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L’Unione Europea vista dal Kosovo

07.02.2006   

Alla vigilia dell’apertura dei negoziati sullo status, il quotidiano di Pristina Koha Ditore traccia un primo bilancio delle politiche sin qui condotte in Kosovo dall’Unione Europea. Sulla base dei risultati raggiunti, è lecito auspicare un’estensione del ruolo di Bruxelles nella regione?
Di Lundrim Aliu, Koha Ditore, gennaio 2006; traduzione di Nerimane Gamberi per Le Courrier des Balkans e di Carlo Dall’Asta per Osservatorio sui Balcani

Da giugno l’Unione europea analizza natura e struttura dell’impegno assunto in Kosovo. Un impegno che durerà probabilmente a lungo e che porterà a delle trasformazioni. Secondo alcune fonti internazionali, ci sono già state delle proposte per un suo nuovo ruolo, compresa una possibile tutela UE sul Kosovo. Un ruolo futuro dell’UE in Kosovo trova ugualmente un sostegno negli studi universitari, molti dei quali concludono che l’UE in quanto attore internazionale, benché non sia ancora in grado di assicurare la pace per mancanza di capacità militari, è adatta a gestire crisi a lungo termine, come la ricostruzione della pace dopo un conflitto attraverso la ricostruzione economica e politica, particolarmente laddove essa può agitare la carota dell’adesione. Ma quali sono i risultati fin qui raggiunti dall’UE in Kosovo, e perché sono proprio questi? I risultati dell’UE in Kosovo rappresentano anche i risultati della sua politica estera nei Balcani occidentali, dato che l’instabilità di una parte della regione significa l’instabilità di tutta la regione.

L’UE continua ad essere il più grande donatore in Kosovo. Globalmente, i suoi aiuti dal 1999 al 2005 assommano a quasi 1,6 miliardi di euro. E secondo un documento della Commissione europea, se si includono i costi dell’operazione di peace keeping, l’investimento dell’UE per la pace e la stabilità in Kosovo raggiunge gli 8 miliardi di euro.

Si possono distinguere tre differenti aspetti nel ruolo dell’UE in Kosovo: la partecipazione finanziaria e politica all’UNMIK, l’aiuto finanziario per la ricostruzione materiale e la rifondazione delle istituzioni, e il lavoro di avvicinamento del Kosovo all’UE.

Ricostruzione e sviluppo economico

Anche se la stabilità, la pace e la prosperità sono l’obiettivo della politica estera della UE in Kosovo, nella divisione internazionale dei compiti l’UE è stata designata a condurre lo sviluppo economico. Il suo obiettivo a breve termine era quello di creare un settore privato capace di creare posti di lavoro e di stimolare la crescita, mentre l’obiettivo a lungo termine era la creazione di una solida economia di mercato. In che misura le disposizioni dell’UE hanno contribuito a raggiungere questi obiettivi?

Due ambiti considerati essenziali per la prosperità economica - le privatizzazioni e l’energia – devono essere analizzati più in dettaglio. Per arrivare ad una crescita dell’economia e ad un mercato solido, l’UE ha utilizzato gli aiuti macroeconomici finanziari, le misure commerciali preferenziali e i fondi per le riforme strutturali dell’AER (Agenzia europea per la ricostruzione) e ha finanziato, se non gestito direttamente, le attività del IV Pillar dell’UNMIK nella gestione economica. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha stimato nel 2005 che il lavoro di riadattamento fosse pressoché completo e che erano state poste le basi di una stabilità macroeconomica, ma che non c’era alcuna crescita economica forte. Ha calcolato un tasso di disoccupazione del 33%, benché altri lo valutino fino al 60%.

Secondo una serie regolare di sondaggi condotti dall’UNDP, la disoccupazione è in ordine di importanza la seconda preoccupazione dopo quella della questione dello status del Kosovo, e per esempio nell’aprile 2004 è apparsa come la prima preoccupazione. In un altro sondaggio, condotto a novembre 2004, il 30% degli intervistati albanesi del Kosovo ha dichiarato l’intenzione di emigrare, e di questi l’84,9% ha citato la situazione economica familiare come principale ragione per volersene andare.

