La squadra del “Berisha 2”, promossi i portavoce
A un mese dalla batosta subita dalla coalizione di maggioranza alle amministrative del 18 febbraio, il gabinetto “Berisha 2” ha finalmente visto la luce dopo un parto piuttosto travagliato. Sono cinque i nuovi ministri, più un cambio alla vicepresidenza del Consiglio, ai quali il premier affida il compito di accelerare le riforme – “unica ragione del rimpasto” e “sommo fine” del governo.
Il portavoce del Partito Democratico (PD), Gazmend Oketa ha ricevuto la nomina a vicecapo dell’esecutivo, mentre Ilir Rusmajli, che ricopriva questo incarico, è diventato ministro della Giustizia; la vivace portavoce elettorale del PD, Majlinda Bregu, è stata promossa al dicastero dell’Integrazione, mentre lo psicologo Ylli Pango ha ottenuto quello della Cultura e del Turismo; tutto come previsto alla Sanità, affidata al democristiano Nard Ndoka, mentre il portavoce del Consiglio dei ministri, Bujar Nishani, rileva il posto lasciato vacante da Sokol Olldashi agli Interni.
Nel presentare il gabinetto riformato, Berisha ha rivolto calorosi ringraziamenti all’ex ministro dell’Integrazione, Arenca Trashani, che lo scorso giugno ha firmato lo storico accordo di Associazione e Stabilizzazione con l’Unione Europea, al suo vecchio collega Maksim Cikuli, ex ministro della Sanità, e agli ex ministri di Giustizia e Cultura/Turismo, Aldo Bumçi e Bujar Leskaj, garantendo che tutti loro “ricopriranno ruoli di rilievo all’interno del PD”.
Scarso entusiasmo a destra
Ma si è trattato di ringraziamenti caduti nel vuoto, a giudicare dalla reazione di Leskaj e Cikuli, che hanno disertato l’ultima riunione del vecchio governo, mentre il resto della coalizione ha accolto il nuovo gabinetto con evidente freddezza. Nonostante il massimo riserbo coi media, tra le schiere berishane si palpa un’atmosfera di malcelata insoddisfazione, che diventa paura nei dicasteri passati di mano, dove si temono massicce epurazioni per far posto ai “fidi” dei nuovi ministri.
La leadership del Partito Repubblicano ha commentato che “nella maggioranza c’erano figure più degne di ricoprire cariche ministeriali rispetto a quelle indicate da Berisha”, definendo il neo-vicepremier Oketa come “una scelta non azzeccata”. Quest’ultimo è stato la principale sorpresa del toto-nomine, essendo una figura relativamente nuova nel PD: amministratore di un’impresa edile di Durazzo, è diventato deputato nel 2005 e subito nominato portavoce del partito. La sua promozione a numero due dell’esecutivo sembra dovuta alla presidente del Parlamento, Jozefina Topalli, “compensata” in tal modo della bocciatura dei suoi concittadini di Scutari, gli ex ministri Bumçi e Trashani. A questo proposito, perfino la stampa di destra ha notato che il “Berisha 2” esclude non solo la rappresentanza di Scutari – tradizionale bastione del PD – ma anche Korça, Berat, Valona e la stessa Tirana, infrangendo così quei delicati equilibri regionali che ogni governo albanese tenta generalmente di preservare nella scelta dei suoi ministri.
Critiche e beffe da sinistra
L’opposizione ha tolto i guanti e, a sangue caldo, ha bollato il “Berisha 2” come “governo creato a Shijak” – la cittadina presso Durazzo dove, domenica 11 marzo, si è votato per eleggere il nuovo deputato di zona e, tra gravi disordini, il candidato di destra Metalla ha riportato il 91% dei consensi. Il segretario politico del Partito Socialista (PS), Ben Blushi, crede che il nuovo gabinetto intenda “esportare in tutta l’Albania le pratiche violente applicate durante la tornata di Shijak” e che “dati i caratteri dei nuovi ministri, questo gabinetto sarà ancora più aggressivo nei rapporti con le libertà dell’opposizione e quelle elettorali”. Blushi prevede un clima “conflittuale”, che teme riflettersi anche a Bruxelles tramite la nuova ministra dell’Integrazione Bregu, “che ha manifestato un atteggiamento estremamente aggressivo durante tutta la fase elettorale”.
