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Confuso ma non fesso

11.12.2007   

In Bosnia Erzegovina si è passati in pochi giorni dalla più grave crisi politica del dopo Dayton ad un'accelerazione lungo il percorso verso l'integrazione europea. Un commento tratto dal portale Oneworld See
Di Denis Kajic – Oneworld See (titolo originale "I May Be Confused, but Not Enough to Allow to Be Screwed", pubblicato il 6 dicembre 2007)

Traduzione a cura della redazione di Osservatorio sui Balcani


Il filosofo greco Eraclito sosteneva che il cambiamento sia l'unica costante, e sarei incline ad essere d'accordo, perlomeno avendo presente i recenti sviluppi politici in Bosnia Erzegovina, se non fosse per la preoccupazione della natura di questi cambiamenti che avvengono in un contesto dove niente sembra in realtà mutato.

Se le dinamiche sociali sono un processo circolare che ci porta, in continuazione, al punto di partenza la frustrazione è alle porte. In quel caso sarebbe forse meglio dimenticare tutti i tentativi di riflettere su queste dinamiche sociali e di rivolgere gli studi all'unità mistica della natura che ci circonda o, eventualmente, riflettere sul fatto che la collina poco distante dalla propria casa è, in realtà, un'antica piramide.

Ieri eravamo nel bel mezzo di un'insormontabile crisi politica, seguita da una risvegliata paranoia collettiva della guerra con i prezzi degli alimenti base che schizzavano alle stelle, mentre oggi noi (Tu? Loro?) avviamo il processo per la firma dell'Accordo di stabilizzazione e associazione.

Alti funzionari lodano il governo della BiH e il suo approccio responsabile rispetto all'integrazione europea e un futuro che, secondo l'agenzia stampa Fena amplificata poi da altri media, è luminoso. Si può trattare dello stesso futuro che nelle scorse settimane sembrava così scuro e incerto, come sostenevano i media internazionali e la stessa Fena?

La discrepanza tra le due situazioni del tutto opposte che mutano continuamente come se si trattasse di un film di Holliwood lascia dei vuoti con i quali non si potrebbe vivere se non esistesse un termine inventato dopo la guerra (la guerra è, tra l'altro, la prinmcipale misura del tempo qui, dividento il tempo in un “prima” e in un “dopo”), un mantra, che va ben oltre il suo specifico significato, l'unica sola risposta a questo universale sbigottimento nei confronti della vita. La parola magica in Bosnia Erzegovina è “normala”, seguita, regolamente, da uno scrollare di spalle.

“Normala” è la unica e più comune reazione ad ogni situazione. Si dice “normala” se il tuo migliore amico rimane infognato nell'eroina; è “normala” avere in città “3000” tossicodipendenti; è “normala” che i parlamentari percepiscano il proprio salario per fare capricci, che non ci sia nessun cinema, di lavorare sul mercato nero e anche l'inizializzazione dell'SAA. Sarebbe “normala”, inoltre, anche se non lo avessero inizializzato. “Normala” ci protegge da ogni follia.

Vorrei, ciononostante, saltar dentro in questa follia e chiedere come sia possibile che si abbia una crisi politica così grave, accompagnata da paure di una nuova guerra e prezzi che schizzano alle stelle, e poi, il giorno dopo, fare ampi passi verso l'UE. Posso essere confuso, ma questo non significa che io voglia essere fottuto da dei pazzi (per definire in modo politically correct altre parole impronunciabili). D'altro canto, se devo essere quello fregato, vorrei almeno capire chi e perché crea queste tempeste prima della calma e ci accompagna in questo viaggio circolare.

Queste tempeste politiche sono responsabilità dei politici locali per distogliere l'opinione pubblica dalla loro partecipazione nei crimini di transizione-privatizzazione e dei milioni di marchi convertibili aspirati dalle nostre tasche? Sono per caso questi periodi di calma iniziative forzate dai funzionari internazionali per impedire e bloccare eventuali problemi che potrebbero ridisegnare gli assetti regionali? Cosa rappresentiamo noi cittadini su questa strada spazzata dai venti? La calma sopraggiunta porterà pace, vera pace sociale e sicurezza, o rappresenta esclusivamente l'accettazione dell'agonia e dello sprofondare sempre più in basso? Potrebbe largamente dipendere da noi, tenendo a mente che “sulla superfice delle espressioni di tempo pseudo-ciclico, la suprema cifra dei nostri tempi risiede ancora solo dove, seppur nascosta, risiede l'ovvia necessità di rivoluzionare le regole”.
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