Epopea partigiana
23.11.2007
scrive Andrea Rossini
Giacomo Scotti (foto L. Zanoni)
Dalla memoria della Jugoslavia socialista alla memoria delle guerre degli anni '90: intervista allo storico, poeta e scrittore fiumano d'adozione Giacomo Scotti
Come veniva ricordata la seconda guerra mondiale nel periodo della Jugoslavia socialista?
Lo slogan e la politica del dopoguerra erano quelli del “Bratsvo i Jedinstvo”, Fratellanza e Unità. E' su questa linea che Tito ha cercato un modo per uscire dagli orrori di una guerra che non era stata solo di liberazione ma anche guerra civile, oltre che naturalmente una battaglia di ideali.
Se ad esempio facciamo il confronto con le guerre che sono venute dopo lo sgretolamento della Jugoslavia, fra croati e serbi oppure in Bosnia tra serbi da una parte e croati e musulmani dall'altra, ma anche di croati contro musulmani, vediamo che nessuna di quelle parti, né i croati di Tudjman né i musulmani di Izetbegovic o i serbi di Mladic avevano degli ideali. I partigiani hanno combattuto per un ideale. È stata una guerra che dava la prospettiva di una società migliore e più giusta per tutti. Ma quali ideali hanno avuto Mladic, Tudjman e gli altri? Soltanto quello di ammazzare, di fare pulizia etnica, di cacciare il nemico che poi era il fratello che parlava la stessa lingua ma aveva una religione diversa.
Il fatto che nel periodo socialista la seconda guerra mondiale non venisse ricordata anche come guerra interetnica può aver contribuito alle guerre degli anni novanta? E' valida la teoria secondo cui sono rimaste delle pagine bianche, non scritte, che hanno potuto essere riempite in fretta dai nazionalisti?
Senz'altro sono rimaste delle pagine vuote, si cercava anche di idealizzare la storia... Per forza, se si cominciava a parlare di quello che avevano fatto gli ustascia si veniva a criminalizzare un intero popolo, il popolo croato; se si parlava troppo delle stragi fatte dai cetnici si metteva sul banco d'accusa e si criminalizzava il popolo serbo, e così via. Si è cercato di attutire queste cose affinché almeno le giovani generazioni non crescessero in questo odio.
Però c'è un altro fatto, emerso dopo la morte di Tito, che ha portato allo sfacelo e alla guerra. In Croazia, Tudjman ha fatto rientrare in patria più di mille ustascia, e tra loro c'erano alcuni tra i più incalliti criminali che si erano macchiati di sangue. Ha fatto ambasciatore della Croazia in Argentina uno che era ricercato come criminale di guerra dalle Nazioni Unite. Per non parlare di Gotovina, che era ufficiale della Legione Straniera. Questi credevano di poter di nuovo creare uno Stato basato sul nazionalismo più sfrenato.
Dopo la morte di Tito sono tornati di nuovo i fantasmi del passato, l'emigrazione ustascia e cetnica dall'Argentina e dall'Australia, approfittando di un clima di democrazia che si era già instaurato negli ultimi anni di vita di Tito e in quei dieci anni dopo la sua morte, dal maggio '81 all'aprile del '91. Sono stati dieci anni di guerra mass-mediologica che hanno creato il terreno per queste nuove guerre.
Uno degli elementi di questa battaglia mass-mediologica è stato quello della memoria di Jasenovac: c'è stata una forte polemica sulle cifre delle vittime del famigerato campo di sterminio ustascia, e questo è stato uno dei terreni di scontro tra le forze nazionaliste...
Nella storiografia ufficiale jugoslava, che si studiava nelle scuole, si parlava di 700-800 mila vittime a Jasenovac, che era il simbolo di tutto il complesso concentrazionario della seconda guerra mondiale. Jasenovac era il fulcro di tutto questo, ma c'erano anche Stara Gradiska, Pago, una trentina di campi...
