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Dialogo quotidiano

29.11.2006    Da Istanbul, scrive Fabio Salomoni

La Chiesa cattolica in Turchia. Il rapporto con la maggioranza musulmana e con le autorità, il clima in cui si svolge il viaggio di Papa Ratzinger. Nostra intervista al Vicario generale della Nunziatura apostolica a Istanbul, padre Lorenzo Piretto
Istanbul, Aya Sofia (foto G. Vujovic)
Padre Lorenzo Piretto è un padre domenicano che vive a Istanbul da 23 anni. Attualmente è Vicario generale della Nunziatura apostolica. Ci riceve nella chiesa domenicana dei Santi Pietro e Paolo, incastrata tra le stradine che dalla genovese torre di Galata scendono verso il Corno d’Oro

Perché la Chiesa cattolica in Turchia non gode del riconoscimento accordato ad armeni, greci ed ebrei dal Trattato di Losanna del 1923?

All’epoca del trattato di Losanna la Chiesa cattolica non ha fatto la richiesta di essere inclusa tra le minoranze, perchè essere riconosciuta come minoranza avrebbe significato adeguarsi alla Costituzione turca: essa prevede che i sacerdoti della comunità debbano essere di nazionalità turca ma all’epoca tutto il personale religioso cattolico era composto solo da stranieri. E poi questo personale, sempre secondo la Costituzione, avrebbe dovuto essere riconosciuto dal governo centrale. Ad esempio anche il patriarca ortodosso deve avere l’approvazione del governo di Ankara prima di essere nominato. Quindi i sacerdoti devono essere di nazionalità turca e approvati da Ankara. Questa è stata la ragione principale che ha determinato la scelta della chiesa di non chiedere il riconoscimento di minoranza. E si è sempre andati avanti così.

Qual è attualmente il vostro status?

Noi siamo riconosciuti nei documenti ottomani come sacerdoti domenicani, e questi documenti sono passati poi all’amministrazione della Repubblica. Per quanto riguarda il catasto, ad esempio, siamo ancora iscritti così. Altre congregazioni, per le quali è difficile trovare documenti sulla fondazione in Europa, non vengono riconosciute ed i loro beni sono passati allo stato turco. Il problema delle proprietà dal punto di vista legale è particolarmente intricato.

Quale soluzione auspicate?

Noi chiediamo che la Chiesa e le congregazioni religiose siano riconosciute così come lo sono in Europa, altrimenti resteremo sempre in una situazione di incertezza. Grazie a Dio qui ad Istanbul noi non abbiamo mai avuto problemi.

La particolarità della vostra situazione come si riflette nei rapporti con le autorità turche?

Di fatto è come se fossimo riconosciuti. Dal punto di vista formale il vescovo non è riconosciuto, però viene invitato ovunque come capo della comunità cattolica latina. Parliamo con le autorità che ci promettono sempre di arrivare ad una soluzione, ma poi nessuna cosa viene scritta. Aspettiamo fiduciosi.

In Turchia giungono regolarmente da ambienti diversi le accuse di proselitismo ed attività missionarie rivolte genericamente ai cristiani...

Si tratta soprattutto delle sette protestanti americane. Sono questi gruppi, non i luterani classici, che fanno del danno a tutti. Organizzano piccole chiese, forse 300 solo a Istanbul, piccoli gruppi, comunità... Sono soprattutto americani o nord-europei. Probabilmente hanno anche imperi finanziari alle spalle, spesso le voci secondo cui distribuirebbero bibbie con dentro dei dollari si dimostrano fondate. Come Chiesa cattolica noi lavoriamo per il dialogo. Naturalmente se una persona insiste cerchiamo di capirne bene le intenzioni, andiamo cauti. E' un processo che può durare anche una decina d’anni. Nel nostro caso si tratta di alcune decine di casi l’anno, è un cammino lungo, lento. Ci sono delle conversioni, non si può negare, ma qui c’è un centro di dialogo, non vogliamo convertire nessuno.

Lei ha una lunga esperienza come insegnante di latino alla Facoltà di Teologia dell’Università di Marmara. Quale accoglienza ha trovato?

Ho insegnato latino per tredici anni e ho sempre trovato grande rispetto e grande curiosità. Ed anch’io ho sempre risposto alle loro domande con grande rispetto. Nel 2004 abbiamo organizzato anche un seminario con un gruppo di professori della facoltà di teologia ed esperti provenienti dall’Italia. Abbiamo scelto un tema neutro, l’atto umano, e ne abbiamo discusso per due giorni, leggendo un testo di Aristotele, un testo di Avicenna, Averroè e poi San Tommaso d’Aquino. Due di noi, due di loro, è stato molto bello, una bella esperienza. La conoscenza è questo. Si possono fare tante cose insieme. Anche a novembre abbiamo fatto qualcosa di simile, discutendo del tema della Salvezza nel Cristianesimo e nell’Islam. Confronti. Conoscersi è molto importante, ci sono molto cose in comune. Il tutto nel quadro della sincerità reciproca. Quando ci si conosce e si vede che non ci sono secondi fine ci si rispetta e si va avanti. I giovani professori poi ci hanno invitato a casa loro durante il Ramadan per il pranzo di fine digiuno, è stato molto bello.

