Goran Svilanovic
Un’analisi di Goran Svilanovic, ex ministro degli Esteri serbo e attuale funzionario del Patto di stabilità per il sud est Europa, sulla prospettiva di appoggio della Russia alla Serbia riguardo lo status del Kosovo. Nostra traduzione
Di Goran Svilanović, Politika, 27 marzo 2007 (tit. orig. Oграничења руске подршке)
Traduzione per Osservatorio Balcani: Ivana Telebak
Il secondo mandato del presidente della Federazione Russa si avvicina alla fine. I russi hanno motivo di essere soddisfatti del progresso che il Paese ha raggiunto in ambito economico e nella stabilità dell’amministrazione. Anche i risultati in politica estera sono evidenti. Il ritorno della Russia sulla scena diplomatica mondiale è stato visto dalla nostra opinione pubblica come il sostegno principale alle trattative sul futuro status del Kosovo.
Tuttavia la Russia ha dei problemi con lo squilibrio demografico, il calo del numero degli abitanti, di cui ha parlato anche lo stesso presidente Putin. Inoltre possiede scarse infrastrutture e non investe sufficientemente nello sviluppo tecnologico. L’Unione europea, e in particolare gli USA, sempre più spesso nominano il deficit democratico della società russa.
Alla Russia rimproverano l’insufficiente democraticità del sistema politico, il controllo dei media e in particolare il soffocamento della società civile. In aumento è anche la pressione interna per un’ulteriore democratizzazione e decentralizzazione, alle quali si oppone lo sforzo dell’amministrazione nel mantenere il pieno controllo. In questo riesce grazie al controllo statale delle fonti energetiche e all’esportazione delle ricercate e costose materie prime energetiche.
Tutto ciò motiva l’affermazione di alcuni analisti occidentali secondo i quali l’attuale aumento economico e l’influenza diplomatica della Russia sul piano globale, a lungo termine, sono insostenibili.
Dall’altra parte, gli analisti russi spiegano l’ultimo impegno di politica estera della Russia, e pure quello riguardo il Kosovo, col fatto che quando la Russia si comportava diversamente, nessuno voleva ascoltarla, mentre adesso che ha messo in campo la diplomazia energetica tutti la ascoltano. Considerano questa “dura” politica come una politica senza alternativa, per far sì che si tengano in considerazione gli interessi nazionali russi. Allo stesso tempo insistono sull’identità europea della Russia ed affermano che essa divide i valori europei. Sottolineano anche il suo orientamento economico verso l’UE, sia per l’alto guadagno commerciale del piazzamento delle fonti energetiche russe, sia per la possibilità di modernizzare la tecnologia russa.
L’interesse della Russia è la pace sulle sue frontiere e un vicinato “amichevole”. La Russia non considera un gesto amichevole l’ingresso nella NATO dei paesi del suo vicinato. Questo si riferisce in particolare all’Ucraina e alla Georgia. Nel nord del Caucaso ci sono altri interessi. La Cecenia solo formalmente è controllata dalla Russia. Già da parecchio tempo è in corso l’esodo dei russi, sta cambiando l’equilibrio etnico a vantaggio di altri popoli, il che porta anche ad un calo della reale influenza della Russia. La Russia spiega la propria missione in Caucaso come una missione per mantenere la pace. L'altro interesse è il mantenimento dei corridoi di trasporto dell'energia. E proprio qua entrano in collisione gli interessi della Russia e quelli dei paesi occidentali, prima di tutto degli USA, che stanno cercando di diversificare i corridoi energetici. Si tratta di uno scontro di interessi che potrebbe avere delle conseguenze ancora più pesanti di quelle cui abbiamo assistito nell’ultimo decennio. In Russia credono che gli USA vogliano cacciare via la Russia dal Caucaso, di impedire il rafforzamento economico e il ritorno del potere militare della Russia. Pensano a questo quando parlano della dottrina di Bush a cui si oppongono. Credono che essa sia irreale e che non avrà successo. Vedono una chance nel continuo progresso della collaborazione con l’UE e nella graduale separazione della UE dagli USA.
Nella spiegazione della sua posizione, la Russia continuamente chiede all’Unione europea di rivolgere l’attenzione alla crescente superpotenza che sta zitta: la Cina. Ai russi preoccupa il continuo aumento dello scambio economico dell’UE con la Cina e avvertono che l’Europa nei settori economici tradizionali perderà la competizione di mercato con la Cina. In realtà, la Russia si riferisce anche alla propria paura della Cina e chiede all’UE una collaborazione, per potersi difendere insieme dal nuovo gigante economico.
Tutto ciò va tenuto presente quando si valuta fin dove potrà arrivare il sostegno della Russia alle trattative sullo status del Kosovo. Non bisognerebbe valutare sbrigativamente che la Russia sta bleffando. Proprio lo straordinario rapporto di cooperazione e collaborazione con gli USA e l’UE, all’interno del sistema delle Nazioni Unite, rispetto al problema mondiale numero uno - la crisi in Iran - consente alla Russia di non cooperare fino in fondo sul Kosovo, considerato come un tema meno importante. O di essere fino alla fine non cooperante. Nel doppio senso di queste frasi bisogna cercare la risposta a ciò che ci si può aspettare.
Sembra che la Russia con il suo impegno al Consiglio di sicurezza cercherà di creare uno spazio maggiore per la Serbia e che rimanderà di uno o due mesi la possibilità di accettare la risoluzione. Anche su questo c’è una collisione con gli USA e l’UE, i quali vorrebbero che si arrivi ad una decisione durante la presidenza tedesca dell’UE, e prima del summit di giugno del G8. Dall’altra parte, la Russia può riuscire a rimandare fino al summit del G8 l’adozione di una nuova risoluzione, non per fare in modo che al summit si parli di Kosovo, ma per poter decidere, a seconda del risultato complessivo del summit, la sua posizione futura verso il Kosovo nella seconda metà dell’anno. Il successo del summit e la soddisfazione dei partecipanti, permetterebbe una maggiore flessibilità della Russia. Il mancato adempimento delle aspettative russe al summit, forse renderebbe più rigida la posizione russa circa le trattative sul Kosovo.
Il sostegno della Russia nelle trattative sullo status del Kosovo potrebbe essere sfruttato per arrivare ad un proseguimento della trattativa limitato nel tempo, ma anche in quel caso solo a fronte di un'iniziativa serba concreta. Tuttavia l’interesse vitale della Russia nel rafforzare i legami con l’UE fa in modo che l’Unione, e non la Russia o gli USA, diventi il fattore determinante per una soluzione sostenibile dello status del Kosovo. Adesso è il momento per una concreta iniziativa della Serbia. Il rinvio non può durare in eterno. Uno status del Kosovo irrisolto è un peso per la regione e per l’UE, ma ancora di più per la Serbia. Non è un bene per la Serbia che venga vista come un paese che divide i membri dell’UE e danneggia i rapporti dell’Unione con gli USA e con la Russia, e che alla fine non ha una proposta realistica di soluzione. Dall’altra parte, lo status irrisolto del Kosovo domina l’agenda politica serba, togliendo l’attenzione dagli altri temi di importanza vitale.
Il prezzo lo stiamo già pagando. Nel 2006, per la prima volta dopo sei anni, è stato segnato l’aumento della disoccupazione in Serbia, il rallentamento nella privatizzazione delle grosse aziende pubbliche, e abbiamo il blocco totale delle trattative con l’UE.