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Stato, politica, società

05.07.2007    Da Istanbul, scrive Fabio Salomoni

Prof. Fuat Keyman
“Nel processo di modernizzazione della Turchia si stanno modificando i tradizionali rapporti tra lo spazio della politica, lo stato e la società. Ciò che sta accadendo in questo periodo è il tentativo di fermare questo processo ma la società reagisce”. Nostra intervista a Fuat Keyman
Il prof. Fuat Keyman, docente alla Università Koç di Istanbul, si occupa soprattutto del processo di democratizzazione, di società civile in Turchia nonché di relazioni internazionali. Oltre ad essere uno dei più autorevoli collaboratori delle pagine culturali del quotidiano “Radikal”.

Lei ha recentemente usato toni preoccupati rispetto all’attuale momento politico che la Turchia sta attraversando, in particolare in riferimento alle elezioni politiche...

In realtà non si tratta di normali elezioni. Il paese attraversa un momento di crisi che inizialmente è esplosa intorno all’elezione del presidente della Repubblica, e che attualmente continua intorno alla questione del Nord Iraq, il problema del terrorismo, secondo le definizioni dello stato e delle forze armate. Questi due elementi hanno determinato la crisi e la scelta di anticipare le elezioni.

All’interno di questa fase poi dobbiamo considerare anche la tensione creata dal colpo di stato telematico del 27 aprile e poi l’intervento della corte costituzionale. C’è un caos politico tra crisi del presidente, crisi del regime, intervento dei militari e questione curda. Tutti elementi funzionali a minacciare l’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) ed il governo e contemporaneamente rafforzare l’opposizione. Ed anche questa non è certo una situazione normale perché durante la campagna elettorale si dovrebbe parlare di problemi reali, di economia, di istruzione, di questione curda, ed invece il problema centrale sembra essere la stabilità del regime. Nessuno sembra interessato a cercare soluzioni alle questioni più urgenti. Anche per queste ragioni è difficile parlare di elezioni normali.

Nei suoi lavori lei individua come nocciolo del processo di trasformazione del paese la trasformazione della relazione tra stato e politica. Tradizionalmente in Turchia è lo stato e non il governo lo spazio della politica, il luogo dove si producono politiche. Le riforme degli ultimi anni mirano a modificare questa relazione. La crisi attuale nasce dalla resistenza al cambiamento?

A partire dagli anni 2000 l’agire della politica, così come nei paesi occidentali, si è lentamente orientato verso la soluzione delle questioni sociali, per produrre politiche in questo senso. E le relazioni con l’Europa e la candidatura turca hanno rappresentato il punto di svolta. Questa fase ha di fatto creato le condizioni perché la politica andasse verso la società. Nel periodo dell’AKP abbiamo assistito a questo spostamento della politica verso la società, ad un certo dinamismo della società civile. Poi la crisi economica del 2001 ha imposto una riorganizzazione delle relazioni tra stato ed economia. Nel processo di modernizzazione della Turchia si stanno modificando i tradizionali rapporti tra lo spazio della politica, lo stato e la società. In modo interessante quello che sta accadendo in questo periodo è il tentativo di fermare questo processo ma, questo è importante, c’è una reazione della società.

Se guardiamo ai sondaggi vediamo che, nonostante la mobilitazione dello stato, la magistratura, l’esercito e i settori politici ad essi vicini, come il CHP (Partito Repubblicano del Popolo), il sostegno della gente va verso l’AKP. Se torniamo alla domanda iniziale, è vero che le elezioni si svolgono in condizioni eccezionali, ci sono ostacoli nei confronti dell’apertura della politica verso la società ma anche una forte reazione.

L’AKP sembra essere ancora il primo partito nonostante venga da tempo presentato come una minaccia per il regime, vuoi per quanto riguarda la laicità vuoi per quanto riguarda l’unità nazionale e la questione del terrorismo. Questo dimostra che il processo innescatosi negli ultimi anni, ha generato il desiderio di un nuovo contratto sociale, la società vuole affermare la sua presenza, noi siamo qui e vogliamo riscrivere i rapporti tra stato e società. E’ un segnale del sostegno alla politica ed alla sua apertura verso la società.

Gli statukocu, i difensori dello status quo, usano come armi per legittimare la resistenza il richiamo ai due grandi traumi sui quali si fonda l’identità nazionale: il pericolo del fondamentalismo religioso e quello della disgregazione del paese.

Sì è così e queste due paure vengono associate all’AKP ma se il partito continua ad avere consensi significa che la società non lo percepisce come una minaccia.

Per le prossime elezioni l’AKP ha sostituito 150 parlamentari, si è rinnovato presentando volti nuovi, molte donne. Lo ha fatto per lanciare un messaggio, per dimostrare che il partito si situa al centro del sistema, al centro destra magari, ma non lo vuole minacciare o rovesciare. Con questo rinnovamento, mutazione, perdono progressivamente forza le accuse che presentano il partito come una minaccia. Certo sono molte le critiche che si possono rivolgere all’AKP ma nessuna è tale da giustificare un intervento dei militari

L’AKP è un partito che cambia, che impara continuamente, ha marginalizzato la componente religiosa rappresentata dal movimento Milli Görüş. Diventa sempre più difficile attaccarlo e presentarlo come un pericolo per la repubblica.