In Kosovo nel 2004 la speranza di vita e l’istruzione sono migliorate rispetto al periodo immediatamente successivo al conflitto, ma la percentuale di persone che vivono in povertà estrema è aumentata. Con un PIL di 800 euro per abitante, il Kosovo è il Paese più povero dei Balcani occidentali. Il Kosovo non è stato in grado di utilizzare le misure commerciali preferenziali accordate dall’UE, a causa della scarsa qualità dei suoi prodotti e dell’incapacità di rispondere agli imperativi tecnici. L’UE ha confermato che l’economia del Kosovo si sviluppa molto lentamente, e che gli investimenti e la crescita «sono ostacolati dalla questione della sicurezza e dalle incertezze legate alla risoluzione finale dello status».

Le privatizzazioni

Il Pilastro (Pillar) guidato dall’UE era inizialmente giunto alla conclusione che l’economia in Kosovo dovesse essere guidata dal settore privato, ma quest’ultimo è risultato essere troppo debole. Il settore privato che avrebbe dovuto creare posti di lavoro doveva venire formato attraverso la privatizzazione. La privatizzazione è stata molto lenta. L’FMI ha criticato anche il processo di privatizzazione: «La lunga pausa ha nuociuto alla prospettiva di attirare investimenti, mentre i disaccordi, fortemente politici, tra le Istituzioni Provvisorie di Autogoverno (PISG) e l’UNMIK hanno minato la fiducia degli investitori».

L’energia elettrica

Le aziende pubbliche come la Compagnia Energetica del Kosovo (KEK), le Poste e Telecomunicazioni (PTK) e l’Aeroporto internazionale di Pristina, molto importanti per l’economia, sono state gestite dal Pilastro dell’UE. Una delle aziende pubbliche più importanti, per numero di dipendenti e finanziariamente, è la KEK. È interessante studiare questa compagnia non solo perché essa è gestita dal Pilastro dell’UE, ma anche perché essa ha ricevuto un terzo degli aiuti finanziari dell’UE in Kosovo – circa 400 milioni di euro - come contributo dell’AER per le infrastrutture.

Nonostante ciò, a dispetto degli importanti fondi dell’UE e di altri donatori, la crisi energetica resta grave. Sei anni dopo la fine della guerra, le interruzioni di corrente sono frequenti, causando lo scontento della popolazione, tensioni tra gli uomini politici del Kosovo e gli amministratori internazionali, e una perdita di credibilità dell’UE a causa del suo ruolo nel Pillar dell’UE e degli infruttuosi investimenti dell’AER. Una alternativa spesso citata, per cui la UE avrebbe dovuto decidersi fin dal principio al fine di risolvere il problema energetico in Kosovo, era quella di costruire una nuova centrale, ma i funzionari dell’UE ricordano che all’epoca non sapevano per quanto tempo sarebbero rimasti in Kosovo, e che erano sotto la pressione di dover fornire elettricità.

L’UE è riuscita in alcune imprese, come quella di istituire e rendere efficiente il servizio di dogana. Questo servizio dal settembre 1999 raccoglie delle entrate che rappresentano la voce più importante del bilancio del Kosovo, quello che finanzia il lavoro delle istituzioni. L’FMI ha valutato molto favorevolmente il sistema fiscale stabilito in Kosovo dal Pillar dell’UE, concludendo che «il Kosovo è notevolmente riuscito a ricostruire il suo sistema fiscale». Esso ha ugualmente plaudito alla decisione di utilizzare l’euro come valuta, il che ha portato ad una disciplina nel settore finanziario.

Come è percepito il lavoro dell’UE?

In un sondaggio pubblicato dalla Commissione indipendente per i Balcani, il 71% degli intervistati si è dichiarato pro-europeo, il 10% pragmatico, il 5% anti-UE e il 14% senza opinione. Ma mentre esiste una volontà di integrazione europea, contemporaneamente esiste uno scontento riguardo all’operato dell’UE in Kosovo.