Il primo a lanciare una cifra al ribasso era stato proprio Tudjman. Dopo che Tito lo aveva messo a riposo cacciandolo dall'esercito, lui era generale, gli aveva dato il posto di direttore dell'Istituto storico di Zagabria, così che per una decina di anni Tudjman ha fatto lo storico pubblicando varie cose. Tra le prime cose che ha pubblicato c'era uno scritto secondo cui a Jasenovac non ci sarebbero stati più di 40 mila morti. A parte il fatto che fossero anche stati 40 mila era già una cifra enorme, era comunque una corsa al ribasso. Oggi gli studiosi più seri parlano di 80-90 mila vittime di Jasenovac. Il fatto è questo, che a Jasenovac si mandavano le persone proprio per eliminarle fisicamente. Mentre i nazisti nei campi di sterminio utilizzavano le camere a gas, qua a Jasenovac camere a gas non ce n'erano. Solo nel febbraio-marzo del '45, quando ormai tutto già stava crollando, fu chiamato un ingegnere italiano, un friulano, per costruirne una. Che poi non fu realizzata. E il modo di ammazzare la gente, e ne ammazzavano a centinaia ogni giorno, era il più brutale. Venivano uccisi con le mazze di ferro, squarciati, scannati con i pugnali, le cose più barbare. Questo è stato il regime fascista. E bisogna ricordare che le stragi si ripetevano, non c'era soltanto Jasenovac. Le stragi sono state dappertutto.
Il cosiddetto Stato Indipendente di Croazia, cioé lo Stato ustascia, creato tra l'altro da Mussolini, non dimentichiamolo, comprendeva tutta la Bosnia Erzegovina. È vero che Pavelic aveva dovuto cedere con gli accordi di Roma del maggio '41 gran parte dei territori del Gorski Kotor alla provincia di Fiume, gran parte della Dalmazia era stata ceduta all'Italia per creare le nuove provincie di Zara, di Spalato, delle Bocche di Kotor. Ma lui è stato poi premiato e gli è stata data l'intera Bosnia Erzegovina, quindi fino a Foca era Stato ustascia. E in questo territorio immenso gli eccidi sono stati giornalieri. E con queste stragi si arriva sì a 800 mila vittime degli ustascia. Se noi consideriamo simbolicamente tutte queste vittime come un grande Jasenovac, ci arriviamo. Quindi non sarebbero vere né le 40 mila vittime menzionate da Tujdman, né le 80 mila, anche se credo che questa cifra per quanto riguarda soltanto il campo di Jasenovac si avvicini alla verità.
Purtroppo c'è stato anche un periodo in cui il direttore di quel campo era un frate francescano, lo chiamavano fra Diavolo: fra Majstorovic, un croato della Erzegovina...
Qual è stato il ruolo della Chiesa cattolica nel periodo del cosiddetto Stato Indipendente di Croazia?
Adesso hanno beatificato Stepinac, l'allora primate della Chiesa cattolica croata e arcivescovo di Zagabria. Ma io non credo che lui non fosse al corrente delle stragi che si compivano ogni giorno a cominciare dall'aprile del 1941. Non credo che non fosse a conoscenza del fatto che centinaia di frati francescani, di semplici sacerdoti, erano diventati leader ustascia. La Chiesa cattolica in Croazia ha scritto pagine nere, e Stepinac era il capo di questa Chiesa.
Ma da un punto di vista storico è corretto sostenere che lui fosse direttamente coinvolto in Jasenovac?
Ha taciuto e comunque non si è ribellato a quei massacri, e fino alla fine del '45 non ha fatto che osannare in tutte le sue missive, in tutti i suoi discorsi, il regime di Pavelic. Non dico che abbiano fatto bene a condannarlo, dopo la fine della guerra. Ma non si può fare santo una persona che... Si è comportato da fascista insomma, ecco tutto.
