Corruzione, ingerenze politiche, ristrettezza del mercato, scarsità delle risorse pubblicitarie: i media albanesi sono in crisi. Un commento del Direttore del dipartimento di giornalismo all’Università Aleksandër Xhuvani. Nostra traduzione
Di Ilir Yzeiri* per Korrieri, 28 agosto 2006; traduzione francese di Mandi Gueguen per Le Courrier des Balkans (titolo originale: "Albanie: les médias albanais entre crise et liberté surveillée") e di Carlo Dall’Asta per Osservatorio sui Balcani.
La stampa albanese in questi ultimi giorni ha insistentemente evocato l’idea di un conflitto tra i comproprietari del giornale Klan e quelli del canale televisivo Sat Plus. Inoltre, l’ufficio delle imposte avrebbe minacciato di chiudere due tipografie, “Eurorilindja” e “Demokracia”, perché non in regola con i loro debiti verso lo Stato.
Uno dei principali azionisti dei media in questione, il francese Julien Roche, ha indirizzato una lettera aperta al primo ministro Sali Berisha domandandogli di intervenire per risolvere la situazione.
Quanto alle tipografie, è uno dei giornali che vi viene stampato che ha lanciato l’allarme, dato che la loro chiusura metterebbe a repentaglio la pubblicazione di molti dei principali quotidiani albanesi.
Questi appelli si rivolgono più all’opinione pubblica che al primo ministro stesso, in modo tale da coinvolgere il più grande numero possibile di persone e rendere pubblico il fatto che lo Stato albanese non ha alcuno scrupolo ad impossibilitare la pubblicazione dei giornali e ad imbavagliare così la libertà di parola.
E, come sempre in Albania, il primo ministro è il primo ad essere preso di mira. Un giornalista pro-Berisha ha risposto alla lettera aperta di Julien Roche, contestando questa abitudine di scagliarsi contro Sali Berisha alla minima occasione, dato che quest’ultimo ha scelto di prendere le distanze dai media e di non intervenire negli affari specifici che li riguardano.
Ma davvero Sali Berisha non si immischia negli affari dei media? Questa sarebbe una buona nuova. In effetti, tutti ricordano il suo sogno di vedere il consiglio direttivo della radiotelevisione albanese, come ogni altro media pubblico, compresi quelli elettronici, gestito dalla società civile. Sogno che egli ha indubbiamente realizzato.
Il caso della tipografia “Demokracia” discenderebbe da questo stesso scenario? Questa tipografia fu la culla della libera stampa in Albania e, quando era presidente della Repubblica, Sali Berisha
non si assunse il rischio di distruggere con essa tutta la stampa libera.
Da allora l’ex presidente, divenuto primo ministro dopo una cura di opposizione, non esita ad andare avanti, abbattendo tutto al suo passaggio, al fine di lanciare il giornale “Albania”, oggi dotato di un considerevole capitale finanziario che gli ha permesso di lanciarsi nelle costruzioni immobiliari.
Investimenti marcatamente politici
Ai tempi della presidenza di Berisha vide la luce il giornale “Koha Jone”, che diventò leader del mercato giornalistico albanese grazie alla sua libertà di parola ed alla sua professionalità. Questa testata divenne ben presto uno dei più accaniti oppositori della politica di Sali Berisha.
Dopo il 1997, la stampa albanese si sviluppò ulteriormente: nacquero in particolare la compagnia mediatica che raggruppava la radio-televisione “Klan” e la rivista omonima, il giornale “Shekulli”, così come molte altre riviste e giornali. Ora, tutti i media scritti o televisivi che denunciavano l’operato di Berisha godevano sprattutto di investimenti stranieri, e talvolta anche locali, considerevoli.
Io resto convinto che l’Occidente aveva i suoi interessi a sostenere la libertà e gli standard democratici. Sali Berisha incarnava all’epoca il simbolo del potere autocratico ed antidemocratico. Al fine di distruggere il mito, certi organismi e certe fondazioni occidentali hanno sborsato somme considerevoli per sostenere i giornali che non gli erano del tutto favorevoli.
Un altro fenomeno apparso durante i primi anni della transizione è stato l’ingresso nei media da parte di investitori provenienti da compagnie che si erano imposte in altri ambiti commerciali. Ora, i pro-Berisha furono condannati se non a fare fallimento, perlomeno a vivacchiare alla meno peggio, sommersi dai debiti, boicottati com’erano da ogni organismo o fondazione straniera.
Io facevo parte di questi ultimi, e ho fatto le spese degli sforzi di Sali Berisha per fare convergere il tutto verso titoli come: “Albania: riciclaggio di denaro sporco”.
