Cinema d’autunno
12.11.2008
scrive Nicola Falcinella
Una scena del film "Pokrajina st. 2" di V.Moderndorfer
Dall'imminente Festival di Torino ai festival estivi di Locarno e Venezia. Una rassegna delle pellicole balcaniche ed est europee, presentate nei principali film festival internazionali e presto nelle sale
Ci sarà un solo film del sudest Europa al 26° Torino Film Festival in programma dal 21 al 29 novembre. La manifestazione diretta da due anni da Nanni Moretti (e che tra le altre cose dedicherà una retrospettiva a Roman Polanski) ha selezionato per il concorso lo sloveno “Nikoli nisva sla v Benekte - We've Never Been To Venice” di Blaz Kutin, già passato al Festival di Sarajevo. Ignorato invece il bellissimo “Buick Rivera” del croato Goran Rusinovic dal romanzo di Milijenko Jergovic che pare non trovare estimatori nei festival italiani, forse perché non è abbastanza glamour o “sfigato” o stereotipato.
Torino chiuderà un’estate / autunno di festival italofoni con una presenza balcanica non molto numerosa, seppure interessante e spesso costituita da italiani che hanno raccontato l’est. Come “Risoluzione 819” di Giacomo Battiato sul massacro di Srebrenica vincitore a Roma o il bel “Pa-ra-da” di Marco Pontecorvo con Jalil Lespert, presentato a Venezia nella sezione Orizzonti e purtroppo poco considerato dal pubblico italiano. Vita ed esperienze di un personaggio emblematico come il clown di strada franco-algerino Miloud Oukili, che nel 1993, poco dopo la fine della dittatura di Ceausescu si avvicinò con la sua arte ai "bambini dei tombini" di Bucarest. E ai boskettari senza famiglia che vivevano per le strade propose la clownerie come via di fuga dalla solitudine e dalla povertà.
Al 61° Festival di Locarno è stato invece premiato un piccolo film italiano dal cuore grande. “Mar Nero”, opera prima del fiorentino Federico Bondi, ha ottenuto il Pardo di bronzo per Ilaria Occhini come migliore attrice e uscirà nelle nostre sale a gennaio. La Occhini interpreta un’anziana fiorentina sola che viene affidata dal figlio (Corso Salani) ad Angela (Dorotheea Petre), giovane badante romena. Quanto una parla e ordina fino a essere insopportabile, tanto l’altra è paziente e buona e taciturna. Ma la padrona di casa supera la diffidenza e in qualche modo si rivede nella giovane badante romena venuta per assisterla. Una storia positiva e a lieto fine che parte da una storia vera e afferma un fatto tanto ovvio che l’Italia non riesce a capire: gli elementi comuni tra le culture dei due Paesi sono molti a partire dalla lingua e, i questo caso davvero, le “comuni radici cristiane”.
Forse sarebbe stato più giusto premiare l’attrice fiorentina in coppia con la sua alter ego nel film, la Petre (vista in “Ryna” e “How I Spent The End Of The Word”), protagonista di pari valore in uno dei pochi lavori un po’ ottimisti della gara, tanto da essere segnalato dalla giuria ecumenica e ottenere diversi riconoscimenti secondari. La giuria – dove c’erano Paolo Sorrentino e Goran Paskaljevic (che ha da poco iniziato il nuovo film in Albania) – si è espressa all’unanimità prediligendo le opere prime come “Parque via” del messicano Enrico Rivera che ha vinto il Pardo d’oro.
Sempre a Locarno il documentario di Mario Balsamo “Sognavo le nuvole colorate”, incentrato su una storia di immigrazione e di amicizia. Al centro c’è il legame tra un regista teatrale leccese, Alessandro Santoro, e un giovane albanese Edison Duraj, che era arrivato in Italia senza genitori, a bordo di un gommone, in un “viaggio della speranza” quando aveva 9 anni. Il film parte dalla Puglia e poi supera l’Adriatico: la seconda parte (con l’Italia vista dagli albanesi) è molto più interessante della prima.
Alla Mostra di Venezia niente premi per il film turco in concorso, “Sut - Latte” di Semih Kaplanoglu, già autore lo scorso anno dell’apprezzato “Yumurta – Uovo”. Il secondo capitolo di un’annunciata trilogia non è all’altezza del primo. Nonostante le belle immagini e la critica alla Turchia contemporanea che emerge, anche se questo è chiaro solo allo spettatore attento e avvertito. Interessanti i due film balcanici inclusi nelle “Giornate degli autori”. “Pokrajina st. 2 – Landscape no. 2” opera seconda dello sloveno Vinko Moderndorfer (dal suo libro tradotto anche in Italia “Luogo numero 2. Storia di un assassinio” edizioni Mesogea) vorrebbe essere un thriller spionistico (che spesso arriva all’horror) con implicazioni politiche che riguardano la “guerra civile” in Jugoslavia tra partigiani e collaborazionisti dei nazi-fascisti. Ma se il meccanismo di genere funziona bene e tiene avvinti, fin quasi alla fine le ambizioni politiche non sono raggiunte e si fermano a una generica accusa ai componenti del vecchio regime di essersi fatti gli affari loro.
