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Al festival di Tirana

20.12.2007    Da Tirana, scrive Artan Puto

Ilir Butka
Ilir Butka è direttore del Tirana International Film Festival, TIFF, il primo Festival Internazionale di Cinema a tenersi in Albania. Una conversazione sullo stato della cinematografia nel Paese
Come è nata l’idea del TIFF?

Anni fa, nel 2003, avevo realizzato un film di cortometraggio nell’ambito di un progetto avviato dal Centro Nazionale di Cinematografia Albanese. Il film si chiamava “Tunel”, ha vinto il primo posto e ottenuto un finanziamento. Con questo film ho partecipato al festival del film di corto metraggio di Tangeri, un festival del film mediterraneo, e poi al Siena Film Festival. L'esperienza della partecipazione a quei festival mi ha reso consapevole dell'importanza del cercare di creare quel clima artistico anche in Albania, come occasione per presentare la cinematografia albanese e i nuovi artisti. Abbiamo ragionato sul format artistico del futuro festival, sul target, e abbiamo deciso di puntare sul film indipendente. Abbiamo creato legami coi festival di Siena e Tangeri, selezionando film da portare in Albania. In seguito abbiamo presentato il nostro progetto sul nostro portale. La reazione è stata molto positiva, abbiamo avuto offerte di 400 film da 70 Paesi del mondo.

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Che genere di film presentate al pubblico albanese?

Noi accettiamo 4 generi di film: fiction, documentario, animazione e sperimentale, della durata massima di 30 minuti. Presentiamo anche film di lungo metraggio, tra quelli che hanno fatto la storia del cinema indipendente. Per esempio nella prima edizione abbiamo fatto una rassegna dei film di John Cassavetes, ma abbiamo anche portato film indipendenti sovietici, degli anni '60 e '70, autori quali Sergiej Paraxhamov. Questi film sono stati presentati qui a Tirana da Ronald Way, creatore della rivista “Kino”. Nel corso delle diverse edizioni è cresciuta anche la partecipazione dei giovani artisti albanesi, che ora sono più di 40. Nella prima edizione inoltre non c’erano scuole cinematografiche, mentre adesso ci sono la “Marubi” e quella della Accademia delle Arti. Siamo di fronte ad un cambiamento netto nell’atmosfera generale del Paese. L’interesse e cresciuto, ci sono molti studenti... Se nella prima edizione c’erano solo film finanziati dal Centro, adesso abbiamo anche film che si finanziano da soli. Ormai si è capito che basta avere una cinepresa per fare un film. Come anche che è possibile cercare sponsor fuori dalle strutture statali.

Qual è stato il più grande successo del TIFF?

Il privilegio del TIFF è quello di essere l’unico film festival di un piccolo Paese, e di avere una proiezione internazionale. In Italia ad esempio ci sono tanti film festival di cortometraggi, ma dedicati esclusivamente a film italiani. Il TIFF invece porta qui in Albania fino a 800 film ogni anno, da 75 Paesi del mondo. Abbiamo una visione internazionale e puntiamo al cinema indipendente, il nostro focus è ben definito. Abbiamo già avuto diverse soddisfazioni, l’arrivo a Tirana di Ken Loach ad esempio, nel 2005, è stato un grande evento.

Quanto è difficile fare un film festival in un Paese che non ha sale di cinema?

E' vero, fino a due anni fa l’unica sala era il Millenium 2. Questo era un ostacolo per l'organizzazione, anche perché essendo l’unico cinema in città le tariffe erano alte. Quest’anno, non avendo il sostegno del ministero della Cultura, abbiamo deciso di spostarci all’albergo Sheraton.

Quali sono i donatori del festival?

Il donatore principale, nelle prime quattro edizioni, è stato il ministero della Cultura, ma quest’anno non abbiamo ricevuto nessun sostegno. Questo vuoto è stato riempito dal Centro Nazionale della Cinematografia, che da due anni finanzia questo festival. Ci sono poi contributi dell’Albanian Mobile Communication, del Comune di Tirana, e delle Ambasciate americana, spagnola e greca...

Quella italiana?

No, l’Ambasciata italiana non ha mai dimostrato interesse. Ma abbiamo trovato un contributo davvero importante all'interno del progetto Interreg 3, insieme alla regione Puglia e alla provincia di Brindisi, con cui abbiamo instaurato un partenariato molto valido, a partire dalla terza edizione. Grazie a questa collaborazione abbiamo portato in Albania il cinema pugliese degli ultimi 15 anni, di corto e lungo metraggio, e inoltre il cinema albanese ha preso parte con una propria sezione al primo film festival di Brindisi.

