Il Memoriale di Kozara (foto A. Rossini)
Una conversazione con Dusan Dzamonja, scultore, tra i maggiori esponenti della scena artistica croata. L'autore del Memoriale dedicato all'epopea partigiana del Kozara ricorda genesi e realizzazione dell'opera, e l'impegno per ricordare le vittime delle guerre recenti
Nato nel 1928 a Strumica, in Macedonia, da famiglia di origini erzegovesi, Dusan Dzamonja si diploma nel primo dopoguerra presso l'accademia di Belle Arti di Zagabria. Otterrà da subito numerosi riconoscimenti internazionali e alla fine degli anni sessanta vince il concorso per la realizzazione del monumento di Mrakovica, presso il Parco del Kozara in Bosnia Erzegovina. Oggi vive tra il Belgio e la Croazia. Di recente ha realizzato a Zagabria un monumento a memoria delle vittime della guerra degli anni novanta.
Questa è la seconda parte dell'intervista da noi realizzata a Vrsar, in Croazia, il 20 giugno scorso (vai alla prima parte)
Quando venne decisa la costruzione del monumento in ricordo dei fatti del Kozara?
Dusan Dzamonja
La campagna per la costruzione del monumento iniziò in Bosnia Erzegovina. Ogni repubblica della Jugoslavia aveva la libertà di decidere se, quando e come costruire i propri monumenti. L’iniziativa in questo caso venne avviata dall'Unione dei combattenti della Bosnia Erzegovina, negli anni subito dopo la liberazione. Ci volle molto tempo, perché si dovevano raccogliere i fondi e in seguito bandire il concorso pubblico. Organizzarono dunque il concorso e alla fine degli anni sessanta, quando esso venne chiuso e il progetto affidato a me, tutti parteciparono finanziariamente, compreso il governo di Belgrado.
E' solo per questo che si aspettò così tanto per costruire questo monumento?
In realtà passò anche più tempo per la costruzione del complesso monumentale in memoria dei caduti dello “Srijemski front”! Il monumento a Kozara venne realizzato all'inizio degli anni settanta, e nel 1974 quello per lo “Srijemski front”, nelle vicinanze di Sid, in Serbia. Si trattava di monumenti complessi che richiedevano grandi sforzi, non solo economici.
Qual è l'idea progettuale che sta alla base del monumento?
L'aspetto simbolico era molto importante, l'opera doveva ricordare un evento epico e allo stesso tempo doloroso. Decisi di realizzare una torre divisa in 4 sezioni nelle quali si contrapponessero con andamento ritmico il negativo e il positivo. La simbologia era rappresentata dall'antagonismo tra vita e morte e, in questo caso, tra vita ed eroismo. Per potenziare la sostanza del simbolo ho costruito poi una struttura verticale di cemento armato e lamelle di acciaio i cui riflessi al sole rappresentavano la luce, la vittoria della vita contro la morte.
L’idea era molto semplice: blocchi di cemento accerchiano la torre, per simboleggiare l'assedio nazista, mentre l'unità – quindi la torre – si erge verso l’alto, ribellandosi all'aggressione. Il monumento doveva conservare la memoria di un’epopea fondamentale, quella del Kozara. In Jugoslavia, si diceva, ci sono quelli che vanno a Roma, quelli che vanno alla Mecca e quelli che vanno sul Kozara! Quasi un milione di persone andava in visita ogni anno al Memoriale. In dieci anni, dieci milioni di visitatori. E questo in un luogo molto isolato, dove non si poteva capitare per caso... Questo dimostrava che non era vero che i monumenti dovessero essere per forza costruiti nelle città. Io ero contrario a quest'idea, lo dissi anche a Tito in un incontro avuto con lui a Zagabria.
Tito si interessò direttamente alla costruzione del Memoriale?
Tito inaugurò due miei monumenti. Il protocollo non prevedeva la partecipazione del Presidente alle inaugurazioni ma le condizioni erano tali che si sentì spinto a farlo. Fu una vera sorpresa. Venne all'inaugurazione del monumento dedicato alla rivoluzione di Podgaric [ndr: in Croazia, 1967] e al Kozara. Per me è stato un grande riconoscimento... Tito non amava l'arte astratta, ma quando arrivò al monumento per la rivoluzione, a Podgaric, disse: “Dzamonja, io non amo l'arte astratta ma questa sua opera parla molto bene della nostra rivoluzione!”
Quali sono i motivi che la orientarono nella scelta dei materiali?
Utilizzai il cemento perché lo consideravo una materia moderna che poteva esprimere anche più del marmo e del granito, adatto a realizzare opere di queste dimensioni e allo stesso tempo più integrabile nell'ambiente in cui si inseriva il monumento. Inoltre il cemento costava molto meno della pietra e del granito e questo aspetto ai tempi era non di poco conto, visto che uscivamo da una dura guerra che ci aveva impoveriti. L'importante era sapere come lavorarlo e renderlo vivo.
Quanto è durata la realizzazione del monumento principale?