Quali sono le principali curiosità espresse dai suoi studenti? Lei diceva che le crociate sono ancora una piaga che stenta a rimarginarsi...

Lasciamo perdere le cose che riguardano la storia e la politica. Certo però le crociate sono ancora una ferita aperta in qualche modo, per il mondo musulmano ed anche per quello ortodosso. Grazie a Dio noi riconosciamo i nostri sbagli, il Papa stesso ha chiesto perdono.

Per quanto riguarda le domande più frequenti, mi chiedono spesso perchè non riconosciamo Maometto come profeta oppure domande sulla preghiera. Un altro argomento ricorrente è il problema della Trinità, spiegare che non si tratta di tre Dei, e poi sicuramente la questione del celibato dei sacerdoti che a loro appare come un atto contro natura.

Lei mi parlava di un centro per il dialogo interculturale ed interreligioso...

Era un mio desiderio da molto tempo, in un primo momento quello di avere una biblioteca. Un’idea che ha preso maggior forza dopo la richiesta fattami dai professori della Facoltà di Teologia di avere un centro di documentazione cristiana, la possibilità di conoscere il cristianesimo. Attualmente abbiamo una sezione abbastanza ricca sull’orientalistica. Le persone che vengono qui a studiare rappresentano un’occasione di contatto interculturale. E poi la sezione dedicata al cristianesimo per gli studenti che devono fare delle tesi, l’ultima ad esempio era su S. Agostino. Alcuni studenti della facoltà poi sono andati in Italia con una borsa di studio. C’è una grande richiesta di conoscere il cristianesimo, una richiesta sostenuta anche dai miei superiori in Italia, che hanno deciso di inviare due giovani padri che hanno fatto studi di turcologia e mistica islamica.

Quali reazioni ha avuto la vostra inziativa?

Positive, ormai ad Istanbul quando c’è un qualche incontro siamo sempre invitati, siamo conosciuti.

In questo contesto di dialogo come si collocano la visita del Papa e le reazioni di questi giorni?

Io credo che queste tensioni siano state create da gruppi sparuti. Sono convinto che la maggior parte della gente non pensi nemmeno al Papa.

In Italia ed in Europa, come spesso accade quando si tratta della Turchia, hanno avuto, grande risonanza...

Ne hanno fatto un affare di Stato. Si crea la sensazione che ci troviamo in stato di assedio, assaliti, si è trattato in fondo di un centinaio di persone, di fanatici. Come nel caso di padre Andrea [padre Santoro, il sacerdote ucciso a Trebisonda lo scorso gennaio, ndr], un sacerdote serio ed austero, una persona indiscutibile. Il suo impegno forse lo ha spinto ad andare un po' oltre, nel suo impegno a favore delle prostitute georgiane l’ha portato anche ad incontrare il vescovo georgiano. Ma lì c’è una rete mafiosa e poi magari un gruppo estremista contrario alla Turchia in Europa, tutto un insieme di fatti.

Qual è l’obbiettivo della venuta di Bendetto XVI? Non è una visita alla Turchia...

Si capisce bene e lo sanno anche le autorità turche che viene prima di tutto per un motivo ecumenico, il patriarcato ortodosso e la visita a Bartolomeos I, l’ha detto espressamente che farà di tutto per l’unità dei cristani. Naturalmente c’è il rispetto per lo Stato turco. Poi la visita a Santa Sofia, alcuni dicono che si tratta di una provocazione, che non doveva andare, ma si tratta di un simbolo storico, importante per la storia del cristianesimo. Adesso si parla anche di una visita alla moschea Sultanahmet - la moschea Blu – [la visita è stata confermata, ndr], vediamo, sarebbe veramente una bella cosa.

Dalla sua particolare prospettiva, quella di un sacerdote cattolico in un paese musulmano, come vede questo clima di contrapposizione tra diverse identità religiose?

Io sono convinto che la Turchia rappresenti un punto di osservatorio privilegiato, quasi un laboratorio per il dialogo, l’unico paese laico del mondo islamico, dove si vede che Stato e religione possono convivere. Certo si tratta di vivere fino in fondo questa laicità, anche con il riconoscimento della realtà cattolica. E con l’entrata in Europa spero, sono abbastanza ottimista, che certe cose si sistemeranno. Vedo molti buoni segni, a parte qualche minoranza sparuta che fa molto chiasso. Se andiamo sul viale Istiklal ad esempio, dove c’è questa massa di giovani, chi pensa si tratti di fanatici si sbaglia. Al contrario, forse sono più aperti dei nostri giovani in Europa.

Personalmente poi io sono molto contento di essere qui. A volte dall’Italia mi dicono: “Chissà come devi vivere, come devi avere paura...”, ma perchè dovrei avere paura?
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