La metamorfosi turca
21.05.2007
Da Istanbul,
scrive Fabio Salomoni
Il Prof. Ahmet Insel
“E’ in atto una trasformazione sociale che sta modificando le tradizionali relazioni tra stato e società, il loro carattere autoritario. Ci sono settori della società che temono di perdere potere da queste trasformazioni.” A colloquio con il Prof. Ahmet Insel, economista e politologo, dell’Università di Galatasaray
Da alcuni anni il paese vive un processo di trasformazione che incontra da almeno un anno a questa parte forti resistenze...
E’in atto una trasformazione sociale che sta modificando le tradizionali relazioni tra stato e società, il loro carattere autoritario. Ci sono settori della società che temono di perdere potere da queste trasformazioni. Il processo di democratizzazione inevitabilmente porta questi settori a perdere il loro status, che trova la sua origine in queste relazioni autoritarie.
Burocrati ed alcuni settori della classe media, che hanno paura della concorrenza delle classi emergenti di origine provinciale. Questi gruppi sociali fanno riferimento ad un nazionalismo chiuso in se stesso, diffidente verso il resto del mondo, che ha paura di una società aperta, più competitiva, fondata sul merito e sulla conoscenza. Di fatto temono di venire marginalizzati dai processi in corso. Sono questi elementi a formare il fronte della conservazione, quello degli statukocu (difensori dello status quo. N.d.A)
Si parla spesso dei militari come se si trattasse di un’entità separata dal resto della società ma in realtà godono di un forte consenso in molti settori della società, non è vero?
Certo c’è una dimensione sociale fondamentale nel potere dei militari, e questi settori della società mettendo l’accento sulla dimensione religiosa dell’AKP (Partito della Giustizia e dello sviluppo) legittimano la loro resistenza denunciando la perdita della laicità. Certo anche l’AKP ha le sue responsabilità, è un partito conservatore, dalle fragili radici democratiche, anche questi elementi sono reali, non sono delle fantasie.
Per alcuni versi l’AKP assomiglia all’attuale partito repubblicano americano, ai neo-con, conservatore sul piano culturale ma estremamente liberista in economia.
La debolezza della tradizione democratica dell’AKP deriva dalla storia del partito. Difficile aspettarsi che non facciamo errori sul piano della democrazia e questo elemento rende gli altri più sensibili. Ma l’altra parte non è più democratica. Ha un aspetto più moderno ma non più democratico, alcune parti del CHP (Partito Repubblicano del Popolo) rappresentano la più classica tradizione autoritaria repubblicana.
Veniamo alla cronaca recente. Lei ha scritto che la crisi attuale è la crisi strutturale del sistema così come è stato ridisegnato dopo il colpo di stato del 1980. Può precisare?
E’ la crisi delle istituzioni politiche create dopo il 12 settembre. La crisi della situazione che è stata voluta e creata dallo stesso regime, del suo modello di relazioni tra lo stato e l’arena politica.
Il 12 settembre ha frenato l’ascesa di una democrazia pluralista che si stava consolidando. L’obbiettivo dei golpisti era quella di creare un sistema politico che, attraverso un nuovo sistema elettorale, permettesse ad un partito centrale di accaparrarsi la maggioranza marginalizzando le minoranze. In questo senso si sono attribuiti al presidente della repubblica poteri difficilmente riscontrabili in un sistema parlamentare puro. Il potere di nomina di alcune cariche importanti ed il diritto di veto.
Un sistema quasi semi-presidenziale.
Sì gli si avvicina molto. Di fronte alla candidatura di Gül si è detto: Non è possibile una cosa simile, non possiamo accettare che lo stesso partito abbia il presidente del parlamento, il primo ministro ed il presidente della repubblica. Ma nel 1989 con il partito ANAP (Partito della madrepatria) e Turgut Özal, in realtà si era avuta la stessa concentrazione di potere. Questi sono gli equilibri creati dal 12 settembre, il controllo da parte di un partito centrale di tutte le cariche più importanti. Lo scopo era quello di garantire la stabilità. Ora il problema non è che un partito controlli le cariche istituzionali più importanti ma che questo partito sia l’AKP.
Quali sono le altre caratteristiche del regime uscito dal 12 settembre?
La legge elettorale che prevede uno sbarramento del 10% per l’ingresso in parlamento, il divieto di formare coalizioni elettorali, il monopolio dato ai segretari di partito di nominare tutti i deputati. E poi la costituzione prodotta dal golpe. Certo una buona parte, almeno un terzo, è cambiata dopo le riforme del 1995 e degli anni 2000 ma lo spirito è rimasto lo stesso.
Queste riforme non hanno intaccato molto il potere dei militari. Non è più un militare il segretario del Consiglio per la Sicurezza Nazionale (MGK) ma adesso lo stato maggiore interviene direttamente nel dibattito politico, è diventato un attore politico a pieno titolo.
Si va alle elezioni del 22 luglio senza che nessun partito mostri di volere riformare il sistema?
Sì, perché in fondo lo stato di crisi serve ad entrambi, AKP, CHP. Una polarizzazione che permette di conquistare consensi maggiori tra gli elettori rispetto a quanto in realtà potrebbero avere in condizioni normali. Altrimenti non avrebbero molto da dire, soprattutto il CHP. Anche l’AKP ne trae vantaggio, non ha interesse a modificare la costituzione o la legge elettorale perché in fondo rappresentano per il partito un vantaggio, potrebbero essere una opportunità per limitare l’interferenza dei militari.
