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Morto il realismo, lunga vita al documentario

07.02.2008    Da Sarajevo, scrive Boris Vitlačil

Dalla scuola documentaristica sovietica ai nuovi documentari come Mama i Tata. Lo sguardo di Faruk Loncarević, giovane regista e docente all'Accademia di Sarajevo, sul panorama cinematografico bosniaco dagli anni Settanta ad oggi
Per prima cosa, vorremmo conoscerti e sapere di cosa ti occupi. È stato da poco presentato il tuo primo documentario, giusto?

Sì, Mama i Tata - Mum’n’ Dad, il mio primo film, è stato presentato un anno fa al festival di Sarajevo, vincendo il premio speciale della giuria, e in seguito al festival di Rotterdam. Insegno Storia del Cinema all’Accademia di Sarajevo, dove mi sono laureato, e all’Accademia di Tuzla. Mi occupo di cinema principalmente come regista, ma anche in ambito accademico, che in realtà è un’ottima combinazione per chi desidera fare film e mi dà molta soddisfazione, permettendomi sia di usare che di studiare il linguaggio cinematografico.
Fra le altre cose, mi sono occupato a lungo di scrittura e critica. All’Accademia mi sono laureato in regia multimediale, e sotto certi aspetti ci hanno insegnato la regia come un’unica arte, senza insegnarci la differenza fra teatro e cinema, mentre per me la regia teatrale e quella cinematografica sono arti completamente diverse. D’altra parte, forse siamo noi ad avere, in generale, un’impostazione mentale poco aperta (dall’Accademia non è ancora uscito un piccolo Bergman…), mentre il cinema può aiutare molto il teatro e viceversa, anche se il cinema è un’arte più individualista, basata su un’idea che è sempre personale, mentre il teatro è un lavoro collettivo.

Ora torniamo un po’ indietro nel tempo. Puoi parlarci dell’industria cinematografica bosniaca degli anni Settanta?


Gli anni Settanta sono stati un periodo molto interessante, ma non esisteva una cinematografia bosniaca, c’era solo una cinematografia jugoslava. Nello specifico, forse la Bosnia ha sempre avuto una maggiore creatività, ma anche un sistema sociale più rigido, e quindi una tremenda pressione sociale, che costituiva ovviamente un grande problema creando un’atmosfera di repressione. Nonostante questo, e nonostante la reazione che dopo il 1968 porta il cinema all’auto-censura, gli anni Settanta vedono alcuni importanti registi, penso a Boro Drasković o Bata Cengić, realizzare film in grado di infrangere gli standard e lanciare delle forti provocazioni al sistema. All’interno di questa sorta di movimento underground, Aleksandar Petrović gira il film Skupljaci Perja (Happy Gypsies), forse il film forse più autenticamente jugoslavo, caratterizzato da un elevato livello formale e inoltre da una profonda comprensione dell’atmosfera sociale. Si tratta comunque di un film relativamente innocuo dal punto di vista politico, più orientato verso una riflessione di carattere esistenziale, in cui è difficile stabilire dei precisi paralleli con la realtà del tempo. Quindi, possiamo dire che, mentre l’auto-censura frena il mondo cinematografico, come del resto quello politico, dal punto di vista tecnico e formale il cinema progredisce rapidamente, con risultati di grande spettacolo (ad esempio alcuni film di Bata Cengić), che è positivo. Molto importante in quegli anni è lo sviluppo della scuola documentaristica sovietica, a cui possiamo attribuire una forte influenza sul cinema bosniaco. Gli anni Settanta vedono quindi un autentico fiorire della produzione cinematografica, e anche della critica. Sineast, diretta da Nikola Stojanović, che diventerà la maggiore rivista dell’epoca in Bosnia, e la maggiore rivista di teoria e critica cinematografica dell’ex Jugoslavia, comincia le pubblicazioni proprio in questo periodo. Anche a Sarajevo, attraverso l’apertura di sale e club, nasce una scuola documentaristica molto popolare fra i giovani, soprattutto grazie ad alcuni bellissimi film di Mirza Idrizović. Questo filone si occupa dei temi più svariati, con film abbastanza duri che contribuiscono ad aprire lo sguardo verso la possibilità di un altro socialismo, di altri socialismi. Fra il 1973 e il 1975 il genere documentaristico subisce una sorta di fase stagnante caratterizzata da poche produzioni, seguita da una grande produzione di documentari in ambito televisivo.

Quali erano i modelli di ispirazione del cinema bosniaco?

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Questo è uno dei problemi fondamentali anche per l’industria cinematografica di oggi in Bosnia Erzegovina. Non abbiamo avuto modelli come è stata, ad esempio, la scuola di Praga per la Serbia. Da un lato, questo permette di lavorare in modo originale, ma crea anche una mancanza di comunicazione con l’esterno che a volte ha portato a scoprire l’acqua calda. Questo è un antico problema che interessa anche la nostra società in generale. Personalmente, considero modelli fondamentali il cinema tedesco e quello russo, oltre a Bata Cengić e Mirza Idrizović.

Cosa succede nel cinema con l’abbandono del realismo socialista?

Direi che anche il neo-realismo è morto, è morto nel momento in cui le persone hanno cominciato a vivere meglio. La prospettiva socialista sulla realtà ha lasciato il posto ad una certa ossessione per il sesso, un interesse per il thriller, l’ossessione per una vita migliore, l’uso di storie paradigmatiche. Le persone cominciano a stare meglio, e non ci si concentra più sulla differenza fra classi sociali; si descrive un mondo composto dalla sola classe media, dove, con il miglioramento delle condizioni materiali, si fa strada l’idea che non ci sia più niente di meglio da chiedere o cercare. Cominciano a girare i primi blockbuster, perché le persone hanno interessi diversi, ed il cinema comincia ad occuparsi d’altro.

Il cinema riflette e conserva o trasforma la realtà?

Secondo me, oggi i contenuti sono eccessivamente forti, espliciti, illustrativi, finti. Le tematiche possono essere tragiche o comiche, ma non devono essere finte. Il regista deve mostrare quello che vede, e io non vedo le vittime della guerra, non vedo i problemi sociali di cui tutti parlano. Non ci sono. Vedo molti film sul genere degli exploitation movies popolari in America negli anni Sessanta e Settanta, che sfruttano temi di forte impatto come il sangue, l’omicidio, la violenza sessuale. Questo sfruttamento di tematiche violente per me non è regia, è un peccato contro la regia. Regia è ad esempio parlare dei traumi, dell’esperienza personale, delle conseguenze della violenza. Questo è intelligente, e non è exploitation. La regia deve esplorare le tematiche, non sfruttarle. Credo che il regista debba occuparsi di quello che conosce e che lo interessa, non di quello che sembra importante. Ma ora noi viviamo in una forma di totalitarismo che è peggiore del socialismo, una dittatura dei finanziamenti che limita la libertà di creazione e produzione. Questo non vale solo per la Bosnia: hai mai visto un film europeo innovativo, provocatorio? Io non me lo ricordo.

Che progetti hai per il futuro?

Sto scrivendo la sceneggiatura per un nuovo documentario. Essendo io una persona molto aperta, il film sarà una storia molto personale, legata alla mia famiglia. Sarà un film economico, attento alla forma, senza alcun calcolo di carriera o successo.