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Balcani e Caucaso a Venezia

10.09.2007    scrive Nicola Falcinella

Una scena del film "12" di N. Mikhalkov
Il regista russo Nikita Mikhalkov con il suo "12" si sofferma sul conflitto in Caucaso, parlando di Cecenia. In “The Hunting Party” di Richard Shepard, ambientato in Bosnia, Richard Gere interpreta un giornalista a caccia di Mladic e Karadzic
Pochi Balcani e poco Caucaso alla 64° Mostra del cinema di Venezia che si è chiusa sabato ancora sotto il segno della Cina con il Leone d’oro al bel “Lust, Caution” di Ang Lee.

Il russo Nikita Mikhalkov (“Oci ciornie” e già vincitore con “Urga”) è tornato sulla scena dopo anni confermandosi sopraffino nella messa in scena e sorprendendo per le posizioni politiche. Considerato vicino al presidente Putin, ha svoltato con un film che nello spunto fa riferimento a “La parola ai giurati” di Sydney Lumet. “12” lancia un forte messaggio: la giustizia deve guardare alla verità e non al colore della pelle o ai pregiudizi. Così i giurati assolvono un giovane ceceno ingiustamente accusato di aver assassinato un soldato russo. Mikhalkov ha preso un Leone speciale per l’insieme dell’opera di certo meritato.

Chiusi in una palestra 12 membri di una giuria devono decidere il destino di uno giovane ceceno accusato di aver ucciso il padre adottivo, un ex soldato russo che se ne prese cura durante il sanguinoso conflitto nel Caucaso. Tutto è una messa in scena della mafia degli immobili moscovita: dare la colpa al ragazzo per liberare un appartamento nella capitale. I giurati si convincono a uno a uno della verità in un susseguirsi di colpi di scena e di trovate (anche il debito ad Anton Chechov è lampante) che rendono sopportabili le due ore e mezza della storia. Un altro film tutto di uomini, come spesso è capitato nella Mostra (l’altro elemento comune è la lunghezza oltre le due ore di molte pellicole) con una spiegazione curiosa: sono i membri della troupe che Mikhalkov stava dirigendo in un altro film (“Il sole ingannatore 2”) che ha dovuto interrompere. Per non lasciarli senza lavoro e cementare il gruppo ha realizzato “12” dando a ciascuno (la pellicola dura più di due ore e un quarto) ampio spazio e la possibilità di dimostrare le proprie capacità in monologhi e tanti cambiamenti di tono. Lo stesso Mikhalkov (che varie volte ha recitato, l’ultima in “Persona non grata” di Zanussi) è attore: l’ultimo a convincersi per l’assoluzione dell’accusato.

Produzione americana girata tra Sarajevo (riconoscibilissima nella parte iniziale e nel finale) e Croazia “The Hunting Party” di Richard Shepard, presentato fuori concorso nella sezione “Venezia Notte”. Richard Gere (al Lido aveva anche “I’m not there” di Todd Haynes dove è uno dei tanti possibili volti del mito Bob Dylan) interpreta un giornalista in disgrazia che in Bosnia cerca i criminali di guerra Mladic e Karadzic. Con lui nel cast ci sono anche Terrence Howard e Diane Kruger.

Il tema, in un’alternarsi di dramma e di commedia che non ha nulla a che fare con l’umorismo balcanico, è: perché non si riescono a catturare i maggiori responsabili della guerra che dal ’92 al ’95 ha dilaniato la Bosnia? Tutti sanno dove si nascondono e nessuno li prende, potrebbero mangiare in un qualsiasi ristorante. Karadzic nel film è chiamato semplicemente “la volpe” ed è impersonato dall’attore croato Ljubomir Kerekes. Gere lo incontra pure.

Un film non eccezionale che si spera possa circolare e far discutere e magari contribuire a sollevare il velo di omertà che circonda la sorte dei due protagonisti della guerra di Bosnia. “Questa sceneggiatura mi è piaciuta tantissimo – ha raccontato Gere - toccava delle corde del mio animo. Avevo passato del tempo nei campi profughi dell’ex Jugoslavia, sia durante la guerra in Bosnia sia quella in Kosovo. Conosco della gente là, ho dei legami spirituali. Sapevo che Shepard poteva lavorare sulla tragedia e la commedia insieme, conciliare queste modalità come in pochi casi è stato possibile. Usare l’umorismo per trattare questioni che riguardano la guerra e i diritti umani non è facile: ricordo “Mash”, “Three Kings” e pochi altri casi”. “Se incontrassi davvero Karadzic – ha aggiunto l’attore - gli farei tante domande, ma soprattutto lo guarderei negli occhi. Dagli occhi dalle persone si capiscono tante cose. Ho visto che nelle persone c’è ancora molto timore verso Karadzic e Mladic. Ma è importante anche capire come questi cattivi possano diventare dei leader per la gente. Accade anche nel mio Paese: come è possibile eleggere due volte George Bush?”.

E come nel finale l’ex leader serbo bosniaco viene lasciato andare, come se fossero le sue vittime e i suoi sostenitori a doverlo giudicare, Gere non pensa a una pena per lui. “Punizione e vendetta non hanno spazio nella mia mente – commenta il protagonista - una punizione di per sé non serve a nulla. Quel che è utile capire perché la gente si comporti così. Perché questi criminali e questi mostri escono dal nostro subconscio, solo per questo lasciamo che diventino i nostri leader. Se non lo capiamo le cose si ripeteranno”.

L’attore ha anche commentato l’impegno di tante altre star hollywoodiane (Clooney, Jolie, Damon, Di Caprio e molti altri) per cause umanitarie e ambientaliste. “Non è una moda – ha detto Gere – le persone della comunità creativa sono fra le più istruite e impegnate che si possano immaginare. E da sempre attori e registi si impegnano in cause umanitarie e politiche. Quello che accade ora con gli attori che si occupano di Iraq o Darfour o altre questioni attuali sono in continuità con ciò che è stato fatto in passato. Penso agli anni ’70 ma anche prima, agli anni ’30 e ‘40”.
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