"Tera de confin" è la mailing list creata da un gruppo di istriani e dalmati nel mondo. 60 anni dopo la tragedia dell'esodo, il loro ricordo evidenzia un destino singolare: "Ciò che rimane della vittima viene utilizzato come arma contundente negli scontri politici". Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Di Umberto Usmiani*
Sessant'anni, quasi lo spazio di una vita, sono passati ormai dalla data di inizio dell'esodo che ebbe quale prima conseguenza un drammatico cambiamento nell'assetto etnico istriano. Sessant'anni che sono stati accompagnati da fondamentali cambiamenti epocali e da avvenimenti che realmente hanno mutato la storia del mondo.
La caduta del comunismo in Unione Sovietica, il conseguente consolidarsi degli Stati Uniti come potenza egemone sul pianeta, l'affacciarsi della potenza cinese come simbiosi di teorie marxiste e di sfida aperta nell'ambito dell' economia di mercato, l'introduzione dell'informatica e delle nuove tecnologie di comunicazione, il nascere di nuovi modi di affratellamento hanno realmente cambiato la faccia al mondo in maniera totalmente irreversibile. Basta d'altra parte rivedere le foto di quei tempi per confermarsi quanto siano ormai remoti e raggiungibili solo dalla memoria.
Eppure proprio a quei tempi ci si riferisce spesso nel tentativo di resuscitare antiche tensioni che, proprio per il fatto che nacquero tra entità che dovrebbero ormai giacere sepolte nella memoria comune, paiono ormai fuori dalla logica.
Mi riferisco, è ovvio, alla "questione orientale", al tentativo così comune in questi anni di fingere ancora in vita il fantasma della contrapposizione tra i popoli confinanti attorno allo storico nodo di
Trieste.
A chiunque osservi la situazione con occhio critico appare infatti subito chiaro che i presupposti che scatenarono i conflitti dello scorso secolo non esistono più. Il grande Impero di Austria ed Ungheria dal cui lento disfacimento ebbero nutrimento i nazionalismi è ormai poco più di un ricordo lontano. Italia, Slovenia e Croazia hanno fondato e consolidato i propri stati nazionali attraverso sanguinose vicende. Il mondo intorno ad esse è più volte cambiato mutandone, allo stesso tempo, la funzione in seno alla comunità internazionale… Soprattutto, attraverso la progressiva integrazione nella Nuova Europa, sono di fatto caduti i confini che per tanti anni hanno diviso queste nazioni.
Si potrebbe a questo punto pensare che dopo tanti sovvertimenti e con il crollo dei confini siano stati definitivamente archiviati anche i pregiudizi, le avversioni, i contenziosi che hanno avvelenato i rapporti di queste genti apparentemente così diverse ma che proprio in queste zone avevano nei secoli e prima della bufera del fascismo, trovato un felice modo di convivere creando una cultura multietnica totalmente aperta verso l'esterno.
Si potrebbe pensare… ma purtroppo la realtà di tutti i giorni smentisce questa speranza. Riciclati, giustificati dalla mitizzazione del passato, questi antagonismi sembrano, proprio negli ultimi anni,
riprendere forza quasi a negare di fatto i presupposti che la progressiva entrata nell'Unione Europea (UE) sembrerebbe invece assicurare.
Qual è dunque l'origine di questo profondo disagio che sembra voler vanificare la grande occasione di poter ricreare una fratellanza a cavallo delle antiche frontiere?
Ragioniamo insieme: chi fu sottoposto 60 anni fa al trauma dell'esodo è ormai figura laterale nella vita del paese e sarebbe comunque azzardato pensare che neppure quei 60 anni abbiano potuto lenire il giustificato dolore di quegli anni. La generazione successiva si è in gran parte distaccata dal mondo dei padri: per decenni abbiamo letto sulla stampa degli esuli la malinconica, consueta constatazione: "I giovani non ci seguono. Finita la nostra generazione tutto finirà".
Mancano d'altra parte i presupposti perché questo dolore si perpetui negli anni e nelle generazioni: l'accesso alle terre abbandonate dai padri è libero da decenni, i pregiudizi degli anni '50 sono svaniti nel nulla e chi quelle terre le abita non ha alcun tipo di prevenzione, si ricerca in questi mesi un accordo definitivo sull'acquisto degli immobili che, nella pratica, è stato dribblato da anni da chi voleva veramente comperare qualcosa in Istria.
Eppure assistiamo a manifestazioni apparentemente inspiegabili: delle associazioni di esuli (ma quanti iscritti hanno queste associazioni? E quanti degli iscritti sono esuli?) che proclamano in sede europea di essere rappresentanti dei sopravvissuti ad un genocidio, simboli istriani che
diventano emblemi della peggior destra picchiatrice negli stadi [la capra istriana color oro su fondo azzurro, stendardo storico dell'Istria, esposta recentemente all'Olimpico insieme a svastiche e fasci littori, ndc], un interesse alle vicende del passato certo encomiabile ma obiettivamente ridondante, una tensione anti slava che, invece di sopirsi, sale lentamente.
Dietro a queste manifestazioni di profondo disagio stanno, incredibilmente, proprio quelle forze che questo disagio lo crearono distruggendo il secolare equilibrio tra le genti istriane e dalmate, tentando l'italianizzazione forzata delle centinaia di migliaia di Croati e Sloveni inclusi nei confini del Regno d'Italia dopo il 1918, che aggredirono ingiustificatamente la Jugoslavia e l'occuparono militarmente durante la seconda guerra mondiale con metodi spesso inumani.
Queste forze che si identificarono un tempo nel fascismo e che oggi si rifanno più velatamente ad una destra "democratica" sono proprio quelle che troviamo oggi dietro a molte "resurrezioni" di concetti che si speravano sepolti.
Verrebbe da chiedersi come sia possibile, dopo la durissima lezione dello scorso secolo, pensare ancora a superiorità ed inferiorità, rifiutare il dialogo, ghettizzare intere popolazioni per le colpe del
secolo scorso, strumentalizzare gli attriti evidenziando le manifestazioni di intolleranza altrui e occultando consapevolmente le proprie.
Nella nostra mailing list abbiamo a lungo tentato di analizzare questi fenomeni e di darci delle risposte. Siamo persone con posizioni politiche diverse e spesso opposte, alcuni vivono in Italia, ma altri in Slovenia, Croazia, Serbia, Canada, Uruguay, Australia, USA e negli altri paesi in cui l'emigrazione del dopoguerra portò Istriani e Dalmati… Eppure abbiamo saputo creare uno spazio di
discussione libero dalle tensioni e dalle rivalità.
Siamo giunti concordemente alla conclusione che su queste vicende ci sono molte strumentalizzazioni, tanto più intense quanto più ci si avvicina ai grandi appuntamenti della politica italiana. Così il cancro che uccise la microciviltà del litorale adriatico minandone la multietnicità che ne era alla base continua a colpire ancora, e ancora una volta ciò che rimane della vittima viene utilizzato come arma contundente negli scontri politici interni e come forza di penetrazione in politica estera.
Come possiamo opporci a questo ennesimo scempio ? Noi una via l' abbiamo trovata: stringendo i legami tra le diverse etnie, organizzando iniziative comuni e paritarie, dando informazioni il più possibile centrate a chi si avvicina per la prima volta alla storia ed alla cultura del litorale.
Non pensiamo certo di risolvere tutti i problemi, ma se tutti facessero come noi…
*"Tera de confin"