Una domenica a Santo Spirito, cattedrale cattolica di Istanbul. L'emozione dei fedeli per la storica visita di Benedetto XVI. Segnali di distensione, ma i fatti di Santa Sofia e la fuga del governo offuscano l'immagine della Turchia come terra del dialogo
Si entra da un’anonima porticina nell’edificio del Liceo Notre Dame de Sion, che dà su una delle grandi arterie che collega la centrale piazza Taksim con i quartieri di Sisli e Nisantasi. Al di là della porta c’è la chiesa di Santo Spirito, la cattedrale cattolica di Istanbul. E’ una domenica mattina e nel cortile ci sono soprattutto donne filippine, impiegate come domestiche nelle famiglie dei diplomatici della città, che escono dalla messa in lingua inglese. Nel cortile troneggia la statua di Benedetto XV, un “Papa amato dai turchi”. Alla fine della prima guerra mondiale il sultano in persona lanciò una sottoscrizione pubblica, alla quale contribuì generosamente, per la costruzione della statua in segno di riconoscenza per l’impegno personale del pontefice in favore dei prigionieri turchi finiti nelle mani dell’Intesa. Dentro, la cattedrale si sta riempiendo per la funzione ufficiale, quella in lingua francese. Sul banchetto all’ingresso un opuscolo ricorda un altro papa “amico dei turchi”, Giovanni XXIII, che fu a lungo nunzio apostolico ad Istanbul prima di arrivare a San Pietro.
La chiesa è gremita, molti sono stranieri che si trovano temporaneamente in Turchia, gruppi di immigrati camerunesi e congolesi ed ovviamente anziani levantini. Francesi, italiani, greci, che risiedono ad Istanbul da diverse generazioni.
Il gran numero di cameramen che si aggira per le navate della chiesa indica però che non si tratta di una messa come le altre. Siamo infatti a poco più di una settimana dall’arrivo di Benedetto XVI in Turchia e, nella cattedrale dove il pontefice celebrerà una messa il primo dicembre, si fanno le prove generali. Ad officiare il vicario apostolico Polatre accompagnato da altri sette sacerdoti. Giornata di prove anche per la corale che ha un carattere decisamente cosmopolita: la direttrice italiana, una solista francese, e tra i sessanta membri anche un soprano ed un contralto, due turche musulmane, che ci tengono orgogliosamente a far sapere che frequentano la chiesa da quasi trent’anni.
Al termine della funzione, nel cortile tra la gente che sfolla, l’eccitazione è palpabile. Una donna filippina raccoglie i tagliandi della lotteria organizzata per l’occasione. Mentre ci conferma che le sue connazionali rappresentano il nocciolo duro dei frequentatori della chiesa, si avvicina Margrit. Originaria di Malatya, nell’Anatolia centrale, si definisce cittadina turca di religione cattolica. E’ visibilmente emozionata: “Non riesco a trovare le parole per esprimere la mia gioia per l’arrivo del Papa”.
Nel suo ufficio ci aspetta Padre Giorgis, un salesiano italiano, che da quattordici mesi guida la cattedrale. Siamo in Via Roncalli ribattezzata così nel 2000 in segno di gratitudine per Giovanni XXIII. Tutt’intorno ferve l’attività degli operai del comune impegnati a ridipingere le facciate degli edifici, tra i quali quello in cui soggiornerà il Papa. Mentre entriamo nell’ufficio, incontriamo un gruppo di ragazzi che parla arabo. Sono cristiani caldei che appartengono a famiglie provenienti dal Nord Iraq e rifugiatesi ad Istanbul in attesa di un visto per l’Europa o l’America. Una delle mille facce della realtà cristiana in Turchia.
Secondo Padre Giorgis i cristiani nel paese sarebbero circa 120.000, tra i quali 15.000 cattolici. Tra loro cattolici di rito romano, caldei, siriaci e armeni distribuiti in tutto il paese. In particolare ad Istanbul, dove ci sono dieci parrochie, e poi Izmir, Iskenderun, Antakya. Secondo Padre Giorgis ci sarebbero anche cattolici che sfuggono ad ogni censimento: “Tempo fa ci sono venuti a chiamare per celebrare il funerale di una donna, i vicini sapevano che era cattolica e sono venuti da noi”.
Il sacerdote non riesce a nascondere il suo disappunto quando scorrendo il registro dei battesimi ci fa notare come la gran parte dei battezzati appartenga a figli di famiglie che si trovano ad Istanbul temporaneamente, per ragioni di lavoro. La comunità si assottiglia sempre più.
Quando però si tocca l’argomento delle relazioni con il mondo musulmano la risposta di padre Giorgis è decisa e non ammette repliche: “Viviamo ed operiamo nella piena fratellanza”.