La crisi attuale però viene presentata nei termini di una contrapposizione tra laici e fondamentalisti…
Sì ma in realtà non è così, si tratta di una copertura, soprattutto da parte dei laici. Il regime repubblicano lo definisco un regime pretoriano che ha necessità di produrre in continuazione la paura, la minaccia per garantirsi legittimazione. Anche lo scontro attuale tra laici e religiosi è in questa ottica, di produrre un pericolo dal quale il regime si deve difendere. In passato questo pericolo è stato il comunismo e poi è stata la volta del separatismo curdo.
Si stanno confrontando gruppi sociali diversi in competizione. Dal punto di vista sociale nonostante le apparenze hanno punti di contatto, il loro nocciolo è composto dalla classe media, dalla borghesia turca. Certo con l’AKP ci sono anche contadini ed operai ma il nocciolo duro che sostiene il partito è la nuova borghesia. Per capire questo aspetto dobbiamo rifarci alla società ottomana, alla divisione tra havas, l’élite, e havam, il popolino. Una contrapposizione fondata su differenze economiche ma soprattutto su differenze culturali e sulle diverse relazioni con lo stato. Da noi non c’era una classe aristocratica di proprietari terrieri, la terra era di proprietà dello stato, essere havas significava essere con lo stato. E questa distinzione vale tuttora, da una parte c’è chi si ritiene havas e chi si ritiene havam. Ed è curioso che quando l’havam arriva al potere, cioè il AKP, continua a sentirsi una vittima ed a comportarsi come tale.
Il confronto quindi tra questi diversi schieramenti, simili dal punto di vista sociale si sposta su di un livello simbolico, il velo contro l’immagine del moderno kemalista...
Certo, c’è sicuramente una dimensione economica ma la questione simbolica è fondamentale, lo scontrasi e il differenziarsi sul piano dei simboli. Chi usa il velo ed i simboli e chi, e dall’altra parte, usa un discorso contro la religione ed in difesa della laicità. Un discorso che si trasforma in un fondamentalismo secolare. Si è trasformata la laicità in una sorta di religione. Un insieme di simboli e rituali che trasformano il kemalismo in una religione laica.
Le elezioni risolveranno la crisi?
No, non credo la risolveranno. Al momento possiamo ipotizzare molti scenari possibili.
Se dal voto del 22 luglio uscisse di nuovo un parlamento con due soli partiti, il regime si bloccherà e allora non so cosa potrebbe succedere, forse si tornerà a nuove elezioni e modificare la costituzione, non lo so.
Quello che è certo è che l’AKP sarà ancora il primo partito ma se anche altri partiti riuscissero a superare lo sbarramento, allora probabilmente l’AKP sarà costretto ad un governo di coalizione.
Ma anche in questa situazione non si eleggerà un nuovo presidente della repubblica, o comunque renderà più difficile la sua elezione. In ogni caso sarà un parlamento che non sarà in grado di compiere riforme importanti, sarà un periodo di glaciazione, che si limiterà a gestire l’ordinaria amministrazione.
Lei ha scritto molto sul ruolo che potrebbero avere i candidati indipendenti per la sinistra. Come giudica la riforma approvata dal parlamento che mette i nomi di questi candidati nella stessa scheda elettorale con gli altri?
Si tratta di un’iniziativa contro i candidati indipendenti curdi. In realtà la nuova legge favorisce i candidati dei centri urbani, i loro elettori sanno a chi dare il voto, si tratta di elettori che sanno leggere e scrivere. Per loro il fatto che il nome del candidato indipendente sia con gli altri non cambia la situazione. Invece diventa più difficile per gli elettori curdi, tra i quali sono alti i tassi di analfabetismo. Sarà più difficile trovare il nome o il simbolo del loro candidato. Per approvare questa riforma tutti i partiti si sono trovati d’accordo.
Cosa sarà delle riforme e della democratizzazione, con il nuovo parlamento?
Se l’AKP riuscisse ad avere la maggioranza potrà garantire la continuità delle riforme. Perché il successo del partito dipende solo dai suoi riferimenti alla religione ma soprattutto dal fatto che sul piano politico ed economico spinge per il cambiamento. Un problema importante è che nel processo riformatore il partito trovava forza e combustile nella prospettiva di adesione all’Unione Europea. Questa prospettiva non dipende solo dall’AKP, ed è attualmente in fase di stallo anche per la freddezza europea. Questo significa che le riforme del prossimo futuro dovranno fondarsi sulle dinamiche interne del paese. Ed in questa prospettiva la questione curda assume un particolare rilievo. Sarà necessario che emergano risposte per la questione curda. Secondo me una simile possibilità è legata alla eventualità che il DTP (Partito della società democratica) riesca a far entrare in parlamento 20-30 deputati come candidati indipendenti. In questo caso forse potrebbero arrivare ad una qualche forma di coalizione con l’AKP spingendolo a fare le riforme.
Quali forze possono sostenere il processo di democratizzazione?
Certamente c’è una società civile forte e dinamica ma se ci riferiamo ai partiti che hanno la possibilità di entrare in parlamento beh allora, ci sono partiti che sostengono una democrazia limitata, il DYP (Partito della Giusta Via) e ANAP ad esempio, liberali conservatori. Nel CHP non c’è nemmeno questa possibilità. Una volta sì, negli anni ’90, ai tempi della coalizione con il SHP (Partito popolare socialdemocratico) ma poi dopo il 1999 il partito velocemente s è trasformato. Favorendo la divisione tra laici e religiosi si è trasformato in un difensore del regime, sfruttando le paure della classe media. Non ha nessuna proposta per il futuro e quindi nemmeno per la democratizzazione. Pur con tutte le sue mancanze l’unico partito in grado di portare avanti le riforme è l’AKP.