Elezioni in Turchia: appuntamento cruciale
20.07.2007
Da Istanbul,
scrive Fabio Salomoni
Un campagna elettorale dai toni dimessi che ha lasciato completamente assenti due grandi temi: la questione curda e l’Ue. La società turca è però consapevole di trovarsi di fronte ad un appuntamento cruciale per il futuro della Turchia
“Se non saremo l’unico partito al governo mi ritirerò dalla politica”. Sono queste parole di Erdoğan ad animare le ultime ore della campagna elettorale in vista delle elezioni di domenica. Nonostante l’appuntamento elettorale si presenti come uno dei più importanti della recente storia repubblicana si è trattato però di una campagna elettorale anomala. Complice anche la calura estiva, la società turca è arrivata all’appuntamento elettorale spossata dopo mesi di tensioni e polemiche cominciate intorno alla questione dell’elezione del presidente della repubblica.
E la campagna elettorale, pur non mancando i canonici comizi elettorali, gli interminabili dibattiti televisivi e le polemiche quotidiane sulle pagine dei giornali, ha avuto un tono insolitamente dimesso.
Soprattutto pressoché ignorate le grandi questioni che interessano la vita quotidiana del paese e che attendono urgentemente soluzioni. Il rafforzamento di un’economia che pur avendo mostrato sorprendenti tassi di crescita negli ultimi anni rimane strutturalmente fragile, la riforma fiscale, quella della previdenza sociale, gli squilibri regionali, gli ancora alti tassi di disoccupazione, ufficiale e sommersa, e le profonde diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza. Rari sono stati gli accenni alla necessità di una riforma istituzionale che riveda alla radice il sistema disegnato dalla giunta militare agli inizia degli anni ’80. Completamente assenti due grandi temi intorno ai quali si giocherà il futuro del paese: la questione curda e l’Unione europea.
Dopo la ripresa della violenza degli ultimi mesi e la crescita del risentimento e degli umori nazionalisti nessun partito, ad esclusione ovviamente di quello curdo, se l’è sentita di mettere le mani su di una questione scottante con il rischio di bruciare fette importanti di consensi.
Per quanto riguarda l’adesione europea l’ambiguo comportamento della UE e soprattutto la crescita
dei sentimenti antiturchi (le performance verbali di Sarkozy sono state seguite attentamente nel paese) hanno da tempo raffreddato gli entusiasmi europei e suggerito prudenza ai leader politici. Il fatto che nessun partito abbia però cercato di sfruttare in chiave elettorale questo risentimento antieuropeo mostra come, al di là della retorica elettorale, sia ampiamente diffusa la coscienza che comunque l’Unione europea rappresenta un punto di riferimento irrinunciabile per il futuro del paese. Anche i militari, da mesi un attore politico a pieno titolo, dopo aver cercato di mettere più volte all’angolo il governo Erdoğan prima sulla questione della laicità e poi sulla lotta al terrorismo e l’intervento nel Nord Iraq, negli ultimi giorni si sono progressivamente ritirati dietro le quinte, in attesa degli esiti delle urne.
Accantonati i grandi temi che cosa è rimasto nella campagna elettorale? Polemiche personali tra i leader di partito, in particolare Baykal ed Erdoğan, riferimenti alle grandi paure di rito “non permetteremo la disgregazione del paese”, il tentativo di sfruttare le paure provocate dalla ripresa degli scontri tra l’esercito ed il PKK, “In un mese eliminerò il terrorismo” promette Mehmet Ağar del Partito Democratico. Ed anche alcune scivolate di cattivo gusto come quella di Devlet Bahçeli, leader dell’ultranazionalista MHP che dopo aver cercato per mesi di rendere presentabile il suo partito, in un comizio ha lanciato alla folla un cappio sfidando Erdoğan “ad impiccare Öcalan” dimenticandosi, tra l’altro, di essere stato tra coloro che hanno firmato l’abolizione della pena di morte.