Con il trascorrere dei giorni, tuttavia, l’atmosfera che si respira nel paese si sta allontanando da quella distesa che abbiamo lasciato in Via Roncalli. Molti giornali hanno ironicamente titolato: “Quando il Papa arriva il paese si spopola”, facendo riferimento al fatto che nei giorni in cui Benedetto XVI sarà in Turchia molte delle autorità politiche non saranno nel paese: Erdogan ed il ministro degli esteri Gul a Riga per il vertice NATO, anche il sindaco di Istanbul dell'AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) sarà fuori città. Una prospettiva che sta facendo versare fiumi di inchiostro in Turchia come in Europa. Il partito filo islamico al governo scapperebbe di fronte alla prospettiva di incontrare un Papa che non ha mai visto di buon occhio la Turchia nell’Unione Europea, e che recentemente ha parlato dell’Islam con toni che molti hanno giudicato offensivi. A cominciare dal Primo ministro Erdogan che aveva chiesto publicamente le scuse del Pontefice. Da un punto di vista formale e diplomatico, il fatto che il Primo ministro non incontri il Papa non sembra essere nulla di anormale. Negli ambienti ecclesiastici, tanto a Roma quanto ad Istanbul, si ribadisce che l’obbiettivo della venuta del Papa non è una visita alla Turchia o l’incontro con il mondo islamico. Come ha scritto anche il vicario apostolico di Istanbul, Monsignor Polatre, per capire il senso della visita di Bendetto XVI “bisogna immergersi nelle profondità della storia della Chiesa”. Il Papa viene a Istanbul su invito del fratello Patriarca Ortodosso Bartolomeo I, con l’intenzione di compiere un passo significativo nella direzione di riunire la Chiesa d’Oriente e d’Occidente e certamente, cogliere l’occasione di essere il terzo Papa a visitare la comunità cattolica turca.
Le autorità turche hanno digerito a fatica l’invito di Bartolomeo. Il Papa si riferisce al Patriarca usando il titolo di Ecumenico e la Turchia resiste da tempo alla richiesta del patriarcato di potersi fregiare di questo titolo, temendo possa rappresentare una minaccia alla sovranità nazionale. La Turchia, di fronte alla decisione dei due leader religiosi, ha dovuto fare buon viso a cattiva sorte. Il Papa incontrerà al suo arrivo in Turchia il Presidente della Repubblica perchè, essendo Benedetto XVI anche un capo di stato, è inevitabile che lo faccia. Ma gli obblighi sul piano della diplomazia per le autorità turche finiscono qui.
Resta però la realtà contingente. La fuga dei membri del governo accompagnata da una serie di giustificazioni che appaiono poco credibili non rimanda un’immagine brillante del paese e della sua classe dirigente. Soprattutto tenendo conto del fatto che il premier Erdogan è da tempo impegnato, con l’omologo Zapatero, in un progetto mirato a favorire il dialogo tra civiltà, sostenuto dalle Nazioni Unite e presentato proprio ad Istanbul pochi giorni fa.
L’arrivo di Bendetto XVI sarebbe stata un’ottima occasione, davanti agli occhi del mondo, per riproporre l’immagine della Turchia come terra del dialogo. Nelle ultime ore la diplomazia turca starebbe cercando di rimediare tentando di trovare un'occasione per un incontro tra Erdogan ed il Papa. Nelle stesse ore però il Papa ha declinato un tardivo invito a cena arrivato dal ministro Gul, con la motivazione che “il Papa non partecipa ad eventi mondani di questo genere”. Molti giornali tuchi sono usciti con il titolo a tutta pagina: “Il Papa rifiuta l’invito di Gul”, non contribuendo in questo modo a stemperare la tensione.
Senza dimenticare poi gli ambienti islamici più radicali, che ancora ricordano le parole di Ratzinger su Maometto. Mercoledì, un centinaio di simpatizzanti del Partito della Grande Unità (BBP), un partitucolo di estrema destra, sono entrati a Santa Sofia - basilica bizantina, poi moschea, da 71 anni trasformata saggiamente in museo - al grido di: “Papa non farci perdere la pazienza”, ed ha pregato. Una notizia che ha fatto immediatamente il giro del mondo.
Nelle stesse ore il Partito Saadet, che raccoglie gli elementi più conservatori del disciolto Partito Fazilet, ha annunciato per domenica una manifestazione di protesta contro l’arrivo del Papa. “Non venga il Papa ignorante”, recitano i manifesti preparati per l’occasione. Il riferimento è alle parole su Maometto pronunciate da Ratzinger nel seminario di Ratisbona. I dirigenti del partito che, vale la pena ricordare, nelle ultime elezioni ha raccolto una percentuale di consensi irrisoria, si sono dati l’obbiettivo di portare in piazza un milione di persone.
Con il trascorrere delle ore quella che poteva essere un’occasione di scambio assume sempre più in contorni di un'incognita. Non è un caso che siamo ormai in molti a sperare che, sfumata l’occasione per la Turchia di comportarsi da “paese moderno”, almeno tutto finisca il prima possibile e senza incidenti.