Gli indicatori economici mostrano poi che, nonostante alcuni problemi, la tendenza è positiva e quindi è anche impossibile accusare il partito di aver portato il paese alla rovina economica. Lo stesso vale per le relazioni con l’Unione europea, esistono problemi, certamente, ma il processo di adesione è in marcia.

Quali le ragioni del successo dell’AKP?

Una parte importante dell’elettorato vede il partito come l’attore che dà dignità ai riferimenti religiosi ma soprattutto non dimentichiamo che gli sviluppi economici degli ultimi anni hanno arricchito diversi settori della società.

L’attuale dibattito si svolge tra gli attori istituzionali, sulla questione del potere, ma esclude completamente le questioni che coinvolgono la vita quotidiana delle persone. E visto che non esiste un’alternativa di sinistra, social democratica, l’AKP è il partito in grado di raccogliere consensi.

Attualmente ci sono nel paese solo due partiti per così dire di massa: l’AKP, con il suo pragmatismo ed i suoi riferimenti culturali, l’altro partito è quello del MHP (Partito di Azione Nazionalista) che si caratterizza per il suo carattere ideologico, nazionalista. Gli altri partiti non riescono a stabilire rapporti con la società.

Fuori gioco il Partito della Madre Patria (ANAP) che ha fallito la fusione con il Partito della Giusta Via (DYP), il quale a sua volta si è trasformato nel Partito Democratico. Il CHP dal canto suo ha completamente reciso ogni legame con la società negli ultimi anni, è solamente il custode dell’attuale regime.

Dalle elezioni potrebbero uscire risultati molto interessanti. Ad esempio se, come appare molto probabile, nell’Est AKP e i candidati curdi ottenessero più del 70% dei voti, come lo potremmo spiegare? Otterrebbero larghi consensi i rappresentanti politici che si identificano con quelle che vengono presentate come le due questioni più delicate per la sopravvivenza della repubblica: l’Islam e la questione curda. Questo significa che dobbiamo cambiare il nostro modo di guardare alle cose.

Tra le molte voci che circolano in questa fase anche quella secondo cui non si arriverà alle elezioni, lei crede sia una possibilità realistica?

Una possibilità del genere è legata a due fattori. Il primo è l’intervento in Iraq o meglio la guerra, perché se l’esercito entrasse in Iraq si tratterebbe di una guerra al di là degli eufemismi. In questo caso si può discutere se è possibile tenere elezioni in un paese coinvolto in una guerra. In realtà il dibattito sul possibile intervento in Iraq è un’arma utilizzata per attaccare l’AKP, perché nella realtà nessuno ha il coraggio di parlare chiaramente, di dire chiaramente che bisogna fare la guerra, nemmeno Baykal. Per questo credo che si tratti esclusivamente di un dibattito rivolto alla politica interna e non credo ci sarà un intervento militare e quindi nemmeno una minaccia per le elezioni.

Il secondo fattore che potrebbe portare ad un rinvio delle elezioni sarebbe la chiusura dell’AKP da parte della magistratura con l’accusa di minacciare la laicità del regime. Il partito però ormai non può più essere accusato di essere un partito fondamentalista, il partito, come abbiamo visto, si è mosso bene trasformandosi e quindi anche questo secondo fattore con il passare del tempo perde sempre più forza. Certo, tutto può succedere ma io credo che non sarà possibile rinviare le elezioni.

Secondo me le elezioni si faranno e mi spingo anche oltre, dopo le elezioni potrà riprendere vigore il processo riformatore, superata la crisi dell’elezione del presidente della repubblica, il paese riprenderà il suo processo di trasformazione.

L’attuale fase di crisi poi rappresenta anche la sconfitta del sistema politico prodotto dal golpe del 1980 e credo che il sistema si dovrà riformare radicalmente: la costituzione, la legge elettorale, lo sbarramento del 10%, saranno gli elementi che dovranno cambiare dopo le elezioni. E probabilmente questa nuova fase sarà condotta dall’AKP.

La cronaca delle ultime settimane propone sequestri di armi ed esplosivi, l’arresto di ambigui personaggi, militari in pensione, appartenenti a fantomatiche associazioni della società civile che sembrano coinvolte in molti degli episodi più oscuri della storia recente. E’ in atto una resa dei conti?

Gli arresti ed i ritrovamenti di esplosivi negli ultime settimane mostrano perlomeno che ci sono contrasti all’interno dello stato. Mi chiedo, perché in questo paese le manifestazioni contro la laicità raccolgono milioni di persone e quelle contro il terrorismo della settimana scorsa poche centinaia?

Perché la Turchia non è la Spagna. Se guardiamo agli ultimi avvenimenti in Turchia, dall’omicidio del giudice della corte di cassazione l’anno scorso, quello di padre Santoro, l’omicidio Dink o il massacro di Malatya, non troviamo il PKK o il terrorismo islamico ma altre forze oscure. Contro quale terrorismo dovrebbe manifestare la gente?

Per concludere, quali partiti entreranno in parlamento secondo lei?

L’AKP sarà il primo partito, poi il CHP e MHP, non altri. E poi i candidati indipendenti, quelli curdi del DTP e speriamo anche quelli di sinistra, anche se per loro l’obbiettivo sembra tutt’altro che facile. Credo sia molto importante l’elezione di candidati indipendenti di sinistra, un antidoto contro i nazionalismi e forse anche un eventuale punto di partenza per la ricostruzione della sinistra.
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