Gli otto anni di governo socialista hanno visto l’esplosione della scena mediatica, ma si è anche parlato di affari poco puliti, di diverse malversazioni e di riciclaggio di denaro nei media,
senza che le istituzioni preposte abbiano mai dato conferma di uno solo di questi casi. Si è anche parlato di clientelismo o di abuso di potere attraverso alcuni appalti e le pubblicità. Ne è testimonianza il recente caso dell’ “emendamento Lesi”, attraverso cui il parlamento ha tentato di regolamentare questo settore.
Sotto il governo socialista i media si sono sviluppati molto. Il denaro scorreva a fiumi nelle pubblicità, nelle campagne di sostegno finanziario, eccetera. Il governo di Ilir Meta aveva deciso di attribuire un fondo speciale ai giornali ed ai media elettronici. Parallelamente a questo slancio, la radiotelevisione pubblica albanese affondava e lasciava via libera agli investimenti nel campo audiovisivo. “Top-Channel” e gli investimenti di questa compagnia nei media sono stati i primi ad occupare questo nuovo spazio. Ma ecco tornare il tempo del conflitto, tra i proprietari delle compagnie mediatiche più importanti, che mette in evidenza che, alla fine dei conti, il mondo dei media albanesi è davvero in crisi.
I pro-Berisha affermano che ciò deriva dall’impegno di Sali Berisha di non intromettersi negli affari dei media (eccetto quando deve realizzare i suoi sogni). Altri pensano che la tutela del primo ministro porterebbe i media alla rovina. Ora, i media sono un ricettacolo di investimenti ed una nicchia che crea posti di lavoro piuttosto ben remunerati. “Top-Channel” e la sua rete impiegano poco meno di 500 persone. Esiste più di una decina di quotidiani che danno lavoro ciascuno ad una trentina di impiegati, oltre ad una vasta rete di agenzie di distribuzione e di vendita. I media costituiscono dunque un importante investimento nel Paese e sarebbe ingenuo pensare che il governo non se ne debba occupare, e non fare altro che selezionarli. Deve occuparsene ed aiutarli.
Per una politica pubblica di aiuto ai media
Numerosi esempi nel mondo mostrano che i media sono un quarto potere, indipendente ed economicamente potente. Perché ci sia una vera libertà di stampa, serve un sostegno economico che però deve essere accompagnato da specifici meccanismi di controllo.
L’attuale operato del governo è significativo: avendo scelto di prenderne le distanze, esso non favorisce lo sviluppo economico del settore, specialmente attraverso l’espansione della pubblicità.
Ora, nella stampa albanese la pubblicità non è moltissima, e questo comporta un grande ammanco nelle entrate dei media. Lo Stato italiano spende 650 milioni di euro per finanziare i giornali e gli altri media di partito e di diverse altre associazioni, cosa che ha permesso ai media italiani di uscire dalla grave crisi conosciuta nel 1982.
In Albania due azionisti e fondatori di una grande compagnia mediatica si rimettono alla polizia e chiedono l’intervento dello Stato, mentre il primo ministro manifesta tranquillamente la sua indifferenza bevendosi il caffé in compagnia di uno dei soci implicati in questo caso. Le due tipografie minacciate di chiusura sono debitrici verso lo Stato di una somma enorme, e lo Stato di Sali Berisha non ha cercato altre soluzioni che la loro definitiva chiusura. Avrebbe potuto per esempio rivenderle all’asta, in modo da assicurarne la sopravvivenza. Senonché la mentalità manichea del primo ministro ha portato ad una scelta, quella del silenzio e della non interferenza.
I media albanesi meritano un trattamento differente. Oltre ad un sostegno finanziario, essi guadagnerebbero in libertà. Il governo potrebbe forse prendere l’iniziativa di finanziare l’assicurazione degli impiegati dei media, nel quadro del sostegno all’impiego o della formazione continua degli addetti. Il parlamento dovrebbe legiferare sulla maniera in cui la stampa potrebbe essere aiutata dallo Stato, in modo da poter essere veramente libera ed indipendente.
In tal modo forse non si vedrebbe più un editore dichiarare fallimento a bordo di un’ammiraglia ultimo modello, appena comprata, e stare zitto mentre i suoi comproprietari domandano l’aiuto dello Stato, oppure ancora un deputato vendere la sua compagnia quattro giorni prima che quest’ultima perda un appalto. Così, forse, non si avrebbe neanche più occasione di pensare che Sali Berisha promuove il clientelismo e sostiene chi più gli aggrada.
*Direttore del dipartimento di giornalismo all’Università Aleksandër Xhuvani.