Turchia-Iraq: tra paradossi e mobilitazioni
02.11.2007
Da Istanbul,
scrive Fabio Salomoni
Lo scontro tra militanti del PKK ed esercito turco è ormai sfociato in una grave crisi che investe tutto il paese. Tra le numerose mobilitazioni bellicose della popolazione emerge anche una corrente critica che individua le contraddizioni di questa crisi. Il partito curdo DTP propone una soluzione
Otto volti che osservano sbigottiti la macchina fotografica. E’ l’immagine dei soldati catturati dal PKK in seguito agli scontri della notte del 20 ottobre scorso, che l’opinione pubblica turca ha potuto vedere solo fugacemente. Ancora diverse ore dopo la cattura, gli organi di informazione si limitavano a riportare la versione delle autorità “non è possibile stabilire contatti con otto elementi del nostro personale”. Contemporaneamente le immagini dei giovani soldati di leva disarmati e attorniati dai militanti del PKK si susseguivano nei siti internet e nelle televisioni curde.
Riconosciuta la cattura, le notizie relative ai soldati sono finite relegate nelle pagine interne dei giornali. Il primo ministro Erdoğan pochi giorni fa ha risposto infastidito alla domanda di un giornalista: “Quando avremo notizie ve le comunicheremo”.
La giornalista Nadire Mater sulle pagine di Birgün si chiedeva: “Ma per noi i nostri soldati non erano sacri? Ma quante interviste con i familiari dei soldati catturati abbiamo potuto leggere?”. Poche.
Bahattin Şabanoglu è il padre di uno dei soldati. Ha dovuto sintonizzarsi sulle frequenze della televisione curda ROJ TV per avere notizie del figlio. La televisione, che trasmette dalla Danimarca, è definita dalla Turchia “televisione separatista”. In passato la sua mancata chiusura da parte delle autorità danesi è stata all’origine di una crisi diplomatica tra Ankara e Copenaghen. Il signor Şabanoglu, riferisce il quotidiano “Zaman”, ha addirittura parlato in diretta TV con il figlio, prima di sentirsi male ed essere ricoverato all’ospedale.
Mazlum Yüce, curdo di Mardin, città al confine siriano, è il fratello di Ramazan, un’altro dei militari prigionieri: “Lo stato non ci ha comunicato nulla, lo abbiamo saputo da ROJ TV”. La madre di Fatih Atakul, Fatma, si spinge oltre: “Il servizio militare non è un gioco. Si mandano in montagna soldati dopo 45 giorni di addestramento?”. Paradossi, dolori ed interrogativi che riflettono l’immagine di una realtà piena di contraddizioni.
Ma in queste ore la Turchia è alla ricerche di certezze. La mobilitazione bellicosa che soffia in tutto il paese non ammette né dubbi né complicazioni. “I martiri non muoiono, la patria non si divide”, “Maledetto PKK, maledetti USA”, “Siamo tutti soldati, bastiamo per gli USA”. E’ ormai impossibile tenere il conto delle manifestazioni che da giorni si susseguono a ritmo serrato. Decine, centinaia di migliaia di persone che sfilano un po’ dappertutto, in particolare nella parte centro-occidentale del paese.
Ovunque lo stesso scenario di bandiere a perdita d’occhio. Ovunque gli stessi slogan. Mobilitati anche gli studenti, spesso anche quelli delle scuole dell’obbligo. A volte abbigliati con divisa mimetica e mitra giocattolo oppure intenti a fare il segno della testa di lupo, il simbolo dei nazionalisti. Immagini che hanno provocato le proteste del sindacato di sinistra Eğitim Sen.
Il ministro dell’Educazione è corso ai ripari diffondendo una circolare che invita a tenere gli studenti lontani dalle piazze. In diverse occasioni la folla è passata alle vie di fatto. Attaccate le sedi del DTP (partito curdo) e, in qualche caso, anche quelle del minuscolo Partito Comunista (TKP). E se poi nei paraggi, come è accaduto a Bursa, c’è anche la sede di un’associazione di transessuali, tanto peggio. Sempre a Bursa gruppi di manifestanti hanno saccheggiato una catena di supermercati di proprietà di una famiglia curda.