Due ladruncoli entrano nella casa di un anziano generale per rubare il quadro del titolo (che raffigura il bosco dove c’è stata una fucilazione e i cadaveri buttati in una buca del terreno, una “foiba”) e si trovano in mano anche un documento scottante che prova le accuse ai partigiani. Il derubato incarica un agente misterioso di indagare e risalire agli autori, poi muore d’infarto. Il killer, non si sa perché, prosegue l’inchiesta in proprio ed elimina ad una ad una tutte le persone vicine al responsabile: prima il complice, poi l’amico gay, la fidanzata (incinta) e l’amante (anch’ella gravida) con la quale Sergei è andato a trascorrere un week end in uno chalet nel bosco. Guarda caso vicino alla foiba dove tutto si conclude. Il film, che sarà distribuito in Italia, intrattiene più di un suo analogo americano ma dargli un peso storico è fuori luogo.
Originale e fresco, anche se la macchina a mano e il continuo passare dalla soggettiva di un personaggio a quella dell’altro può essere alla lunga stancante, “Pescuit sportiv – Hooked” debutto del romeno Adrian Sitaru. Il regista, già noto per i suoi cortometraggi, ha realizzato un film che si sviluppa sull’arco di una giornata e sembra svolgersi sul momento. Tre i personaggi: una coppia di amanti (lei è sposata e non si decide a lasciare il marito) e una prostituta che investono lungo la strada per essersi distratti in una discussione. La terza incomoda (l’ottima Maria Dinulescu che era già in “California Dreamin’ “) conduce per mano la situazione, in un continuo ribaltamento di prospettiva e costringe la coppia a conoscersi meglio.
Nella “Settimana della critica” veneziana c’erano due interessanti opere prime: il bosniaco “Čuvari noći - Guardiani di notte” di Namik Kabil e il turco “İki Çizgi - Due linee” di Selim Evci.
Il primo già conosciuto come autore di documentari e come sceneggiatore del film di Pjer Zalica “Kod amidže Idriza”, racconta di due guardiani notturni di un negozio di mobili a Sarajevo. Un film di poche parole, che si vive in uno stato di instabile sospensione, che mostra le periferie della capitale bosniaca e non descrive ma suggestiona. Un guardiano è ossessionato dalla dieta, l’altro che non ha ancora avuto figli ha dolori al ventre simili alle nausee da gravidanza e poi c’è il veterano di guerra che non riuscendo a dormire chiama la polizia e grida al megafono tutte le sue frustrazioni. Evitando il più possibile ogni spiegazione, Kabil riesce a rendere molto bene i sentimenti che si vivono a Sarajevo al di fuori dei paesaggi da cartolina e dell’esotismo di un antico spicchio d’Oriente nel cuore d’Europa.
Il debuttante turco mostra una coppia – lui fotografo, lei attrice – all’insegna dell’incomunicabilità e della mancanza di entusiasmo. Un viaggio in auto improvvisato sarà l’occasione per fare emergere i problemi. Le due linee del titolo sono naturalmente quelle dei due personaggi che vivono insieme e paralleli. Lo stile di Evci sembra rifarsi a quello del connazionale Nuri Bilge Ceylan pur non riuscendo a ragiungerne la raffinatezza formale né la puntuta cattiveria nel descrivere le angoscie e le paure degli individui. Come in Ceylan il protagonista è un fotografo, c’è la vacanza, il litigio in auto, la visita a un sito archeologico, la scenata di gelosia che implode, c’è l’ironia (con la scena dell’antifurto alla porta di casa).
Tornando a Locrno, da ricordare un premio, il Pardo di bronzo, per l’attore turco Tayanc Ayaydin interprete di “The Market di Ben Hopkins, forse a compensare il connazionale “Sonbahar -Autunno” di Ozcan Alper che ha avuto solo Premio Arte & Essai Cicae (Confederazione Internazionale dei Cinema d’Arte & d’Essai) e avrebbe meritato ben di più. Un road movie da Istanbul verso l’est, vicino al confine georgiano. Alper fa i conti con un trentacinquenne uscito di prigione per ragioni politiche che torna al villaggio natio e una prostituta georgiana lo deride: “hai passato dieci anni in carcere per il socialismo?” gli chiede senza capire.