Nonostante l'ostentazione di sicurezza di chi afferma che la missione europea Eulex in Kosovo verrà finalmente dispiegata e potrà iniziare ad operare entro il prossimo dicembre, sembra ormai che sia assai probabile che tutto venga rimandato all'inizio dell'anno prossimo. Una nuova data di partenza potrebbe essere marzo 2009. Come possibile “opzione di riserva”, come ha appreso l'Osservatorio da una fonte internazionale a Pristina che ha chiesto di rimanere anonima, si prende in considerazione l'eventuale dispiegamento di Eulex a dicembre 2008, ma solo nelle zone abitate dalla popolazione albanese.
“L'Unione Europea è demoralizzata. Se non si raggiunge l'accordo con tutte le parti, Eulex non potrà cominciare la sua missione in Kosovo”, ha aggiunto la stessa fonte. Nel frattempo, alcune centinaia di ufficiali della nuova missione europea, come anche l'International Civilian Representative, da alcuni mesi sono rimasti in
stand by, aspettando di poter cominciare il proprio lavoro.
In conversazioni informali, ufficiali delle istituzioni europee, così come dell'Unmik, ammettono che l'UE si trova in difficoltà dopo l'iniziale e affrettato entusiasmo, quando si riteneva che il dispiegamento di Eulex e dell' International Civilian Office sarebbero stata una mera questione tecnica.
L'ultimo e forse meno aspettato ostacolo è arrivato da parte del governo di Pristina, che si è dichiarato fermamente contrario all'accordo preliminare in sei punti del Segretario Generale dell'Onu Ban Ki-Moon sulla riconfigurazione dell'Unmik, accordo che, di fatto, darebbe “luce verde” al dislocamento della missione europea.
I sei punti del piano Onu (secondo le informazioni attualmente disponibili)
- Polizia: Nei territori abitati da popolazione serba le forze di polizia restano sotto l'attuale catena di comando, supervisionata dalla polizia internazionale. Gli ufficiali serbi vengono nominati dal capo dell'Unmik.
- Dogane: I doganieri internazionali tornano a controllare i valichi confinari nel nord del Kosovo, nella cornice della risoluzione 1244. Viene incluso anche un protocollo di collaborazione tra la Serbia e il Servizio Dogane dell'Unmik. E' prevista l'apertura di un ulteriore valico a Kamenica. La maggior parte degli introiti raccolti alle frontiere andrà alle amministrazioni locali, una parte minore al governo di Pristina.
- Tribunale: Il tribunale di Mitrovica nord rimane sotto controllo dell'Unmik. Giudici e procuratori locali saranno nominati nella cornice della risoluzione 1244.
- Infrastrutture: Verranno iniziati negoziati.
- Confini: Nella cornice della 1244, la Nato continuerà ad esercitare l'attuale mandato di garante della sicurezza.
- Tutela del patrimonio culturale serbo: E' necessario continuare il dialogo tra Pristina e Belgrado, nel quale dovrà essere inserita anche la Chiesa Ortodossa Serba.
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Nelle settimane scorse, negoziati con il governo serbo avevano portato alla stesura di un accordo preventivo, in cui Belgrado si è detta pronta ad accettare la presenza di Eulex sul territorio del Kosovo a tre condizioni: che la missione europea sia dispiegata con l'approvazione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, che sia neutrale riguardo allo status e che non faccia alcun riferimento al piano Ahtisaari. La Serbia ha richiesto garanzie concrete che le condizioni richieste vengano inserite nei documenti internazionali, innanzitutto nel rapporto del Segretario Generale dell'Onu.
Nonostante Pristina abbia insistito nei mesi scorsi perché Eulex cominciasse ad operare quanto prima, nelle condizioni attuali l'élite politica kosovara si è schierata all'unisono contro il piano. Il presidente Fatmir Sejdiu e il premier Hashim Thaci, in una conferenza stampa congiunta, hanno affermato che i punti contenuti nell'accordo, da alcuni definito “piano Onu-Serbia”, sono in contrasto con l'indipendenza del Kosovo, la sua costituzione e il piano Ahtisaari, e che quindi non possono essere accettati nella loro forma attuale.
La seduta del Consiglio di Sicurezza prevista per la settimana scorsa per discutere della questione è stata più volte rimandata in seguito all'impossibilità da parte della comunità internazionale di spingere Pristina ad accogliere l'accordo.