Il Pilastro della UE, per esempio, non ha incluso nelle sue attività l’agricoltura, mentre il 60% della popolazione vive in zone rurali in cui la povertà è gravissima, e questo mentre il Kosovo importa prodotti agricoli. L’altra parte del contributo dell’UE, l’AER, non si è impegnata nello sviluppo economico, così importante. L’AER ha compiuto con successo la ricostruzione materiale, così necessaria, del Kosovo, ed è passata ad aiutare la ricostruzione delle istituzioni. Mentre le infrastrutture distrutte venivano ricostruite, non è stata costruita alcuna nuova importante infrastruttura. Il Kosovo si trova nello stato in cui si trovava all’inizio, in termini di infrastrutture, benché siano passati sei anni.

La mancanza di sforzi per lo sviluppo è particolarmente importante ora che l’UE ha diminuito i suoi fondi per il Kosovo, in un momento in cui il Paese non è ancora capace di fare investimenti pubblici nelle infrastrutture e nella ristrutturazione economica necessarie per rimettersi alla pari con gli altri nell’integrazione europea.

L’Organizzazione

La presenza dell’UE ha sollevato un altro problema: a chi render conto? Non è affatto chiaro di chi sia la «proprietà» della presenza UE in Kosovo. Essa usa ovunque la bandiera della UE, sulle targhe dei suoi automezzi c’è scritto «EU», mentre nelle offerte d’impiego essa si presenta unicamente come il IV Pilastro dell’UNMIK. I documenti e i siti internet pubblici della UE si rapportano ad essa come Pilastro dell’UE, ma i funzionari dell’UE dal 2004 vi fanno riferimento come al «Pilastro finanziato dall’UNMIK». L’UE ha contribuito a questo Pilastro fin dall’inizio attraverso la Commissione europea, ma non è affatto chiaro fino a che punto essa sia amministrata dal Consiglio. Il capo dell’ufficio legale del Pilastro dell’UE lo ha chiamato «il Pilastro ibrido», spiegando che «la responsabilità finanziaria è verso Bruxelles e la responsabilità operativa è verso il locale Rappresentante speciale del segretario generale (SRSG), e verso quello di New York». La confusione intorno a tale questione ha potuto nuocere alla credibilità della privatizzazione.

A quando dei Balcani «stabili e prosperi»?

L’obiettivo dell’UE di un Kosovo e di Balcani occidentali stabili, pacifici e prosperi, non è stato ancora raggiunto. I progressi fin qui realizzati nello sviluppo economico e democratico sono fragili. Lo status politico non definitivo del Kosovo e la mancanza di mezzi economici sono sempre i problemi principali, che rappresentano una sfida per la stabilità. È difficile dire che una sola istituzione abbia avuto successo in Kosovo ed è ugualmente difficile accusare una sola istituzione per la mancanza di stabilità.

Il caso del Kosovo ha dimostrato che l’UE è abile nella ricostruzione. Ma lo sviluppo economico e il mantenimento della pace esigono un impegno maggiore di quello necessario per la ricostruzione materiale e quella delle istituzioni. Nel caso del Kosovo, una politica a lungo termine ed investimenti in settori come le infrastrutture e l’agricoltura sarebbero stati di grande aiuto. L’UE è venuta in Kosovo senza avere una strategia chiara sulla questione dello status e si è arenata non sviluppando neppure in seguito una tale politica, mentre il Kosovo è una buona occasione per l’UE per dimostrare la sua capacità di gestire problemi difficili e di assumersene la responsabilità.

L’operato dell’UE in Kosovo fino ad oggi non è una prova incoraggiante che l’UE possa in futuro assumere un ruolo più importante in Kosovo o prendere il posto dell’UNMIK. Ciò nonostante, con dei miglioramenti nella strategia, degli obiettivi più chiari e una maggiore capacità di leadership, l’UE può apportare dei miglioramenti duraturi in Kosovo e nella regione.

Bisogna qui ribadire che l’UE è intervenuta in Kosovo dopo il conflitto, in un contesto difficile, che in una certa misura ha predeterminato le possibilità di successo della sua missione. Si può dire che i risultati positivi della missione UE in Kosovo siano limitati, ma è anche doveroso dire che la responsabilità degli insuccessi va condivisa col resto della comunità internazionale, particolarmente per quanto riguarda la mancanza di una strategia nel trattare la questione dello status.
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