Per trovare entusiasmo e partecipazione bisogna rivolgersi ai candidati indipendenti, la vera novità di rilievo di queste elezioni. In particolare i rappresentanti del DTP, ai quali la scelta di presentarsi come candidati indipendenti, ha dato la sensazione che per la prima volta dopo il 1991 nel parlamento tornerà a farsi sentire la voce della comunità curda. Una ventata di ottimismo e di entusiasmo che si coglie nettamente non solo nelle parole dei leader del partito, in particolare la co-presidente Aysel Tuğluk, ma anche della gente comune, il cui viso si illumina quando gli si chiede delle elezioni: “Anche se ci mettono sempre degli ostacoli, questa volta ce la facciamo”.
In queste ultime ore si moltiplicano analisi, previsioni e sondaggi che cercano di capire quale parlamento uscirà dalle urne. Quasi scontata la vittoria dell’AKP che si confermerà primo partito, si discute intorno alle proporzioni del suo successo. Alquanto probabile è un aumento dei consensi rispetto al 34% del 2002. Da un lato il partito ha rinnovato buona parte dei suoi candidati per mettersi al riparo dalle accuse di attentare alla laicità, marginalizzando la componente legata ai tradizionalisti del Milli Görüş ed integrando personalità del mondo accademico, molte donne ed anche esponenti della comunità alevita.
Dall’altro la storia politica della Turchia insegna che dopo ogni intervento dei militari, l’ultima volta dopo il golpe del 1980, i consensi sono andati al partito percepito come più lontano dalle forze armate. Inoltre anche gli ambienti economici e finanziari ammettono, magari a denti stretti, che una vittoria dell’AKP rappresenta la migliore garanzia di stabilità e di continuità nel processo riformatore.
A differenza delle elezioni del 2002 questa volta saranno più di due i partiti che riusciranno superare la soglia di sbarramento del 10%. Oltre all’AKP, il CHP sotto il cui simbolo si presenteranno anche i candidati del DSP (Partito Democratico di Sinistra). Le ultime previsioni lo danno intorno al 20%. Il terzo partito quasi sicuramente sarà il Movimento di Azione Nazionalista (MHP) che raccoglie i risentimenti e le paure legate al ritorno della violenza nell’Est del paese e la più generale crescita dei sentimenti nazionalisti.
Accanto a questi tre partiti eventuali sorprese potrebbero arrivare, anche se le probabilità sembrano essere ridotte, da altre due formazioni: il Partito Giovane (GP), il partito azienda di Cem Uzan, travolto dagli scandali finanziari che, con la sua miscela di nazionalismo e populismo qualunquista, rappresenterebbe la scelta anti-politica. Il secondo è il Partito Democratico (DP) che nonostante la fallita fusione con l’ANAP può contare sulla fama di “uomo d’ordine” del suo leader Mehmet Ağar e un evidente trattamento di favore da parte della grande stampa.
Certa invece la presenza di un folto gruppo di rappresentanti curdi che potrebbero costituire un proprio gruppo parlamentare e molto probabile quella di alcuni candidati della sinistra, in particolare Baskin Oran e Ufuk Uras, importante quantomeno sul piano simbolico.
Il prossimo parlamento dovrebbe quindi garantire una maggior rappresentanza della società turca, se consideriamo che nel 2002 il 45% dei voti sono rimasti fuori dall’aula per effetto dello sbarramento. La presenza di più partiti inoltre farebbe sì che l’AKP, nonostante la sua maggioranza percentuale, avrebbe un numero di deputati inferiore a quello della passata legislatura, 363 su 550. Un elemento in grado di contribuire a smussare le tentazioni egemoniche e piglia-tutto che il partito ha più volte mostrato e di favorire un approccio più sensibile alla mediazione, magari a partire dal primo scottante problema che il nuovo parlamento si troverà ad affrontare, l’elezione del nuovo presidente della repubblica.
Infine rimane da considerare un elemento spesso trascurato dalle analisi di questi ultimi tempi. Nelle elezioni del 2002 gli astenuti furono più di nove milioni, un indice eloquente della sfiducia degli elettori nei confronti del sistema politico del paese. I sondaggi di questi giorni indicano una probabile, sensibile riduzione della percentuale di astenuti. Segno questo di come, al di là dei toni dimessi della campagna elettorale, nella società turca si vada diffondendo la consapevolezza di trovarsi, con queste elezioni, di fronte ad un appuntamento cruciale per il futuro del paese.