Secondo il numero due del PS, Pandeli Majko, “Berisha ha perso il 18 febbraio per colpa delle sue pessime politiche energetiche, fiscali e scolastiche, e per la corruzione che investe questi settori – quindi cosa risolve il licenziamento dei ministri dell’Integrazione, della Cultura e della Giustizia?”. Secondo Majko, “i perni del malgoverno” sono rimasti impuniti, perché “i ministri più discussi, quali un Ruli colpevole delle tenebre degli ultimi mesi, un Basha che non ha completato neppure un’opera pubblica e un Bode accusato di una tassazione impopolare, hanno ancora le loro poltrone”.
L’opposizione conclude che il “Berisha 2” è solo “un aggiustamento degli equilibri clanici entro il PD e un compenso a determinati gruppi d’interesse”, facendo notare che tutti i nuovi ministri non hanno esperienze amministrative, ma sono proprio le figure che, da quando la destra è al potere, hanno sferrato gli attacchi più violenti contro l’opposizione e contro le istituzioni indipendenti.
Il decreto di nomina del presidente della Repubblica
Nonostante le polemiche tra maggioranza e opposizione, il “Berisha 2” è passato senza problemi in Parlamento. Anzi, i ministri Bregu e Ndoka hanno incassato anche i voti dell’opposizione, la prima grazie al sostegno delle deputate di sinistra e il secondo con addirittura 100 preferenze. Alcuni deputati socialisti hanno detto di aver votato il gabinetto per beffarsi di un governo “ridicolo”, ma non tutti i compagni di squadra ne hanno apprezzato l’umorismo, definendo il sostegno a Berisha “inaccettabile” e lamentando che “il gruppo parlamentare del PS è ormai allo sfascio”.
Il voto è avvenuto il 19 marzo, a una settimana esatta dalla presentazione del nuovo gabinetto, perché il presidente della Repubblica Moisiu ha atteso l’ultimo giorno consentitogli dalla Costituzione per decretare il “Berisha 2”. L’investitura del nuovo governo è stata definita “l’ultima prova” di Moisiu, quasi al termine del suo mandato. Benedire il quartetto Nishani-Rusmajli-Bregu-Oketa, che lo bersaglia implacabilmente da un anno e mezzo, dev’essere stato arduo anche per un uomo pacato come il capo dello Stato albanese. Così, Moisiu ha colto l’occasione della cerimonia per togliersi qualche sassolino dalle scarpe, augurando ai neoministri che “la politica superi finalmente lo stadio della terminologia infiammata, che è inaccettabile sotto il profilo etico e morale ed è legalmente condannabile”.
I grandi assenti
Frecciate a parte, il decreto del “Berisha 2” si è trasformato nella cartina tornasole del conflitto tra il capo dello Stato e quello del governo. Berisha e la presidente del Parlamento Topalli hanno infatti boicottato l’investitura del nuovo gabinetto, non presentandosi al palazzo della Presidenza.
I rapporti fra il premier e Moisiu hanno così toccato il fondo: per la prima volta nella storia delle relazioni tra la Presidenza e l’esecutivo, le due istituzioni hanno duellato a botte di comunicati stampa. Il presidente si è detto “rammaricato perché il primo ministro, non partecipando all’investitura dei ministri da lui stesso proposti, ha violato la procedura costituzionale e il protocollo statale”. Da parte sua, Berisha ha reso noto che la sua assenza era dovuta “non solo a un’agenda stipata di impegni, ma anche alla sistematica violazione della Costituzione da parte del presidente”. Topalli avrebbe invece motivato il suo gesto accusando il capo dello Stato di aver calpestato la sovranità del Parlamento, non approvando parecchie leggi e opponendosi alla rimozione del procuratore generale della Repubblica, Theodhori Sollaku.