Il piano include i sei punti citati nella lettera spedita da Ban Ki-Moon al presidente serbo Boris Tadic lo scorso 12 giugno. In essi si fa riferimento a polizia, giustizia, controllo delle frontiere, dogane, infrastrutture e tutela del patrimonio culturale serbo. A partire dal testo filtrato fino all'opinione pubblica, l'accordo in sostanza non fa altro che ribadire la situazione venutasi a creare de facto sul terreno, nella quale da una parte Belgrado controlla il nord del Kosovo e le enclaves a sud del fiume Ibar ancora abitate da popolazione serba, ma dall'altra ha perso ogni controllo su Pristina.
E' proprio questa la ragione della forte resistenza dei politici kosovari all'accordo. Nonostante lunghi negoziati con i rappresentanti del "quintetto" (Francia, Germania, Italia, Gran Bretagna e Stati Uniti) e delle restanti istituzioni internazionali che hanno influenza su Pristina, il governo kosovaro ha respinto il piano presentato.
L'atmosfera incandescente dei colloqui può essere delineata dalle voci, al momento a dir del vero non confermate ufficialmente, secondo le quali il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner ha chiamato più volte telefonicamente i partecipanti alla prima riunione tra i rappresentanti del governo kosovaro e del "quintetto" la settimana scorsa. La Francia, nel suo ruolo di attuale presidente di turno dell'UE è fortemente interessata al dispiegamento della missione Eulex.
I media kosovari, nel frattempo, non risparmiano critiche al capo della diplomazia europea, Javier Solana, accusato di “mosse poco diplomatiche” per costringere Pristina ad accettare il piano, di “lobbying discreto contro l'indipendenza del Kosovo” e di rapporti di stretta amicizia con il ministro degli Esteri spagnolo, che i kosovari albanesi accusano di “pesante retorica nelle proprie dichiarazioni contro l'indipendenza kosovara”.
I negoziati si svolgono all'ombra dell'esplosione che, nella notte tra venerdì e sabato scorsi, ha scosso la sede dell'International Civilian Office a Pristina. L'attentato non ha provocato vittime, ma ha portato a danni materiali e, anche secondo le parole di forte condanna dei politici di Pristina, ha innervosito ancora di più i rappresentanti delle istituzioni internazionali.
Questa settimana arriveranno in Kosovo altre figure di primo piano. Ieri, lunedì 17 novembre, è arrivato il vice segretario di Stato americano Daniel Fried, forse la persona che più di ogni altro può influenzare la leadership kosovara. Fried ha ribadito che la missione Eulex deve essere dispiegata sull'intero territorio kosovaro e, riguardo al piano Onu, ha detto che questo non deve essere considerato come permanente, ed ha espresso poi comprensione per il punto di vista di Pristina.
Il presidente serbo Boris Tadic, durante una sua recente visita ufficiale a Varsavia, ha ribadito che nessuna modifica all'accordo già raggiunto sarebbe considerata accettabile da Belgrado, a prescindere dalle attese del governo di Pristina.
Da parte sua, il ministro degli Esteri serbo Vuk Jeremic ha affermato che la posizione finale della Serbia è nota, che tutte le parti in causa sono al corrente delle condizioni poste da Belgrado, che queste non hanno alternative, e che la Serbia è pronta a presentarsi alla seduta del Consiglio di Sicurezza nel momento in cui questa verrà tenuta.
La posizione politica di Belgrado, però, rimane sempre e comunque contraria a qualsiasi forma di intesa con la quale “la Serbia fosse costretta a mettere la firma sotto l'indipendenza del Kosovo”, come alcuni interpretano un sì al dispiegamento di Eulex.
L'ex premier serbo e ora leader dell'opposizione Vojislav Kosrtunica ha dichiarato che “accettando l'Eulex prevista da Ahtisaari” il governo di Belgrado “accoltellerebbe alle spalle lo stato, il Kosovo e la lotta portata avanti fino ad ora in difesa degli interessi nazionali”.
E' questo già da mesi uno dei temi più bollenti della scena politica serba. L'opposizione serba (ma anche alcuni esperti di politica internazionale) ritiene che un via libera di Belgrado alla missione europea non può che significare un riconoscimento de facto dell'indipendenza del Kosovo. Questo perché la missione Eulex ha ottenuto il suo mandato sulla base del piano Ahtisaari, che prevede in modo diretto l'indipendenza di Pristina, e quindi “nessun accorgimento cosmetico può cambiare questa realtà di fatto”.
