmeno l’organizzazione politico statale, né realizzare in modo pressoché convincente una piattaforma per soluzioni di lungo corso della povertà sociale attraverso la via di una buona economia in tutta la BiH”.

Senad Pećanin ricorda sul finire dell’intervista che Gajo Sekulić è uno dei più severi critici dell’attuale Alto rappresentante e gli chiede “Cosa rimprovera di più a Paddy Ashdown?”. E Sekulić risponde: “Sulla base di letture che durano da anni di Kant, Hegel, Marx e Heidegger, tento un concetto di critica, come procedimento per discernere il vero dal falso, il male dal bene ecc. Diciamo che da Hegel ho imparato che la critica o la dimensione critica del suo concetto di cambiamento del vecchio col nuovo non è solo la negazionedi quest’ultimo, ma il mantenere gli elementi del vecchio e portarli ad un livello più alto. Ecco perché mi considero un amante della verità critico della politica di potere di Ashdown e del suo ruolo in BiH. Egli è sovrano… Ma per questo suo ruolo sono colpevoli i nostri falsi democratici che si spacciano in BiH come salvatori dei propri popoli. Ashdown dovrebbe, già da oggi, instaurare molto più seriamente un dialogo e una collaborazione con l’opposizione e le istituzioni della popolazione civile e democratica”.

Qual è il potenziale di ciò che chiamiamo ‘settore civile’ in BiH?”, chiede infine Pećanin. “Enorme - risponde Sekulić - ma non è ancora articolato, né quello civile, né tanto meno quello sindacale”.

#########

Il 16 gennaio il settimanale DANI aveva pubblicato una prima intervista con un’altro degli intellettuali più noti dell’ambiente culturale bosniaco. Si tratta di Zdravko Grebo, professore di Diritto alla Università di Sarajevo e direttore del Centro per gli studi interdisciplinari. L’intervista, come la precedente, tocca i punti nevralgici della pessima situazione in cui versa la BiH e l’ultima domanda che viene rivolta a Grebo riguarda la proposta dell’ESI. Partiamo da quest’ultima domanda, per poi risalire il testo dell’intervista.

Emir Suljagić, giornalista di DANI noto pure per i suoi reports dal Tribunale dell’Aia per alcune testate internazionali, chiede al professor Grebo come vede la proposta dell’Iniziativa europea per la stabilità (ESI). Grebo risponde affermando che “questa iniziativa è buona perché smuove le cose da un punto morto. Tutta la storia dei 12 cantoni mette la federazione in difficoltà, perché avrete di nuovo quanto meno la tendenza che i cantoni si profilino su base nazionale, e questo sarebbe già un passo verso la terza entità. Per quanto riguarda la Republika Srpska, che cesserà di essere un’entità, essa rimarrà intatta, ma tutta la prima classe di politici della RS ha detto che questo non va bene, anche se alla fine sanno tutti che l’importante è che non venga toccato il nome. Un tale progetto in prima battuta non è certo la soluzione più felice, ma come, primo e serio, inizio di fondazione dello stato è buono. La nuova realtà e le nuove tendenze indicano che lo stato può essere molto decentralizzato e lasciare il potere alle regioni, che in BiH sono sempre esistite. Se doveste chiedere ad un Bosniaco, che non si sia completamento smarrito nella mitomania nazionale, vi direbbe che esiste la Podrinje, la Bosnia centrale, la Kraijna, la Posavina e l’Erzegovina. Una tale ordinamento della BiH potrebbe risolvere le questioni della collaborazione con le regioni confinanti, negli stati confinanti, i quali affrancherebbero le ‘patrie di riserva’ dalle preoccupazioni per determinati segmenti della popolazione della BiH, mentre il loro più grosso dispiacere sarebbe quello di non vivere lì.

Perché esiste pure una terza variante, che sento sempre più spesso: se i Serbi e i Croati si considerano tali in senso politico, non riconoscono la BiH, oppure con ardore, pensano che un giorno si uniranno alla Serbia o alla Croazia, i Bosniaci, e questo le sento sempre più spesso, li lasceranno andare, ma ‘non gli lasceranno portare via la terra’. Quella zolla di terra appartiene a noi e a loro, e noi in modo forte e chiaro dobbiamo riconoscere quello stato come quello sul quale abbiamo un comune diritto, perché ci aspettiamo che un domani in questo stato ci possa andare bene
”.

