Free zone festival
18.11.2009
Da Belgrado,
scrive Cecilia Ferrara
Un film festival dedicato ai diritti umani, con un pubblico molto giovane e numeroso. Ma Free Zone non tratta solo di cinema, è anche un grande progetto con varie attività che coinvolgono i ragazzi delle scuole in tutta la Serbia. Ce lo raccontano gli organizzatori
Sono cinque super eroi, che volutamente potrebbero essere chiunque di noi con una calzamaglia colorata e una mascherina nera alla Robin per nascondere l’identità, il simbolo del 5° film festival “Slobodna Zona/Free Zone” organizzato dal centro culturale Rex di Belgrado (la fondazione culturale di B92). Questi super eroi casalinghi guardano la mappa della città e dicono “eee Azione!” pronti per salvare il mondo. L’idea che sta dietro ai manifesti della 5° edizione del festival dedicato ai diritti umani è che, nel villaggio globale, le persone normali cambiano il mondo e sono i piccoli passi che danno il via ai grandi cambiamenti.
La quinta edizione del festival “Slobodna Zona/Free Zone”, zona libera, sì è tenuto dal 6 all’11 novembre a Belgrado tra le sale del Centro culturale di Belgrado e il cinema Balkan ed ha proposto 28 opere tra film di fiction e documentari più una tavola rotonda dedicata alla giornata mondiale contro il fascismo del 9 novembre, nonché anniversario dei vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino.
“Slobodna Zona” sta crescendo velocemente e sta diventando un appuntamento importante nel cartellone di Belgrado, il film festival più conosciuto dopo il Fest e il “Festival dei corti dei documentari di Belgrado”. “In 4 anni siamo passati da 3.500 spettatori della prima edizione agli 8.800 dell’anno scorso, un incremento del 150% – dice Bojana Ćućilović coordinatrice del progetto – Free Zone ha un pubblico molto numeroso per essere così giovane, quest’anno contiamo di arrivare a 10 mila spettatori”.
Nel circuito dei festival per i diritti umani quali quello di Praga, Toronto, Bologna e Ginevra, per nominare quelli più conosciuti, “Slobodna Zona” non è solo un festival, ma un progetto che prevede attività durante tutto l’arco dell’anno con tour in altre città della Serbia e lavori con i ragazzi delle scuole. “Slobodna Zona è stato pensato negli anni dopo il 2000 – spiega Bojana Ćućilović - dopo i cosiddetti cambiamenti democratici. Per 12 anni eravamo stati sotto sanzioni ed isolati completamente, il 90% della popolazione non poteva andare fuori dal paese, decidemmo quindi che era il caso di portare il mondo qui. L’idea era in particolare di mostrare, attraverso film e documentari, che i problemi che abbiamo in Serbia non sono tanto peggio di quelli che hanno altri paesi”.
L’unico premio del festival è il voto del pubblico, non si vince niente se non un passaggio televisivo su RTS e B92, con l’idea di far vedere ad un pubblico più numeroso possibile i documentari dedicati ai diritti umani. Quest’anno è stato “The Cove” di Louie Psihoyos il film che ha ricevuto i voti più alti, un documentario che riprende l’azione di un gruppo di attivisti e tecnici per le riprese nel tentativo di scoprire cosa si nasconde dietro la laguna dove si addestrano i delfini per l’intrattenimento degli umani. L’azione è guidata dall’ex addestratore pentito Tim O’Barry che preparava i protagonisti del serial “Flipper” e il fotografo naturalista Psihoyos.
“I nostri principi per la selezione delle pellicole sono incentrati sulla qualità – dice Rajko Petrović uno dei due selettori di Free Zone – se i film non sono buoni, la prima volta le persone vengono forse anche la seconda, ma poi non vengono più e allora l’obbiettivo della sensibilizzazione viene mancato”. Il pubblico prima di tutto quindi, che viene consultato alla fine di ogni proiezione per votare il film e che a sua volta può partecipare ad un concorso per la migliore recensione (si vince un computer portatile).
“Assieme a Branka Pavlović abbiamo visto più di 100 titoli, quello che ci interessava era avere la più ampia varietà di film possibili, da tutto il mondo, così si va dall’inglese Somer’s town di Shame Meadows che era un corto e poi si è sviluppato in un lungometraggio, allo splendido “Disgrace” di Steve Jacobs dal famoso romanzo di Coetzee con John Malcovich che racconta del Sud Africa, fino alla storia di un villaggio in Libano distrutto dalla guerra dell’82, dove oggi è tornato – e vive – un uomo solo – “The one man village” di Simon El Habre”. Non viene trascurata la produzione dedicata alla regione come “Mostar United” dell’italiana Claudia Tosi incentrato su un allenatore del Velež, storica squadra di Mostar città ancora oggi profondamente divisa tra cattolici e musulmani o tra croati e bosgnacchi, o “Storm” di Hans Christian Schmidt un docu-fiction di produzione tedesca, olandese e danese su alcuni casi seguiti dal Tribunale Internazionale per i Crimini in Ex Jugoslavia.
Presenti anche due pellicole di un autore croato, Goran Dević, “Sretna Zemljia (terra felice) che mostra i vincitori e gli sconfitti della Seconda guerra mondiale in due viaggi in autobus attraverso la Croazia, e “Tri” (tre) confessionale senza filtro di tre uomini attivamente coinvolti nelle guerre degli anni Novanta.
Ma qual è il polso della produzione nei paesi dell’Ex Jugoslavia oggi? “Sta tornando ad essere vitale e di qualità – dice Rajko Petrović – è interessante che proprio quest’anno usciranno due film uno in Croazia e uno in Serbia sull’ultima guerra con un registro molto più evocativo ed elaborato rispetto alle cose viste finora, si tratta di “Ordinary People” di Vladimir Perisić girato in Serbia da attori non professionisti, ed il croato “People of Colours” di Goran Dević. In entrambi si parla di crimini di guerra e questioni ‘sensibili’ rispetto all’ultimo conflitto ed in qualche modo sono simili”.
Oltre al Festival Slobodna Zona prevede proiezioni mensili al centro culturale Rex di Belgrado e una tournée in 15 città della Serbia. Il ricavato dei biglietti è destinato a diversi progetti di beneficenza, da fondi per una “casa sicura” per donne vittime di violenza all’acquisto di mammografi per i centri sanitari.
Durante l’anno invece il lavoro è con i ragazzi delle scuole medie superiori. “Si chiama Free Zone Junior – dice la curatrice Bojana Ćućilović – e comprende due settori, uno per l’educazione civica che prevede una compilation di film con un manuale per la lettura dei lavori cinematografici che vengono offerti agli insegnanti. Dall’altra parte abbiamo istituito Free Zone Campus, una scuola di documentaristica che si tiene ogni due anni per ragazzi dai 14 ai 18 anni; dopo sei mesi di corso, viene chiesto agli studenti di scrivere il soggetto di un documentario. I migliori parteciperanno al Pichting forum in cui gli studenti avranno 5 minuti per convincere la giuria a produrre il proprio documentario. Il primo e forse i primi tre saranno effettivamente prodotti e presentati al prossimo Free Zone”.
I temi scelti dai ragazzi? “Diversificati e interessanti, dalla violenza nella società all’Olocausto nella città di Sombor. Noi non diamo nessun tema, il principio del lavoro sul soggetto è che se loro stessi non sono interessati non possono fare un documentario”.