A Belgrado e poi a Srebrenica, nove anni dopo
22.07.2004
Riceviamo e volentieri pubblichiamo il resoconto della manifestazione fatta a Belgrado dalle Donne in Nero nell'anniversario della strage di Srebrenica, e del loro viaggio al memoriale di Potočari l'11 luglio
Di Jasmina Tesanović - Donne in Nero, Belgrado
Traduzione a cura di Barbara Sartori - Osservatorio sui Balcani
10 luglio
Era il compleanno di mia figlia, 20 anni, una data piuttosto importante per una persona che è cresciuta in Serbia nel periodo di Milošević, nata lo stesso giorno di sua moglie Mira Marković, che ha continuamente celebrato il fortunato evento che ha rattristato tutti noi non solo dal punto di vista politico ma nel mio caso anche da quello personale.
Ho la sensazione che anche quel momento piuttosto raro nella vita privata ci sia stato portato via in quanto persone, e reso una farsa pubblica, se non un crimine: così perché preoccuparsi di celebrarlo, dato che mia figlia è nata nel 1984, l’anno nero della fantascienza di Orwell che si è trasformato in qualcosa di reale nella storia della Serbia, nella mia famiglia abbiamo sviluppato l’abitudine di condividere questo giorno privato come fosse una questione pubblica.
Quest’anno, come ogni inizio di luglio, c’è stata la manifestazione delle Donne in Nero in Piazza della Repubblica [a Belgrado, n.d.r.] per le vittime di Srebrenica, 9 anni dopo il massacro, in occasione della sepoltura dei 338 nuovi corpi identificati, in totale più di mille sugli 8.000 che sono scomparsi.
Abbiamo regolarmente denunciato la nostra manifestazione, ottenuto i permessi ufficiali, ma una volta là ci siamo resi conto che la piazza era già occupata da due eventi commerciali molto rumorosi, così ci siamo ritirati sotto il famoso orologio di Ljilja (un nostro attivista), dove nei mesi passati abbiamo raccolto le firme, prima per l’abolizione della legge che sostiene i criminali di guerra dell’Aja, poi per il “nostro” candidato, recentemente eletto presidente, Boris Tadić.
Prima che addirittura riuscissimo a stendere i nostri striscioni, una donna, tra i soliti che si fermano a guardare, è venuta avanti ed ha iniziato a urlare: traditori, prostitute, agenti della CIA, malati di AIDS, il solito repertorio… La polizia, che era posizionata sul nostro lato, è rimasta passiva; la donna è corsa verso il nostro gruppo di circa 50 persone iniziando a colpire a casaccio, ha colpito Ljilja, Cica, Staša e Slavica, in modo forte e veloce. Finalmente poi la polizia l’ha fermata, mentre le nostre Donne in Nero stavano cercando di rispondere non particolarmente sorprese, era successo altre volte.
È successo anche solo due mesi fa, quando tre dei nostri attivisti sono stati picchiati ripetutamente ma nessuno arrestato, e naturalmente molte altre volte durante il regime di Milošević.
Ci siamo organizzate rapidamente nel solito cerchio, con i nostri striscioni pacifisti, antimilitaristi ed antinazionalisti, richiedendo la responsabilità del passato e presente regime per il massacro di Srebrenica.
Questo ha convinto altri ad unirsi alla combattiva donna. Qualche altra donna ed alcuni uomini. Ho riconosciuto una persona presente l’ultima volta che i nostri attivisti furono picchiati ed un’altra della famosa marcia per l’orgoglio gay e lesbico del 2001, quando 15 attivisti furono incessantemente molestati e picchiati e presi a sputi da 900 hooligans insieme ai membri dell’organizzazione nazionalista Obraz.
Siamo rimaste per un’ora ad ascoltare le loro minacce e le loro offese, estremamente violente questa volta: ci minacciavano di scuoiarci la prossima volta, che sarebbero venuti con le armi, di consegnarci alla corte dei traditori…di stuprarci… Cantavano Ko to kaze ko tolaze Srbija je mala (una canzone nazionalista), ed urlavano i nomi dei loro eroi, Sešelj, Mladić, Karadzić, Milošević… La polizia ha preso le loro generalità così come quelle di coloro che avevano assalito le Donne in Nero e poi è rimasta in silenzio.
Dopo la manifestazione abbiamo chiuso i nostri striscioni e ci siamo sedute nelle vicinanze della Gradska kafana (un ristorante): non volevamo andarcene una alla volta, e poi avevamo ospiti stranieri che erano visibilmente turbati.
