Edi Rama saluta i manifestanti
I socialisti albanesi non solo stanno boicottando il parlamento, ora scendono anche in piazza. Contestano le ultime elezioni, a loro dire caratterizzate da numerosi brogli. E il loro leader, Edi Rama, lancia un ultimatum al premier Berisha
Il Premier albanese Sali Berisha ha pochi giorni di tempo per decidere: riaprire le urne contestate dall’opposizione oppure affrontare un’onda di proteste incessanti fino alla dichiarazione di elezioni anticipate. E’ questo l’ultimatum lanciato al leader democratico dal numero uno dei socialisti, Edi Rama, in chiusura dell’ultima protesta in piazza organizzata dal suo partito e durata tre giorni.
Ma il capo dell’esecutivo non sembra farsi intimidire: mentre gli ambasciatori dell’Occidente continuano con gli appelli al dialogo - e il presidente della Repubblica si dice disponibile a moderare una tavola rotonda tra maggioranza e opposizione - Berisha risponde organizzando un “anti-raduno”, come l’hanno chiamato i media di Tirana, portando in piazza i suoi sostenitori.
La lunga protesta
Nella breve storia post comunista dell’Albania, di proteste in piazza se ne sono viste diverse. Ma una che durasse tre giorni, notti comprese, è decisamente una novità. Venerdì scorso l’opposizione capeggiata dal Partito socialista ha portato i suoi sostenitori davanti alla sede del consiglio dei ministri per chiedere la riapertura di alcune urne dove sarebbe “imprigionata la verità sul vero esito delle elezioni” politiche dello scorso giugno.
Per dimostrare la propria tenacia, gli organizzatori hanno deciso di non spostarsi nemmeno durante la notte: 25 tende hanno accolto i più coraggiosi che hanno affrontato all’aperto le notti fredde dell’ultimo fine settimana capitolino. Tra caffè e bevande calde, a dare loro conforto si sono dati i turni anche diversi parlamentari della sinistra, compreso il leader socialista e sindaco di Tirana, Edi Rama.
L’unico momento di tensione si è registrato quando si è sparsa la voce che la protesta veniva intercettata dalla polizia e i manifestanti hanno lanciato alcune uova verso la sede del governo. Facendo gli onori di casa, il premier Berisha, invece, si è affacciato diverse volte alle finestre del suo ufficio per salutare con la mano i manifestanti.
Il Partito socialista non ha mai riconosciuto il risultato ufficiale delle elezioni dello scorso 28 giugno accusando l’esecutivo di brogli elettorali. Per questo continua a boicottare il Parlamento finché non verrà accolta la loro richiesta di riaprire alcune urne. Se i loro sospetti venissero confermati, la risicata vittoria della coalizione di centro destra rischierebbe di svanire: il premier Berisha è riuscito a creare la nuova maggioranza grazie ai 4 deputati provenienti da un’inattesa alleanza con il Movimento socialista per l’integrazione (Lsi), partito di sinistra guidato da Ilir Meta, attualmente vicepremier e ministro degli Esteri.
Nel suo discorso di domenica, che ha chiuso anche la protesta, il leader dei socialisti Rama ha sottolineato che la loro richiesta “non può essere rinegoziata” ed ha lanciato un ultimatum al capo del governo: “Se Berisha non riapre le urne faremo alzare il popolo albanese e ci fermeremo solo quando verranno dichiarate le elezioni anticipate. Sali Berisha ha 10 giorni di tempo per pensare.”
Rama ha definito i tre giorni di protesta come l’inizio di “un nuovo movimento popolare per la libertà di voto”, aggiungendo che “l’opposizione non tornerà in Parlamento finché il Parlamento non verrà riportato sulle fondamenta della legittimità”. Nonostante la sua sicurezza, c’è una parte del partito che proprio sulla decisione di boicottare l’aula non è tanto d’accordo. Una corrente minoritaria tra i socialisti propone, infatti, il ritorno all’attività parlamentare come strumento per istituzionalizzare la crisi.
L’imperterrito Berisha
Sempre sorridente e per nulla preoccupato, il primo ministro ha dichiarato che non intende accogliere la richiesta dell’opposizione poiché sarebbe incostituzionale. “La magistratura ha già deciso che non ci può essere un secondo conteggio [dei voti] e quella decisione va sia contro di me che contro di te - ha detto rivolgendosi a Rama - anche noi abbiamo chiesto un riconteggio a Fier e il tribunale l’ha rifiutato. Allora non ci rimane altro che lavorare insieme per le prossime elezioni”.
Anche di fronte alla minaccia di “un’ondata di proteste su scala nazionale” Berisha si è detto certo: “Le urne non si aprono nemmeno se risuscita [l’ex dittatore] Enver Hoxha”. “E’ un mio dovere garantire la libertà di protestare di qualsiasi cittadino - ha detto - che duri tre giorni, trenta, tre mesi o all’infinito, queste non sono cose che mi riguardano”.
Il numero uno della maggioranza ha ricordato al suo rivale che le ultime elezioni sono state classificate dalla comunità internazionale come “le migliori che l’Albania abbia mai conosciuto” e che durante l’ultimo anno il Paese da lui governato ha fatto “i più grandi passi avanti dai tempi di Scanderbeg”, l’eroe nazionale che nel Quattrocento ha combattuto contro l’Impero Ottomano.
Berisha si è anche detto disponibile ad un dialogo fortemente richiesto da tutti gli ambasciatori a Tirana delle cancellerie e delle istituzioni europee. Il presidente della Repubblica, Bamir Topi, si è offerto a fare il negoziatore ma, come ha sottolineato, “il problema sta nella volontà dei partiti politici” di uscire da questa crisi.
Quanto il suo compito sia difficile, lo fa capire bene un dettaglio riportato sull’edizione online dell’emittente TopChannel: alla domanda se ci sia o no spazio per un intervento del presidente Topi, una delle figure più note tra i socialisti, l’ex primo ministro Pandeli Majko, “ha chiesto 10 minuti di tempo prima di rispondere”. La sua risposta, viene considerata dalla testata non più come opinione personale: “[Quello del mediatore] è il compito principale del Capo dello Stato. Qualsiasi suo ruolo in questa situazione sarebbe ben accetto”, ha poi dichiarato Majko.
L’aggravarsi del tono delle dichiarazioni sembra tuttavia affievolire la speranza di un rapido ritorno al dialogo. Astrit Patozi, che guida il gruppo parlamentare dei democratici, ha definito l’ultimatum di Rama come un tentativo di golpe. “Il richiamo a rovesciare con la forza l’ordine costituzione - ha detto - dimostra che questo beniamino della dittatura e contemporaneamente il boss di una delle famiglie mafiose più pericolose nel Paese cerca di violare la volontà espressa dagli albanesi il 28 giugno”.
Per ora, il premier Berisha non sembra affatto spaventato dalle proteste. Anzi, ha accolto la sfida decidendo di portare anche lui la sua gente in piazza. L'appuntamento è per l’8 dicembre prossimo che, a suo dire, “sarà la festa della caduta del muro di Berlino a Tirana. Sarà una grande festa dove parteciperà l’Albania intera”.