Un Memoriale a pochi chilometri da Jasenovac che rappresenta un altro tassello importante della memoria della Seconda Guerra Mondiale in Jugoslavia è quello di Mrakovica, sul Kozara, presso Prijedor. Qual è stata la storia del Kozara?
Il monte Kozara non è una grande montagna, da Prijedor si può raggiungere senza inerpicarsi troppo, è un vasto altipiano, che era diventato sede di una piccola repubblica partigiana. L'esercito croato ustascia lo aveva circondato insieme ai tedeschi, conducendo un'operazione a vasto raggio per eliminare questa sacca [di resistenza]. Dalle cittadine come Prijedor e altre alle pendici del Kozara tutta la popolazione, in gran parte musulmana, si era rifugiata sulla montagna. Man mano poi il cerchio si strinse, i partigiani combatterono strenuamente per giorni e settimane poi non ce la fecero più e sacrificando brigate andarono all'assalto del cerchio sfondando in un punto. Attraverso questa breccia alcune migliaia di partigiani insieme con una piccola parte di civili riuscirono a mettersi in salvo. Naturalmente ci furono enormi perdite.
Dopo questo, gli ustascia raccolsero tutta la popolazione civile che avevano trovato su questo altopiano, che non era riuscita a seguire i partigiani e a mettersi in salvo, per lo più vecchi, donne e bambini, e li portarono via. I bambini li affidarono a istituti religiosi, ma anche a civili, li fecero battezzare alla religione cattolica e gli altri li misero nel campo di Jasenovac e in altri, a Stara Gradiska c'era ad esempio gran parte delle donne. In questo senso sono collegati Jasenovac e Kozara perché appunto gran parte della popolazione civile caduta in mano agli ustascia e ai tedeschi finì a Jasenovac.
Un'altra battaglia che ha assunto grande importanza nella memoria della Jugoslavia socialista è quella della Sutjeska. Uno dei più importanti film della cinematografia jugoslava è dedicato a questo episodio, così come un'imponente area monumentale frequentata da migliaia di studenti jugoslavi. Qual è stato il significato di quella battaglia?
Insieme all'aspetto militare e strategico, straordinario, c'era l'aspetto morale, il grande eroismo di questi uomini. Quella [della Sutjeska] è stata definita la battaglia per i feriti e quindi rappresentava un grande valore morale che era giusto far conoscere alle nuove generazioni. Tito si portava dietro circa 4.000 feriti e ammalati di tifo. Sarebbe stato facile abbandonarli nei villaggi e liberare le truppe combattenti in modo che potessero avanzare con più rapidità. Invece una delle cose positive della guerra partigiana era stato proprio questo, di non lasciare mai un ferito, mai un ammalato, mai un compagno in difficoltà, ma di portarselo appresso. Sono riusciti a salvarne una parte, mentre chi è caduto in mano ai tedeschi è stato massacrato, ma questo si è saputo dopo. Ecco perché nelle scuole si parlava molto di questo episodio della guerra e si portavano i ragazzi in questi canyon a visitare i luoghi della battaglia.
Come è cambiata la memoria della guerra partigiana in Croazia negli ultimi anni, dopo la proclamazione dell'indipendenza?
Oggi è difficile per le nuove generazioni conoscere cosa è stata la guerra partigiana. In Croazia, non so se è successo anche nelle altre repubbliche, sono stati abbattuti, distrutti dai cosiddetti patrioti croati, neo-ustascia, io li chiamo neo-fascisti, più di tremila monumenti e lapidi partigiane. 50 mila strade hanno cambiato nome, e da quasi tutte le strade sono stati tolti i nomi degli eroi partigiani e gli hanno dato i nomi dei peggiori nazionalisti. Però posso dire che la situazione è cambiata rispetto ad esempio a dieci anni fa, quando c'erano i raduni di questi cosiddetti eroi della guerra patriottica [la guerra '91-'95, ndr], in cui arrivavano 100, 150 mila persone con labari perfino con croci uncinate, con gagliardetti neri e saluti romani e mettevano il terrore nella gente. Grazie ai quattro anni del governo Racan dopo la morte di Tudjman, tra il 2000 e il 2004, e al lavoro dei successori di Tudjman, in particolare Sanader, che hanno ripulito le fila del partito dagli estremisti neri creando un partito più europeo, democristiano, in qualche maniera rispettabile per poter entrare nell'Unione Europea, il clima è cambiato.