Grebo vede che “L’unica strada che la BiH può percorrere per fare in modo che un giorno divenga un bel posto in cui vivere è l’incoraggiamento delle vere forze proeuropee affinché facciano sentire la loro voce europea in modo deciso. Dall’altra parte l’Europa di quelli che tengono le dita incrociate sotto la sedia quando dicono che vogliono entrare in Europa, devono impegnarsi a mantenere tali promesse. Finché ci tengono con un guinzaglio corto, ci sarà dell’instabilità, non si realizzeranno vere cooperazioni tra i soggetti politici nemmeno in BiH, né nelle immediate vicinanze. Temo che un giorno anche noi in BiH si inizi a produrre dei sentimenti anti europei”.

Suljagić: “Sarebbe un suicidio”.

Grebo: “Non abbiamo altra scelta. Tutte le altre possibilità le abbiamo abbandonate da tempo, e sono pure compromesse alla base, ma in questo la BiH ne ha la minima colpa. Assolutamente è impensabile lo spettro dei crimini di guerra che qui sono stati commessi. Però, se come gente pragmatica pensiamo a ciò, probabilmente ci porremmo la domanda ‘perché ci siamo dovuti distruggere così crudamente, per chiedere poi tutti di nuovo di ritornare uniti?’. Ovviamente non in un quadro di una qualche Jugoslava, ma prima di tutto come Balcani occidentali, e poi, tutti nel pacchetto delle integrazioni euroatlantiche. Finché non costruiremo un forte consenso politico e una coerente decisione politica, presso quelle persone che decidono su ciò, le iniziative di Bruxelles dovrebbero inviare segnali più chiari, nei quali dovrebbero essere compresi, la collaborazione tecnologica, la collaborazione sulla scuola superiore, l’incoraggiamento degli investimenti e, naturalmente, tutti quegli aspetti che comprendono la libertà di movimento del capitale, dei servizi e delle persone. Se in Bosnia ed Erzegovina non lasciate che si parta, che si collabori, che ci si prepari e si faccia di questo paese uno stato normale, che non induca sospetto, allora fate in modo che questa gente sia anti europea o, eventualmente, che vada a cercare la sua possibilità di vita al di fuori della BiH”.

Suljagić a questo punto afferma: “La comunità internazionale, ossia il suo ‘esecutivo’ in BiH, è diventata, invece, la parte peggiore del folklore politico di questo paese, ed è finita in simbiosi con i partiti nazionalisti…” Al che Grebo ribatte: “La maggior parte dei rappresentanti della comunità internazionale si comporta in modo più o meno arrogante, maleducato, non conoscono né la tradizione, né il potenziale intellettuale di questo paese. Dall’altra parte avrete sempre a che fare con la domanda ‘ma loro cosa ci fanno qui?’. Loro sono qui su mandato internazionale e ogni fortunato che si è seduto su quella posizione di sovranità, ha prolungato il proprio mandato: quello che c’è adesso è signore assoluto della BiH, ha un’autorità sovracostituzionale. Questo tipo di governo presenta due aspetti: un falso e pubblicamente manifesto desiderio di benessere del popolo della BiH, che si manifesta con un’enorme accettazione dell’OHR, SFOR, OSCE e dei tribunali stranieri nei nostri tribunali, che è una considerevole umiliazione. Dall’altra parte, gli imbroglioni al potere evidentemente non pensano di fare qualcosa. Loro, naturalmente, esistono per non fare nulla, il loro interesse è coalizzarsi per rimanere al potere. Il loro desiderio nascosto, considerando che così costituiti non possono fare niente, anche se pensano di farlo, è che domani si sveglieranno e ciò che non sono stati in grado di fare lo farà l’Alto rappresentante al posto loro. Con queste mantenete due cose: la base delle promesse elettorali fatte al proprio popolo, e dall’altra parte scaricate su qualcun altro la responsabilità di risolvere al vostro posto le questioni. L’uscita, quando sarà possibile costituirla, sta nella creazione di una massa critica, che in modo un po’ impreciso possiamo definire società civile, o nella creazione di condizioni tali che i prossimi tre anni trascorrano nella creazione di un cambiamento della coscienza politica, che alle elezioni conduca alla vittoria delle forze pro bosniache. Quando dico questo penso alle forze che come loro priorità hanno lo stato BiH, a prescindere da quale sia il successivo sulla lista dei valori. Dobbiamo essere consapevoli che la responsabilità è sia delle élite politiche ed economiche incompetenti, ignoranti, ma anche nostra, della gente che ha votato per questo governo. Se testate l’opinione pubblica, vedrete che esiste un generale disaccordo: la gente comune non ha alcuna buona parola per il governo, ma nessuno si chiede chi lo abbia eletto”.

