Una strana euforia
06.12.2007
Da Sarajevo,
scrive Zlatko Dizdarević
Durante la parafa del SAA
Martedì 4 dicembre a Sarajevo è stato parafato l’Accordo di associazione e stabilizzazione con l’UE. Ufficialmente tutti si sentono dei vincitori, tanto i politici locali che i rappresentanti europei. I cittadini della BiH sembrano gli unici ad avere dubbi sull’euforia generale
Chiunque a Sarajevo oggi avanzasse anche un solo dubbio sul modo in cui è stato firmato, sul motivo per cui è stato firmato e sul destino che avrà l’Accordo di associazione e stabilizzazione (SAA) tra la BiH e l’UE verrebbe dichiarato nemico “del futuro europeo della BiH”. Dall’altra parte, quelli che fino a ieri hanno fatto di tutto per bloccare quella stessa BiH sulla strada dell’Europa e di farne una semplice provincia primitiva di tipo semifeudale, oggi sono “i leader della strada europea”. Qui da noi, questo si chiama “realpolitik”.
Tutta quanta questa storia, invece, ha un seguito e una cornice davanti alle quali, ovviamente, si possono consapevolmente chiudere gli occhi, ma non è che grazie a questo si possano eliminare i fatti e le conseguenze che ne derivano.
Per il futuro del processo di integrazione della Bosnia Erzegovina nell’Unione europea e per la stabilizzazione dell’intera regione, in questo momento serve tener presente la vera realtà che non può essere nascosta sotto il tappeto.
La Bosnia Erzegovina ha parafato suddetto accordo, da ultimo paese della regione del sud est Europa, dopo che la Serbia (penultima) lo aveva fatto due mesi fa. Formalmente, secondo il vocabolario e le enciclopedie internazionali, “parafare” significa, firma abbreviata con sui si conferma che il firmatario ha preso visione del contenuto del documento. E niente di più. Il pesante e faticoso lavoro che condurrà sino alla firma è ancora tutto da fare. Su questa strada resta come priorità, nel caso concreto, la riforma della polizia in BiH rispetto alla quale sono stati accettati da tutti dei “principi” piuttosto nebulosi. In BiH, realtà e principi sono da sempre due cose completamene diverse. Su questo fatto, a dire il vero, si basa anche la più che decennale impossibilità della comunità internazionale di sistemare in modo durevole la “questione balcanica”.
I politici hanno perso tre anni tentando di mettersi d’accordo sulle questioni essenziali delle riforme e, ovviamente, suddetti principi anche dopo la loro adozione vengono interpretati in modi del tutto differenti.
Milorad Dodik, l’ineccepibile padrone della Republika Srpska (RS), a più riprese ha affermato: “Per la polizia della Republika Srpska cambiamo l’Europa”. Contemporaneamente, i politici croati della BiH non rinunciano alla creazione di un “canale tv croato” nel sistema delle emittenti tv pubbliche.
La seconda condizione dell’UE per procedere sulla strada che porta alla firma del SAA è la riforma delle istituzioni della BiH che implica una modifica della Costituzione. La completa riforma dell’amministrazione è il terzo della serie di compiti bosniaci per poter proseguire il cammino europeo.
Non dimentichiamo che questa famosa firma è solo la pre-condizione per ottenere lo status di candidato per l’UE. Solo con la candidatura si apre la strada infernale di adattamento alle reali richieste istituzionali europee. Migliaia di leggi devono essere modificate o adottate. Ma in RS la modifica della Costituzione già oggi è vista solo come “un cambiamento in Federazione ma non anche nella RS che invece è una categoria durevole sulla quale non c’è nulla da discutere”.
Tutte queste questioni sono viste dai politici al potere in Bosnia Erzegovina in un modo del tutto diverso. Questa diversità non la nascondono, così come la prontezza a lottare “fino all’ultimo respiro” solo per le proprie visioni sul futuro della Bosnia o addirittura su ciò che da essa dovrebbe uscirne.
