Di Fatos Lubonja, Bota shqiptare, 18-31 maggio 2007 (tit. orig. Roli i gazetari dhe i qehajait)
Traduzione per Osservatorio Balcani: Marjola Rukaj
In queste ultime settimane, un progetto del governo albanese riguardante i media, ha riaperto la questione del rapporto tra i proprietari dei media e i giornalisti che lavorano alle loro dipendenze. Quello che più mi ha colpito in alcuni dibattiti su questo argomento, è l’infiltrazione sempre maggiore della convinzione che i proprietari dei media debbano controllare i propri media, cosa che comunque viene applicata ampiamente (per fortuna non da tutti). Si è anche tentato di legittimare questa situazione, mentre di recente sembra si sia a favore di tutelarla come un palese diritto dei proprietari dei media, e su questo si stanno battendo persino i giornalisti.
Più esplicitamente questa convinzione l’ho sentita esprimere da un giornalista durante una trasmissione televisiva che trattava di questo argomento. Il giornalista ha detto più o meno che se un proprietario di un media è anche attivo nell’ambito dell’edilizia, e quindi è interessato a incentivare le costruzioni, allora è più che normale che il suo organo di informazione promuova l’edilizia. Sempre secondo questo punto di vista, un altro proprietario dei media, che ha altri interessi rispetto a quello precedentemente citato, può anche lui dire la sua e arriveremo così al pluralismo delle opinioni.
Ma com’è possibile ridurre così il ruolo dei media e dei giornalisti, come sta disgraziatamente accadendo ora nel nostro paese delle meraviglie, grazie anche al contributo dei giornalisti? Tenterò di indicare – senza addentrarmi nei retroscena del pessimo utilizzo dei media, e neanche nei legami tra i media e la politica, ma semplicemente partendo dalla convinzione di suddetto giornalista – solo alcune ragioni per cui non la si può pensare in questo modo.
Innanzitutto pensare che i media esistano solo in funzione dei loro proprietari, e non in funzione dei giornalisti che vi lavorano, e che li pongono in essere con i loro sforzi, la loro preparazione e il loro impegno, è un’affermazione drammatica per quei giornalisti che sono di questa opinione. Anche quando si tratta di produrre merci molto meno complesse di un giornale o di una trasmissione televisiva, esse vengono considerate come frutto del lavoro di un gruppo di persone che vengono remunerate in base ai loro meriti e al contributo dato, e godono anche dei diritti previsti da un contratto, escludendo quindi che una merce sia merito di una singola persona o di alcune persone isolate.
In secondo luogo, i media, siano essi stampati o televisivi, anche se appartengono a un privato, rimangono sempre parte della cosa pubblica. Non bisogna dimenticare che molti media sono sostenuti anche da diversi sponsor come ad esempio AMC (compagnia di telefonia mobile estesa in alcuni paesi balcanici) o Vodafone in base a delle leggi che le esonerano da alcune tasse per far sì che l’informazione giunga a un pubblico più vasto. Ma a finanziare i media possono essere anche enti statali come ad esempio il ministero della Cultura. Se i media lavorassero solo per gli interessi dei loro proprietari, allora sarebbe opportuno che lo Stato cambiasse immediatamente la legge sui finanziamenti ai media e facesse anche in modo che enti come il ministero della Cultura non versassero le tasse degli albanesi a questi media.
In terzo luogo: l’utilizzo dei media in funzione degli interessi privati dei proprietari mette a nudo la questione dell’ineguaglianza delle aziende tra di loro, ma soprattutto è preoccupante l’ineguaglianza del semplice cittadino rispetto all’uomo d’affari proprietario dei media. Perché, sempre riferendosi all’esempio di prima, se un proprietario che investe nell’edilizia, può usare i suoi media per promuovere i suoi affari, un comune cittadino o un’associazione di ambientalisti che ne vengono danneggiati e che vorrebbero proporre l’altro lato della medaglia, non dispongono degli stessi mezzi per tirare acqua al proprio mulino.
Ma c’è qualcosa di ancor più drammatico se la questione la si volge verso un altro aspetto, e si pone il quesito: qual è il ruolo del giornalista nei media? Qual è la verità del giornalista? Può quest’ultima distinguersi dalla verità del proprietario oppure bisogna che coincida con essa? Ci si può interamente attenere alla verità, a quella che interessa al pubblico, se si trasmettono solo gli interessi di alcuni proprietari dei media?
Si rischia che il giornalista si riduca ad uno scrivano, che mette il suo talento da scrivano a servizio di un proprietario. Si finisce per ottenere così la figura del giornalista sfacciato che non ha idee sue. In Albania questo avviene sul serio e il numero dei giornalisti sfacciati o che stanno per diventarlo sta aumentando in modo drammatico.