E' durata un anno la sola costruzione dell'impalcatura, che è stata realizzata in Svezia in maniera perfetta utilizzando una struttura che possiamo definire “mobile”. Avevo la necessità che nel momento in cui si fosse cominciata la colata di cemento, essa proseguisse senza soluzione di continuità, 24 ore su 24. Non si doveva fermare, altrimenti si sarebbero create delle fratture. La colata è stata fatta in 20 giorni, un metro e mezzo al giorno per 24 ore.
Lei si è occupato del tema della memoria in molte sue opere, sia relativamente alla Seconda Guerra Mondiale che alle guerre degli anni novanta in ex-Jugoslavia...
Sì, è stato un tema a me sempre caro. Di recente, sempre tramite concorso, ho vinto il premio per la realizzazione di un Memoriale dedicato agli internati, agli scomparsi e ai civili croati morti nell'ultima guerra degli anni novanta. Lo considero uno dei miei monumenti più belli: ho potuto utilizzare un materiale prezioso, granito nero. Sulle pareti di tutta l'opera, che si trova in un'area verde nei pressi del cimitero Mirogoj a Zagabria, sono incisi i nomi di circa diecimila persone. E' stato inaugurato ufficialmente l'anno scorso, sebbene ci siano stati tanti problemi.
Di che tipo?
La Chiesa era contraria al fatto che fossi io a realizzarlo. Per il fatto che in passato avevo progettato importanti monumenti in memoria di partigiani, comunisti. In qualche maniera ero considerato uno, come dire, della “cricca” di Bogdanovic. Hanno fatto fatica a capire che per me la vittima è vittima, una persona torturata o ammazzata, a prescindere da qualsiasi appartenenza politica, religiosa o nazionale, per me non c'è differenza.
Alla luce di quello che è successo negli anni novanta, a cosa sono serviti i Memoriali dedicati alla Seconda Guerra Mondiale?
E' una questione molto complessa. Un monumento deve avere uno scopo, ed è per questo che personalmente amo il Memoriale: deve servire affinché non si dimentichi e quanto raccontato non accada più. La domanda è se un monumento riesca ad agire sui singoli... Non lo credo. Sull'essere umano influiscono molte circostanze, mi domando ad esempio come reagirei io stesso se davanti ai miei occhi qualcuno uccidesse i miei figli: sono una persona che non uccide nemmeno le formiche ma in un caso come quello non so sinceramente se riuscirei a non reagire...
Negli anni successivi all'inaugurazione milioni di persone si sono recate in visita al Kozara. E oggi?
Oggi la gente non ci va. Per i croati il monumento si trova in un altro paese, e i nazionalisti lo hanno sempre considerato un monumento “serbo”. Ho addirittura ricevuto delle lettere di minaccia, ad esempio dai croati della diaspora. Mi si tacciava di essere un traditore perché costruivo monumenti in memoria dei serbi. Mi rendo conto che possa sembrare primitivo, ma è successo proprio così.
A Kozara però oggi c'è un museo che parla di ciò che è accaduto in quel luogo per lo più come di un evento che riguarda il solo popolo serbo...
E' vero che c'erano più combattenti serbi, ma c'erano anche croati, e tanti altri. So che oggi l'hanno trasformato in una sorta di “tempio nazionale” ma non è la verità, non è assolutamente la verità. Credo basti dire questo.
Durante le guerre recenti, lei ha avuto dei problemi legati ai suoi monumenti?
Beh sì, ma devo sottolineare che anche prima dell'ultima guerra c'erano persone contrarie ai miei monumenti. Io ero di sinistra e ho sempre espresso delle emozioni molto sincere in base a questo mio sentire. Ma nei casi di Memoriali per le vittime, vittime del fascismo, del comunismo o di altri, per me si è sempre trattato di vittime e basta. Andavano dunque ricordate con pietà e su questo sono sempre stato molto chiaro.
Lei realizzò un'opera che rimase presso il museo di Jasenovac per più di 30 anni...
Sì, è un'opera realizzata con tronchi di legno, disposti orizzontalmente e intrecciati su di un piano, tipo una tappezzeria, di catene di ferro. I tronchi di legno sembrano ossa umane e quindi l'insieme risulta molto drammatico. La realizzai 30 anni fa, nel 1977. Rimase al museo fino a quando, con la recente ristrutturazione, venne spostata e trasferita a Zagabria!
Perché?
E' accaduto l'anno scorso. Dissero che non si iscriveva più nella nuova concezione del museo, mentre secondo me volevano semplicemente eliminare l'opera. Ho protestato ufficialmente e l'opinione pubblica, in seguito anche il Ministero, mi ha sostenuto. E così è stata riportata al museo di Jasenovac, perché quello è il suo posto. Devo dire che mi era già successo di vedere miei monumenti scomparire. Come quello di Slavonski Brod, un monumento piccolo, alto solo due metri, anch'esso dedicato alla memoria dei combattenti caduti durante la liberazione.
E' successo anche altrove?
Sono molti i monumenti, soprattutto dedicati alla lotta partigiana, che in Croazia sono andati distrutti. Tra questi ve ne erano di molto importanti e molto belli, alcuni sono stati persino minati. Probabilmente avrebbero minato anche i miei, ma avendoli realizzati in cemento ho reso le cose più difficili... Forse ho anticipato i tempi, o sono stato più intelligente di loro [ride]...