Suljagić chiede se non sia il momento di dire agli stranieri di andarsene via, e Grebo risponde: “Qui bisogna discutere su tre cose in parallelo: se non abbiamo nemmeno una vaga speranza che un giorno amministreremo lo stato, allora esso non deve nemmeno esistere. Quindi, se pensate di rimanere qui a lungo, rimanete: ma allora sarebbe stato più onesto, subito dopo Dayton, introdurre un vero protettorato in cinque anni e fare in modo che in quei cinque anni si creassero le condizioni per farci amministrare quello stato. A suo tempo ho inventato una barzelletta sul fatto che si dovrebbe introdurre un protettorato e che come protettori si assumano, diciamo, i giapponesi: così che per strada possiamo distinguere anche per la razza chi è il padrone e chi lo schiavo. Dobbiamo dire: noi possiamo, se possiamo, amministrare questo stato! Ciò creerebbe lo spazio per quella gente che lo può fare, affinché lo faccia. Chi non può fare niente, che se ne vada, si faccia da parte. Inoltre, terza cosa, dobbiamo tenere presente l’aiuto regionale, e l’integrazione europea, nel senso che le tensioni in BiH esisteranno finché nei due paesi confinanti che hanno esercitato un’aggressione su questo stato, non avremo dei governi che riconosceranno che la BiH è uno paese sovrano e che la storia sulla proprietà di sue parti è impossibile. In questo modo la comunità internazionale concorrerà alla stabilità di questo paese, ma non nell’immischiarsi negli affari quotidiani che alcune volte terminano in banalità. Sì, dovrebbero lentamente fare i bagagli. Ci siamo noi che li aiuteremo anche a portagli le valigie”.

Interrogato da Suljagić sul ruolo dei circoli accademici nel dopoguerra, Grebo rileva come ci sia una sorta di vuoto di interesse, di mancanza di critica e di pensiero. Dove ci sono i presupposti per ciò si è scelto il conformismo e quando si ha qualcosa da dire si tacciono i problemi… Ma ciò che c’è di peggio è che la maggior parte delle élite politica appartiene all’ambiente accademico, sicché –secondo Grebo - hanno perso la possibilità di esprimersi in modo critico sulla situazione sociale. Per Grebo, “una comunità accademica in senso accademico non esiste e figurarsi nel senso della produzione di idee. Una piccola speranza è rappresentata dai giovani che hanno una buona educazione unita ad una sensibilità assolutamente morale e moderna”.

Suljagić chiede poi al professore di Sarajevo come mai i giovani hanno così paura di occuparsi di politica. Così risponde Grebo: “Per prima cosa, né la classe media, se ne esiste una, né i nuovi ricchi e i magnati, né la popolazione femminile, né i giovani sono un gruppo omogeneo. Probabilmente troverete fra i giovani dei buoni nazionalisti ed estremisti, forse anche migliori di quelli vecchi perché meglio istruiti. Dopo la caduta del comunismo, alla quale è seguita la guerra, esiste un senso di impotenza, di apatia che porta alla frustrazione… L’enorme numero di astensioni alle scorse elezioni, credo che abbia empiricamente dimostrato che si tratti dei giovani e della popolazione urbana. Il non andare a votare è diventato persino un modo di fare, fra gli studenti è venuto di moda il non votare, come se fosse la più alta virtù morale. Però potete chiedervi di nuovo se è la mancanza di prospettiva il motivo di ciò, perché la maggior parte di loro desidera andarsene da qui!”. Un ulteriore elemento che occorre tenere in considerazione secondo Grebo è il fatto che “a parte forse la Slovenia, da nessuna parte esiste uno spettro politico definito. Se qualcuno vi dicesse che è socialdemocratico, non significa che sappia che cosa sia la socialdemocrazia e di cosa prevede il suo programma.


Consulta l'archivio