Speravamo che i molestatori se ne sarebbero andati prima, invece erano raccolti intorno a noi aspettando… Dopo un po’ di tempo ci siamo alzate e abbiamo chiesto alla polizia di proteggerci facendo andare via gli aggressori. Invece i poliziotti ci hanno chiesto di andarcene dicendo che non potevano proteggerci, sebbene fossimo in numero maggiore rispetto agli hooligans, sebbene avessimo tutto il diritto morale e legale di essere dove eravamo e di fare quello che facevamo.
Sebbene il giorno seguente il candidato democratico sarebbe stato proclamato il presidente ufficiale della Serbia, sebbene…
Siamo state messe su alcune macchine e ci è stato negato il diritto di camminare per le strade, alcune di noi erano furiose, alcune spaventate, ma credo che la maggior parte di noi fosse semplicemente abituata.
Srebrenica è una brutta parola nella Serbia moderna, quasi peggiore che femminismo e le Donne in Nero mettono insieme entrambe…
Il giorno seguente, alla mattina presto, siamo andate a Srebrenica per la manifestazione rituale nella valle della memoria, dove le vittime sono seppellite. Le nostre amiche donne ci hanno salutate e ci hanno lasciato la prima fila così che il nostro striscione “Donne in Nero di Belgrado” potesse essere visibile al pubblico, alla stampa… e non mancasse mai di essere notato, perché è importante, per loro, per noi…
Paradossalmente questi ultimi anni per noi è diventato più sicuro e più significativo stare a Srebrenica l’11 luglio, che non a fianco del primo presidente democratico, che abbiamo supportato con tutta la nostra forza affinché fosse eletto, mentre veniva consacrato lo stesso giorno a Belgrado: perché abbiamo dovuto scegliere e, data la scelta, perché solo pochi di noi erano a Srebrenica… e perché il fatto ovvio che a Srebrenica siano scomparse 8.000 persone, alcune delle quali trovate sepolte in Serbia, non diventa mai un fatto, una realtà a Belgrado.
Avevo un desiderio per il 21° compleanno di mia figlia il prossimo anno: che i 338 corpi fasciati che sono passati di mano in mano, a Brutanac, dai parenti dei sopravissuti, passassero qui nella Piazza della Repubblica, tra noi cosiddetti rispettabili cittadini e la polizia che ogni anno solo ci guarda silenziosamente mentre i criminali di guerra ed i loro rumorosi sostenitori dettano le regole secondo le quali siamo tutti loro ostaggi, volenti o nolenti.
So che il mio desiderio non diventerà mai realtà, ma so anche che se smettiamo di desiderare possiamo ottenere quello che vogliamo realmente, come dice un proverbio inglese. […]
PS: perchè la natura diventa così bella dove è stato commesso un crimine, ha detto una mia amica. Aveva ragione; non presto mai attenzione alla natura fino che non sono obbligata a farlo.
La valle di Srebrenica lo sta pretendendo: i colori verdi intensi, i rasserenanti suoni del vento e degli uccelli, il sole cocente che tocca senza urtare… la forma delle nuvole… la nitida linea di demarcazione del luogo del crimine. Da un lato i vagoni abbandonati del treno, le baracche, le erbacce… il filo di ferro spinato… nelle stesse condizioni di 9 anni fa; là le vittime di sesso maschile venivano tenute separate dalle loro famiglie… dicono che più tardi furono giustiziati in qualche altro posto… è l’atmosfera di Auschwitz che fiancheggia il triangolo della valle, colpisce per la sua efficienza organizzativa, così tante persone giustiziate in così pochi giorni, la tecnologia mi spaventa, e le immagini di Mladić che getta cioccolate ai bambini dietro il filo spinato…
L’altro lato è una collina, non molto erta, oggi ricoperta da modeste tombe uguali delle vittime recuperate ed identificate…
Il terzo lato è una ripida collina con un albero o due, dove solitamente veniamo e stiamo durante le preghiere rituali.
Nel mezzo, il memoriale eretto l’anno scorso, una costruzione che assomiglia ad una tenda, una cupola, sotto la quale i corpi sono disposti in file, dove il prete e coloro che parlano fanno riferimento a Dio ed alle regole comuni.
Non è un triangolo con lati uguali, non ricorda la giustizia e la bellezza, è anche lievemente sinistro quando le ombre iniziano ad avanzare nel tardo pomeriggio, ma in ogni caso, ogni anno là ho una catarsi, anche se non sono una musulmana, non sono una credente e non sono nemmeno più una straniera lì.
Il posto ha quella strana bellezza del luogo di un crimine: là dove gli uomini hanno commesso un torto, la natura si ribella.