Questo tipo di giornalista è anche privo di responsabilità su quello che dice o che scrive poiché in fin dei conti egli può giustificarsi dicendo che questa era la volontà del suo capo. Sostanzialmente questo tipo di giornalista finisce per assomigliare al giornalista dei tempi del comunismo che ovviamente parlava e scriveva in nome del regime che lo pagava, senza avere né libertà né una sua personalità. Non è un caso che 45 anni di giornalismo del periodo comunista non abbiano lasciato niente e neanche un nome che sia degno di essere chiamato giornalista.
Mi sembra che una buona parte dei giornalisti, in questo nostro capitalismo selvaggio, siano egualmente anonimi e allo stesso tempo violatori della verità e del vero interesse del pubblico. Intanto bisogna tenere in considerazione che neanche negli eserciti dei paesi democratici l’uomo può spogliarsi della sua personalità e della sua integrità come vogliono fare i proprietari dei nostri media, o come fanno da soli i nostri giornalisti. Un soldato oggi nel mondo democratico è tutelato per legge e può opporsi all’ordine di compiere un atto voluto dal suo superiore se per sua coscienza crede che questo possa ledere i diritti della persona. Invece l’idea di cui si sta dibattendo in Albania sembra mirare a trasformare i giornalisti in soldati ubbidienti incivili che giurano sul nome del padrone.
Se i media devono lavorare in funzione del loro proprietario, si va a finire che il lavoro del giornalista valga e venga misurato, e poi anche compensato, come il lavoro del portavoce del proprietario. Un giornalista verrebbe di conseguenza compensato di più o di meno a seconda del profitto negli affari del suo capo, e di conseguenza è ovvio che uno che investe nell’edilizia avrà più mezzi per stimolare i propri giornalisti rispetto a un’associazione ambientalista che riesce appena a stampare i suoi volantini grazie ai finanziamenti che ottiene dagli occidentali – a prescindere dal fatto che le verità del giornalista dell’edilizia abbiano minor peso per il pubblico rispetto alle verità del giornalista ambientalista.
Allo stesso modo non può mai succedere che la verità e la problematica di un pugno di proprietari copra tutta la verità e tutta la problematica di una società. Si tratta di un settore molto più ampio e spesso contrastante con gli interessi degli altri affari dei loro capi. Non solo, la maggior parte dei nostri proprietari dei media, ha avuto ed ha interesse a nascondere molte verità e ad esagerarne molte altre, e le conseguenze di questi atteggiamenti si trovano ovunque nella situazione del comune cittadino che non ha né potere politico, né mediatico, né finanziario per difendere i propri interessi.
Il danno che ha provocato l’industria edile, di cui i maggiori investitori, sono anche proprietari di media, insieme alle violazioni delle leggi ne costituiscono un esempio tangibile. Oppure, giusto per fare un esempio, una TV locale di Tirana qualche giorno fa ha occupato 3/4 del suo telegiornale parlando del fatto che a Scutari le avevano tolto un trasmettitore, che tra l’altro aveva installato in modo illegale, non tenendo conto che questa notizia non è la più importante e neanche l’unica notizia per il pubblico, e neanche la sua maggiore preoccupazione.
Ho elencato solo alcuni argomenti che mi sembrano sufficienti a provare che il tentativo per legittimare l’idea che i proprietari possano utilizzare i loro giornalisti come soldati in regime di dittatura in funzione dei propri interessi sarebbe un ulteriore passo lo sfiguramento dei nostri media e della missione mediatica già gravemente sfigurata. Il fatto che anche nel mondo democratico i media ogni tanto, qui e là non riescano a sfuggire alle richieste dei loro proprietari privati non può venire usato per legittimare il male come facciamo noi di solito accogliendo e spesso applicando come norma gli estremi del male in occidente.
Il giornalista deve essere una personalità, con una propria visione del mondo, una sua sensibilità, i suoi sogni riguardo la società, e allo stesso tempo deve essere indipendente dal potere sia politico che economico. I giornalisti che vengono uccisi stendendo cronache di guerra o che vengono liquidati dalla mafia non lo fanno né per i proprietari dei media per cui lavorano, né per i loro soldi, bensì per una vocazione molto superiore che dà un senso alla loro esistenza sociale.
La verità del giornalista ovviamente non può essere l’unica verità che vi sia, essa ha da competere con le verità degli altri, ma la verità del giornalista deve avere come fonte le sue convinzioni, la sua appartenenza sociale e culturale, e non deve mai dipendere dal portafogli del proprietario dei media per cui lavora. Altrimenti il giornalista svuota di senso la sua nobile professione, rivestendolo del senso dell’infima posizione del qehaja (funzionario nel sistema ottomano, sottomesso al servizio dei beg).