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Ancora guai per Haradinaj

03.04.2007    Da Pristina, scrive Alma Lama

Ramush Haradinaj
Mentre all'Aja il processo ad Haradinaj per crimini di guerra entra nel vivo, in Kosovo il suo braccio destro viene arrestato per riciclaggio di denaro sporco nella gestione di un fondo creato proprio per finanziare la difesa dell'ex primo ministro
L’ex premier del Kosovo Ramush Haradinaj sta affrontando ultimamente un periodo davvero difficile. Dopo che la procuratrice del Tribunale dell’Aja, Carla Del Ponte, nella sua arringa iniziale al processo che lo vede indagato, tra l’altro, per crimini di guerra, l’ha definito senza mezzi termini “un gangster”, i suoi più stretti collaboratori sono sotto accusa per riciclaggio di denaro sporco. L’iniziativa è partita anche in questo caso dalla Del Ponte, che ha ordinato di investigare sull’origine del fondo, del valore di circa dieci milioni di euro, aperto proprio per finanziare la difesa di Haradinaj al processo in Olanda. Ufficialmente il denaro è stato raccolto dai cittadini kosovari. La procuratrice, però, sembra non esserne convinta, e sospetta che si tratti in realtà di denaro poco pulito.

In relazione alla vicenda, il 12 marzo scorso le autorità dell’Unmik hanno provveduto all’arresto di Jahja Lluka, braccio destro di Haradinaj, la persona che gestiva il fondo in questione, al momento uno dei consiglieri dell’attuale primo ministro kosovaro Agim Ceku. Proprio Lluka, secondo le accuse, avrebbe depositato sul conto aperto nella banca “Kasabanka” migliaia di euro, tutti in versamenti inferiori a 10mila euro, limite al di sopra del quale chi deposita è obbligato a specificare l’origine del denaro utilizzato nella transazione. Negli ultimi mesi, Lluka avrebbe effettuato almeno cinquanta operazioni di questo tipo. Anche il direttore della “Kasabanka” è stato arrestato.

L’intera vicenda, sembra essere piuttosto complicata. Carla Del Ponte ha ordinato infatti di indagare su conti aperti nella stessa banca in altri paesi della regione, come Macedonia, Bosnia, Serbia ecc. La polizia ha effettuato una perquisizione anche nell’ufficio di Lluka presso la sede dell’Aak (Alleanza per il futuro del Kosovo), il partito politico guidato da Haradinaj. I due arrestati sono ora agli arresti domiciliari, e vi rimarranno per almeno trenta giorni. Secondo i media locali, le indagini sul caso erano cominciate da molto tempo, ma per cominciare l’operazione la polizia ha preferito aspettare che Haradinaj tornasse all’Aja per il processo.

L’Aak ha reagito agli eventi con molta durezza. “Consideriamo questa operazione come un atto volto al tentativo di destabilizzazione del Kosovo”, ha dichiarato il vicesegretario del partito Ahmet Isufi nella conferenza stampa convocata subito dopo gli arresti, “e la provenienza dei fondi in questione è perfettamente trasparente”. I dirigenti dell’Aak hanno poi accusato gli ufficiali dell polizia dell’Unmik di non essersi volutamente presentati ad alcuni appuntamenti precedentemente organizzati con Lluka per avere chiarimenti.

Mentre le indagini sul caso vengono portate avanti in Kosovo, all’Aja il processo contro Haradinaj entra nel vivo, con le testimonianza dei testimoni dell’accusa portati in aula dalla Procura. Haradinaj è accusato della morte di almeno quaranta persone, avvenuta nel 1998 nel Kosovo occidentale, quando proprio Haradinaj era il comandante dell’Uçk nella regione. Insieme a lui, sul banco degli imputati, siedono altri due membri dell’Uçk. Il processo è senz’altro fortemente influenzato dalla morte dei principali testimoni dell’accusa. Innanzitutto Tahir Zemaj, ucciso insieme al figlio nel 2002. Ad appena due settimane dall’inizio del processo è morto anche Kujtim Berisha, apparentemente per un incidente stradale in Montenegro.

Probabilmente è stato proprio questo a spingere Carla Del Ponte a definire nella sua arringa Haradinaj “un gangster in uniforme”. Di certo l’eco di questa frase in Kosovo è stata molto forte. I numerosi sostenitori dell’ex premier kosovaro, però, continuano a credere che in realtà si tratta di un processo prettamente politico, e un tentativo di mettere sullo stesso piano i crimini commessi dai serbi in Kosovo con quelli commessi dagli albanesi. Per la maggior parte degli albanesi kosovari, Haradinaj resta un eroe di guerra che ha lottato per la libertà del suo popolo. Non manca, però, chi pensa che Haradinaj sia un semplice criminale di guerra, un criminale di cui aver paura.

Paura o no, in Kosovo in questo periodo nascono quasi ogni giorno iniziative di supporto morale all’ex comandante dell’ Uçk ed ex primo ministro. Concerti, libri, manifestazioni organizzate nelle varie città del Kosovo per rivendicare l’innocenza di Haradinaj e la giustezza morale della guerra che ha condotto. Decine di articoli, pubblicati su media locali e internazionali a suo supporto sono stati recentemente raccolti in un volume dal titolo “Haradinaj e l’Aja”. Si possono vedere centinaia di sue foto in tutto il Kosovo, mentre una campagna mediatica intitolata “Con Ramush” è partita proprio mentre Haradinaj lasciava la regione per l’Olanda. Una grande “R”, replicata nelle strade è diventato il simbolo stesso del sostegno per l’ex comandante dell’Uçk.

Sebbene sotto processo all’Aja, Haradinaj continua ad essere una delle figure più influenti in Kosovo. L’ombra del suo personaggio sembra essere ovunque, anche e soprattutto all’interno dell’esecutivo di Ceku. Molti ministri continuano ad essere sotto il suo controllo, e in qualche misura anche lo stesso primo ministro. Anche la comunità internazionale è stata costretta a riconoscere questa influenza, facendo di Haradinaj un fattore indispensabile per la sicurezza e la stabilità del Kosovo. Non è un segreto che l’Unmik è venuta a patti con lui, per tenere sotto controllo una situazione che potrebbe divenire esplosiva.

E’ proprio questa la ragione principale per cui l’Unmik rese possibile il suo rientro in Kosovo dopo che il tribunale dell’Aja aveva formalizzato le sue accuse ad Haradinaj per crimini di guerra. Ed è per questo, che la comunità internazionale ha provato continuamente a bilanciare il bisogno di stabilità con le richieste di giustizia.
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