Come avvengono i contatti con l’Italia?

A ogni edizione del festival noi stabiliamo dei legami che più tardi possono divenire dei gemellaggi. Questo è avvenuto ad esempio con il festival di Genova, che è venuto qui per selezionare film albanesi da portare in Italia, propri come facciamo anche noi negli altri festival internazionali.

Pensate in un prossimo futuro di poter trovare una vostra sostenibilità senza finanziamenti pubblici?

Questo lo possiamo solo sognare, non è realizzabile. Attività di questo tipo sono no profit, devono trovare finanziamenti istituzionali perché hanno a che vedere con l’educazione, non con le vendite. Inoltre, se non hai un aiuto anche minimo da parte dello Stato, neppure le strutture internazionali dimostreranno interesse, la partecipazione di una struttura statale è un indice di serietà, di garanzia.

Quali sono i legami più importanti che avete stabilito durante queste edizioni?

Oltre a quelli che ho gia menzionato siamo in un rapporto di gemellaggio anche con Viterbo, con il film festival di Cork, in Irlanda, con la Bosnia e con Belgrado. In generale però siamo più inclini ad avere contatti con l’Italia perché per noi è la via più corta e più naturale verso l'Europa.

Era più facile lavorare nel cinema prima del 1990 oppure adesso?

Io ho finito l’Accademia di Belle Arti nel 1989. Ho studiato pittura, poi ho cominciato a lavorare come designer e regista di film d’animazione. In quel periodo, a dire il vero, oltre a tutti i problemi politici che conosciamo, abbiamo avuto anche un vantaggio che sarebbe il sogno di ogni cineasta. Ogni autore infatti era obbligato a realizzare un film all’anno, e questa era una regola che valeva per tutti, sia per quelli che lavoravano ai lungometraggi che per chi lavorava nel cortometraggio o film di animazione. Nessuno badava alle finanze, perché lo Stato garantiva tutto. Si trattava in effetti di un privilegio, tutti sognano di poter realizzare un film senza preoccuparsi del suo aspetto finanziario. C’era però il problema della censura, che spesso si trasformava in autocensura. Ma la sfida era interessante, perché una mente sveglia cercava di trovare le vie possibili per dribblare la censura soffocante. In quel tempo infatti sono state prodotte anche opere di qualità che sono sopravvissute al tempo e al sistema. Dopo il cambio del sistema, invece, la produzione dei film è diventata impossibile, era il collasso totale, praticamente la fine del cinema albanese. La nostra fortuna è stata che a capo del ministero della Cultura ci fosse Dhimiter Anagnosti, il quale come ministro ha il merito di aver ideato il Centro Nazionale della Cinematografia. L’Albania è stata il primo Paese dei Balcani a fondare un tale Centro che, anche se con un piccolo budget, ha tenuto vivo il cinema. Un anno fa il budget del Centro era di circa 1 milione di dollari, adesso è di circa 1.600.000 dollari. Poi ci sono le coproduzioni, specialmente con la Francia.

In Albania assistiamo ad un rinnovato interesse per la cinematografia del periodo comunista, si tratta di nostalgia o della risposta ad un vuoto culturale?

La produzione di quegli anni rappresenta un patrimonio reale, una eredità non solo per la cinematografia ma per la nostra cultura in generale. Il cinema in quel periodo, anche per motivi propagandistici, aveva un’importanza particolare. Si considerava il meglio della nostra cultura. La contribuzione dei cineasti albanesi che avevano studiato all’estero era una cosa reale, hanno portato davvero un clima nuovo. Forse il cinema albanese non è mai riuscito ad affermare una sua propria identità nella regione, ma per noi ha avuto importanza. Inoltre ci ha aiutato in quel periodo nel creare una illusione, per la nostra generazione corrispondeva al desiderio di essere come tutti gli altri, nel senso che anche noi avevamo il nostro cinema, come tutti... Oggi invece, per i giovani, i film vecchi rappresentano la possibilità di vedere un mondo che non hanno conosciuto, e il fatto che la maggior parte della popolazione continui a guardarli significa che quei film contengono messaggi che continuano a colpire gli spettatori.

Una grande parte di quella produzione però era anche propaganda...

Sì, ma non tutto era propaganda. La politica ti obbligava a seguire certi binari, ma a volte il treno deragliava, e questo accadeva in particolare con i film artistici o di animazione. Quando la produzione ha cominciato a crescere, è diventato impossibile controllare tutto...