I serbi del Kosovo hanno già espresso la loro contrarietà al dispiegamento di Eulex, soprattutto nel nord. Recentemente è stata inoltrata alle istituzioni di Belgrado una petizione firmata da 70mila serbi kosovari a sostegno di questa posizione di rifiuto.
Nonostante le pressioni esercitate da parecchi mesi sulle Nazioni Unite, ma anche sulla Serbia, affinché la missione Unmik venga sostituita da Eulex, l'UE comprende che qualsiasi forzatura nel dispiegamento della missione nel Kosovo settentrionale, sarebbe una mossa altamente rischiosa, e che perché Eulex possa iniziare ad operare è necessario un accordo con la parte serba.
La situazione intorno a Mitrovica, nel frattempo, si è nuovamente arroventata, con incidenti a frequenza giornaliera cominciati in contemporanea agli ultimi negoziati, quando un cittadino albanese ha tentato di dar via alla ricostruzione della propria abitazione nel villaggio etnicamente misto di Suvidoll/Suvi Do, situato a nord di Mitrovica, incontrando la resistenza degli abitanti serbi. Questi accusano il sindaco di Mitrovica sud, Bajram Rexhepi, di essere il vero motore di questa iniziativa. I serbi ritengono che questo non sia un caso spontaneo di ricostruzione di un'abitazione, ma di una chiara “provocazione”, che potrebbe far parte di “un piano molto più grande e pericoloso” per il Kosovo del nord.
Nel quartiere multietnico di Bosnjacka Mahala, a Mitrovica nord, domenica scorsa sono apparsi graffiti inneggianti all'UCK su un palazzo e due case abitate da serbi.
Osservatorio ha avuto accesso esclusivo ad un rapporto del KPS (Kosovo Police Service) di Mitrovica riguardo al controllo effettuato nella notte del 12 novembre scorso su due automobili “sospette” nel Kosovo settentrionale, auto fornite di targhe civili serbe, nelle quali viaggiavano membri delle forze speciali della polizia di Pristina in abiti civili. I due automezzi sono stati fermati in momenti separati, e in uno di questi è stato notato un carico sospetto. Nel rapporto si afferma si trattasse di un'arma di calibro pesante. Gli ufficiali serbi del KPS non sono stati in grado di perquisire i mezzi, a causa della reazione dei poliziotti albanesi, ma sono riusciti a registrare la targa di una delle automobili e i numeri di identificazione dei poliziotti in abiti civili. Nella stessa notte, la pattuglia serba del KPS ha raccontato nel proprio rapporto che qualcuno ha chiamato a loro nome la base, definendo la situazione sul terreno come “normale”. I poliziotti sono riusciti a individuare la frequenza radio utilizzata nell'incidente.
Osservatorio ha ricevuto poi conferma orale da parte di un alto ufficiale del KPS di Mitrovica che la settimana scorsa poliziotti serbi per quattro notti consecutive hanno fermato veicoli con targa serba a nord di Mitrovica in cui si trovavano appartenenti ai reparti speciali della polizia di Pristina in abiti civili.Nel caso del controllo di due automobili prive di targa, uno dei civili fermati ha mostrato attraverso il finestrino chiuso un tesserino militare britannico, che dopo i controlli è risultato essere valido. Le fonti di polizia affermano di non avere alcuna possibilità di intervenire nelle attività della KFOR.
Anche sui media si ripetono scenari di possibili violenza. Opponendosi alla pressione esercitata sugli albanesi affinché accettino l'accordo, Arian Dobroshi, per il “New Kosova Report” scrive: “I kosovari, se pressati in questo modo, prenderanno una posizione ancora più radicale di quella assunta al tempo della soppressione dell'autonomia da parte di Milosevic nel 1989, cosa che nel meno fosco degli scenari porterebbe comunque alla caduta dell'inefficace governo di Thaci. Questo porterebbe a sua volta all'anarchia e a scontri etnici come quelli del 2004. Nello scenario peggiore, si potrebbe verificare il tentativo di unificazione con l'Albania, destabilizzando così l'intera regione balcanica”.
Per protestare contro il piano, mercoledì prossimo è già stata annunciata una manifestazione a Pristina, organizzata da quindici organizzazioni non governative kosovare.