Cronaca di un rapporto deteriorato
Sollaku e Moisiu
I rapporti tra Moisiu e Berisha erano già pessimi quando quest’ultimo era all’opposizione – il PD si era addirittura scusato coi cittadini di aver proposto Moisiu come presidente. Dopo l’arrivo della destra al potere, nel 2005, la relazione è degenerata: accusato di fare gli interessi della sinistra, il capo dello Stato è diventato il target di attacchi durissimi quando ha rifiutato firmare la revoca del procuratore generale, veementemente reclamata dalla maggioranza parlamentare l’estate scorsa.
Mentre il presidente denunciava “pressioni” governative sul caso Sollaku, a settembre l’Aviazione Civile albanese sospendeva i voli della Albatros Airways, appartenente ai nipoti di Moisiu. La Albatros, che gestiva collegamenti low cost fra Tirana e sette città italiane, risultava indebitata con lo Stato per la somma di 447.000 euro. Qualche giorno dopo, i media pubblicavano l’intercettazione di una telefonata tra il direttore dell’Aviazione e il nipote del presidente, nella quale il primo garantiva che, se Moisiu avesse rimosso Sollaku, “la questione Albatros si sarebbe risolta”.
L’opposizione aveva accusato Berisha di “esercitare pressioni mafiose su una ditta privata”, mentre i deputati di destra invocavano le dimissioni del capo dello Stato. La dirigenza del PD sosteneva infatti che “la decisione di non licenziare il procuratore generale è dovuta a certi dossier di Sollaku su Moisiu, sui suoi parenti e sui loro legami col traffico di droga e con la criminalità organizzata”. Per la destra, il presidente è stato “garante di un sistema cleptocratico, che ha sfruttato per fondare società aeree da usare come i boss colombiani per gestire traffici sporchi”.
Governo “conflittuale” o di dialogo?
Nonostante questi gravi precedenti, Moisiu ha ugualmente decretato il “Berisha 2” per non esasperare la tensione tra la presidenza della Repubblica e il premier. La risposta del capo del governo – disertare la cerimonia d’investitura – conferma l’ostilità di Berisha contro il presidente e potrebbe essere letta come l’ennesimo, chiarissimo “no” all’ipotesi di una ricandidatura di Moisiu.
Affidare un secondo mandato all’attuale capo dello Stato sembra non dispiacere a parte dell’opposizione, Edi Rama in testa. Pur sottolineando che “è ancora presto per parlare del nuovo presidente”, il capo del PS non fa mistero di “apprezzare la figura di Moisiu”.
Il gesto di Berisha e Topalli sembrerebbe dunque confermare i timori della sinistra su un governo “conflittuale”, se non fosse che, negli ultimi giorni, il premier ha dimostrato un’inconsueta apertura verso l’opposizione. Dopo la presentazione dei nuovi ministri, il leader socialista Rama ha propinato alla maggioranza le cinque riforme che la sinistra reputa più urgenti, a partire da quella elettorale, seguita da territorio, sistema giudiziario, decentralizzazione e amministrazione pubblica. Il presidente del consiglio è apparso disponibile su tutta la linea, dichiarando che “il governo è pronto ad accettare ogni sistema elettorale proposto dall’opposizione” e dicendosi “lieto di annunciare la prossima decentralizzazione del sistema fiscale”, che prevede il trasferimento ai Comuni della tassa sulle piccole imprese e di quella sulla proprietà.
Berisha sembra così uscire dalla politica del muro contro muro che ne ha segnato il primo governo, lasciando intendere che il nuovo corso seguirà una linea più morbida. Il dialogo sulle riforme e la scelta di un presidente della Repubblica consensuale saranno prove fondamentali per il “Berisha 2”.