Il rischio è che la situazione possa sfuggire di mano. Se ne è accorto anche il governo che per bocca del suo portavoce Çicek ha inviato la popolazione “a tenersi lontano dalle provocazioni”.
Nell’alimentare il clima di isteria la parte del leone la giocano i mass media. Gran parte degli organi di informazione appare impegnata a vincere la gara nel guidare la marcia del paese verso la 25° operazione militare oltre frontiera, presentata senza alcun approccio critico, come la madre di tutte le battaglie in grado di risolvere una volta per tutte il problema del PKK.
Il bilancio degli scontri degli ultimi giorni viene fornito come se si trattasse di una gara sportiva. “30 terroristi uccisi a Şirnak”, “200 traditori circondati dall’esercito”, “Abbiamo dato quattro martiri”.
“Rambo-giornalismo” lo ha definito la Prof.ssa Aslı Tunç dell’università Bilgi, intervenuta ad un dibattito televisivo. “Le notizie sono usate come un’arma per produrre odio”.
Divise, stellette e cannoni impazzano ovunque. Sulle prime pagine di giornali. Nelle immagini che mostrano i preparativi, ormai ultimati comunica lo stato maggiore, degli oltre 100.000 soldati che “attendono con il dito sul grilletto” alla frontiera irachena. Nei servizi che trattano delle operazioni militari in corso in tutto il sud-est del paese. Ed anche in quelli che documentano i festeggiamenti per il 29 ottobre, la festa della repubblica.
“Abbiamo bisogno di analisi per capire i fatti e di parole di pace”, ha insistito la Prof.ssa Tunç nel programma che martedì sera la CNNTürk ha organizzato per discutere del decreto emanato dal governo con cui “si vietano trasmissioni radio televisive che possano minare la psicologia della popolazione e indebolire l’azione delle forze di sicurezza”. Una definizione tanto vaga da poter essere applicata indiscriminatamente alle più diverse situazioni. Dello stesso avviso è stato il Consiglio di Stato che, intervenuto dopo l’esposto presentato da un canale televisivo, ha rigettato il provvedimento.
Sul fronte politico interno, mentre gran parte dei partiti di opposizione soffia sui venti di guerra, una novità importante è arrivata dal Partito della Società Democratica (DTP). Nel documento reso noto al termine del congresso tenutosi a Diyarbakir è contenuta una proposta che tenta di riportare il dibattito dal piano militare a quello della politica.
Il partito propone una riforma politico-amministrativa fondata sul concetto di “autonomia amministrativa”, di decentramento e di assemblee regionali. Il documento contiene anche un riferimento a “Öcalan leader del popolo curdo”. Un elemento che mostra come la dirigenza storica del partito continui ad essere all’ombra del PKK. Accusato spesso in passato di inconsistenza sul piano della proposta politica, il DTP con questo documento offre un’occasione intorno alla quale è possibile organizzare il dibattito. In più, riferimenti alla decentralizzazione si possono ritrovare anche nel passato programma dell’AKP ed anche nei suggerimenti proposti dall’Unione Europea.
Sul piano internazionale la situazione appare congelata in attesa dell’incontro del 5 novembre prossimo tra Bush ed Erdoğan. Anche lo Stato maggiore ha fatto sapere che ogni decisione in merito all’operazione militare è legata all’esito dell’incontro di Washington. Per il momento fonti americane fanno sapere che probabilmente in quella occasione gli USA proporranno alla Turchia “un’operazione militare contenuta”. Un’opzione accettabile anche da parte delle autorità curdo-irachene, che in questi giorni hanno invitato il PKK al cessate il fuoco e ad abbandonare il territorio turco.
Il governo turco intanto pensa a misure di pressione, in particolare economiche, nei confronti dell’Iraq e chiede agli alleati internazionali di mostrare maggior collaborazione in tema di lotta al terrorismo. Lo stesso invito che la presidentessa della Confindustria turca (TÜSIAD), Arzuhan Doğan Yalçindağ, ha rivolto martedì a Roma a Romano Prodi e Luca di Montezemolo.
In ogni caso di PKK e operazioni militari si parlerà ancora durante la conferenza dei paesi confinanti con l’Iraq, in programma ad Istanbul oggi e domani, con la partecipazione anche di Condoleeza Rice.