C'è poi un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti: qui in Croazia, ma anche in Bosnia, in Serbia e soprattutto in Slovenia, si sono create decine di associazioni dedicate a Josip Broz Tito. Nella sola città di Fiume non c'è una associazione che possa contare così tanti membri: 3.500 soci. Ogni 25 maggio, in occasione del compleanno di Tito, dalla Slovenia, dalla Serbia, dalla Bosnia, ci sono migliaia di persone che vanno a Kumrovac, la cittadina natale di Tito. C'è un risveglio della cosiddetta Tito nostalgija, la nostalgia di Tito. Non solo perché adesso si pagano i medici, le medicine, si paga tutto, anche i libri della scuola, mentre prima non si pagava niente: c'era una politica sociale per cui i ragazzi all'università ricevevano addirittura una paghetta. Adesso chi li può mandare? Se non sono figli di benestanti non vanno all'università. Ma non è soltanto per questo. La gente vuole di nuovo conoscere questa storia che da oltre 15 anni non viene loro raccontata. E vanno a studiarsela o ad ascoltarla dai loro padri o dai loro nonni.
Oggi come potrebbe essere ricordato il decennio di guerre degli anni '90?
Qui a Fiume, quando collaboravo con associazioni italiane che portavano aiuti a profughi e sfollati, ho conosciuto una giovane donna serba, sopravvissuta alla campagna “Oluja” (Tempesta). Mi ha detto: “Io sono salva perché un soldato croato, un istriano, mi ha salvata, mandando via gli altri del suo reparto. Aveva detto che se la sarebbe vista lui con me, e loro hanno capito che mi avrebbe ammazzato o che mi avrebbe stuprata e dopo una sghignazzata sono andati via”. Invece questo soldato l'ha coperta con qualche vestito, l'ha fatta rivestire e poi ha fatto una telefonata a Fiume dove questa aveva una zia, l'ha aiutata ad arrivare in città, prima all'ospedale dove l'hanno curata e poi a casa.
Ecco, io farei un monumento ai soldati che hanno fatto queste cose. Ho raccolto molti racconti come questo. C'era ad esempio una brigata istriana, sempre in Krajina, che era stata impegnata a fare il rastrellamento di un bosco per vedere se c'era ancora qualche serbo disperso. A mezzogiorno, arrivato il rancio, i soldati si sono messi a mangiare e a cantare. Da buoni istriani, sia che siano croati che italiani, quando si mettono a cantare cantano canzoni popolari italiane, nel dialetto istro-veneto, tipo “La mula de Parenso” o altre.
Nel bel mezzo della canzone sono sbucati dal bosco una ventina di soldati serbi con le mani alzate per arrendersi. Li hanno presi e poi gli hanno chiesto: “Ma perché vi siete arresi?” E quelli: ”Abbiamo sentito cantare in una lingua che non era croato e abbiamo pensato che fossero forze ONU”. Questi, mi ha raccontato uno di questi soldati di cui non faccio il nome, quando li hanno consegnati ai superiori croati con la lista di nomi e cognomi sono stati gli unici serbi che non sono stati sterminati, perché non si facevano prigionieri. Le altre brigate li ammazzavano anche quando si arrendevano. Vedi, io farei il monumento anche a questo gruppo di soldati istriani che ha salvato queste venti persone. Sono stati questi per me gli eroi della guerra.