Un sondaggio televisivo trasmesso alcune sere fa su BHT1 ha fornito la risposta alla domanda su cosa pensano i cittadini riguardo al modo in cui si è giunti a tutte queste concessioni politiche che hanno reso possibile la parafa del SAA: è stato a causa della pressione della comunità internazionale o per un vero compromesso raggiunto dai politici locali?
Oltre il novanta percento di tutti quelli che hanno risposto è orientato alla prima variante. Serve veramente molto, ma molto tempo e argomenti del tutto contrari rispetto a quelli che sono stati avanzati dai politici con il loro comportamento adottato fino ad ora, per convincere che alla “parafa” si sia giunti per la loro buona volontà.
Il giorno stesso in cui è stato parafato l’accordo tanto euforicamente celebrato, sono state dette alcune cose che mostrano tutto il valore del detto popolare “il lupo perde il pelo ma non il vizio”. Un piccolo esempio: Dodik senza alcun motivo, eccetto il desiderio di inasprire ancor di più la situazione politica e incoraggiare i radicali che non mandano giù l’accordo con la comunità internazionale, dichiara a Bosanski Brod che si deve cambiare il nome di questa città e togliere quel “Bosanski”. Al tempo della guerra i politici di Karadzic avevano nominato questa città Srspki Brod, ma mediante una decisione della comunità internazionale dopo la guerra è ritornato la vecchia denominazione. A chi, in questo momento, serve questo suggerimento di Dodik che non ha alcun fondamento né senso?
Simile è la reazione di Mladen Ivanic, ex ministro degli Affari Esteri della BiH e braccio destro di Dodik in tutte le battaglie per una “RS eterna”. Dopo le consistenti dichiarazioni del presidente della Croazia Stjepan Mesic a Bruxelles secondo il quale “le Entità in BiH non sono stati e non possono comportarsi come stati”, Ivanic un po’ cinicamente ha detto che “la dichiarazione di Mesic non è seria e appartiene al tempo passato, la Republika Srspka è un fatto su cui non si può più discutere”.
È chiaro che con questo si garantisce in anticipo una posizione negoziale alla vigilia dei prossimi cambiamenti della Costituzione della BiH. La nuova Costituzione, secondo la comunità internazionale e la maggioranza in BiH, deve rinforzare uno stato efficace e moderno, mentre secondo i politici della RS con l’appoggio di Belgrado bisogna rendere possibile alle Entità la prerogativa di stati.
Per lo stato della BiH e per i suoi cittadini l’Europa è l’unica soluzione e da qui la valutazione che quanto accaduto martedì sia un grande passo in avanti. Però, il senso di tutto questo è il seguente: se le pressioni che vengono dall’Europa nei confronti dei politici locali, grazie alle quali è stato portato il paese fino alla parafa, non proseguiranno come ora o se non saranno persino maggiori, la firma non ci sarà nemmeno fra qualche anno. Ecco perché questo non va bene per l’UE nel contesto globale delle relazioni Europa-Russia-America, ma questo probabilmente lo sanno anche a Bruxelles.
Senza bisogno di fare l’avvocato del diavolo, un osservatore politico dell’euforia di Sarajevo deve riconoscere anche quanto segue: tutti sono stati d’accordo che alla crisi in BiH si è giunti grazie all’attuale leadership politica e all’attuale governo. Quest’ultimo nel suo mandato non ha adempiuto nemmeno al 20 percento degli impegni previsti. La crisi è stata prodotta dai partiti politici e dalla loro mano lunga: il governo. Oggi si afferma che la crisi è superata, ed “eroi”, nella loro personale interpretazione, sono diventati gli stessi politici che con il loro tremendo ignorare gli interessi dei cittadini hanno condotto il paese fino a questo punto. Su questa linea si trova anche l’ultima decisione di Sarajevo: sull’onda della parafa del SAA si formerà il nuovo governo. Il mandatario della nuova formazione di governo sarà lo stesso che c’era fino ad ora, mentre i partiti politici che dicono di essere “cambiati” propongono come nuovi ministri le stesse identiche persone. Ma c’è veramente spazio per l’euforia?