L’UE bussa, il governo trema
07.02.2008
Da Belgrado,
scrive Aleksandra Mijalković
La firma dell’accordo politico con l’UE viene vista da una parte dei politici belgradesi come una sorta di inganno per far digerire la pillola amara dell’indipendenza del Kosovo. Dissidi all’interno del governo, si inizia a parlare di elezioni politiche anticipate
La vittoria di Boris Tadic ha rinforzato alcune delle aspettative di Bruxelles e di Washington sul fatto che la Serbia adesso sarà più fedele all’Europa, e che sarà più disponibile ad accettare l’indipendenza del Kosovo.
L’accordo politico che l’Unione europea ha offerto alla Serbia alla vigilia delle elezioni presidenziali probabilmente ha contribuito alla vittoria del candidato filoeuropeo, l’attuale capo di stato Boris Tadic, tuttavia non è stato sufficiente spingere con convinzione il Paese lungo la strada che porterà all'ingresso in questa istituzione.
Il documento avrebbe dovuto essere firmato il 7 febbraio a Bruxelles, ma ha portato a quella che fino ad ora è la più grande crisi del governo attualmente in carica. Alcuni ministri appoggiano infatti la posizione del presidente di firmare l’accordo (Partito democratico e G17 plus) altri invece sono con chi nel paese (Partito democratico della Serbia, Nova Srbija, Partito radicale serbo, Partito socialista serbo), ritiene che questo documento sia solo una “fregatura” di Bruxelles, un “inganno per far sì che la Serbia, firmando l’accordo con l’UE, in verità sottoscriva il proprio consenso all’indipendenza del Kosovo e che diventi così il primo stato che riconosce indirettamente il Kosovo indipendente”. Su questa posizione anche il premier Vojislav Kostunica.
Da dove proviene tutta questa resistenza a questa versione molto blanda dell’Accordo di associazione e stabilizzazione con l’UE, la quale solo conferma e rinsalda ciò che lo stesso governo ha dichiarato come suo obiettivo di politica estera, e cioè il rapido avvicinamento all’Unione europea? Il motivo sta in un altro documento, che i membri dell’Unione europea (esclusa Cipro) hanno adottato come preparazione legale e finanziaria per adottare la decisione, il prossimo 12 febbraio, di inviare una missione civile dell’UE in Kosovo.
Al governo serbo dicono che l’invio di circa 2000 poliziotti e giudici nella provincia serba, sotto il segno della missione “EULEX”, senza una decisione a proposito del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, rappresenterebbe una inaccettabile violazione della Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’ONU e un avvio di fatto all'implementazione del piano Ahtisaari sull’indipendenza del Kosovo.
Kostunica ha dichiarato che l’UE con questa decisione minaccia direttamente la sovranità, l’integrità territoriale e l’ordinamento costituzionale della Serbia, ed è per questo che “l’obbligo costituzionale del presidente del Parlamento è quello di fissare immediatamente la seduta del Parlamento, prima che i separatisti albanesi con l’appoggio dell’UE e degli USA, dichiarino unilateralmente l’indipendenza”. Egli ha detto che “la decisione sull’invio illegale della missione indica che la UE insieme ai separatisi albanesi si oppone a tutti i principi del diritto internazionale e crea un falso stato albanese sul territorio della Serbia”, e ha dichiarato che “fissare la seduta del parlamento non è necessariamente una questione del governo, il quale evidentemente è profondamente diviso su questa questione”.
Dal momento che il presidente del Parlamento Oliver Dulic (del partito di Tadic) ha accettato di riunire il Parlamento il 14 febbraio, Kostunica ha rifiutato di tenere la seduta del governo con la quale il vicepremier Bozidar Djelic avrebbe dovuto ricevere l’incarico di firmare l’accordo con l’UE. È ancora del tutto incerto chi sarà il vincitore di questo braccio di ferro politico, è chiaro però che la Serbia continuerà il suo “viaggio europeo” senza problemi solo se Djelic andrà a Bruxelles, ed in quel caso oscillerà seriamente la posizione del premier e si fa più chiara la possibilità di nuove elezioni politiche anticipate.
Ma “se la firma dell’accordo con l’UE aspetta le elezioni parlamentari, che potranno tenersi nei prossimi mesi, ciò può significare anche che non sarà firmato alcun accordo con l’UE mentre c’è questo governo in carica”, ha detto il funzionario del Patto di Stabilità per il sud est Europa, Goran Svilanovic in una dichiarazione per Radio Beta RFI. “Il fatto è che perdiamo ancora un anno. Mi piacerebbe dire che si tratta dell’ultimo anno che perdiamo nelle relazioni con l’UE, e che con questo non risolviamo nessuno degli altri problemi che abbiamo, compreso il Kosovo”, ha aggiunto Svilanovic.
Bruxelles pronta ad aspettare
Ancora una volta, consapevole della crisi che ha suscitato, l’Unione europea ha cercato di calmare la situazione. Ha rinviato la firma dell’accordo politico con Belgrado, “a data da destinarsi”, ossia fino al momento in cui la Serbia sarà pronta. Il commissario europeo per l’allargamento Olli Rehn allo stesso tempo ha detto che si impegnerà per far sì che alla prossima seduta dei capi della diplomazia dell’UE, il 18 febbraio, (per altro il giorno stesso in cui dovranno prendere anche la decisione sulla missione dell’UE in Kosovo), al posto dell’accordo politico venga firmato l’Accordo di associazione e stabilizzazione (ASA). La Serbia, in quel caso, dovrebbe rispettare la condizione di completare la collaborazione con il Tribunale dell’Aja prima della ratifica di suddetto accordo presso i parlamenti dei paesi UE. Rehn ha criticato duramente il premier Kostunica e il suo partito per via dell’ostruzionismo all’interno del governo e ha spiegato che la decisione sul Kosovo verrà presa a prescindere dalla posizione della Serbia e dalla contrarietà del premier alla firma dell’accordo politico.
Anche il direttore della Fondazione balcanica per la democrazia, Ivan Vejvoda ritiene che se la Serbia non firmasse “l’accordo politico” con l’UE perderebbe il passo delle integrazioni europee, ma con questo non impedirebbe la decisione di Bruxelles di inviare la missione in Kosovo. La “decisione sull’invio della missione dell’UE in Kosovo è già stata formalmente presa durante il summit di dicembre. Adesso, è stata presa anche la decisione tecnica, e bisogna ricordare che la preparazione della missione dell’UE è già in atto in Kosovo sin dall’aprile 2006, cioè due anni fa”, ha dichiarato Vejvoda all’agenzia Tanjug.
Di per sé l’accordo politico, che è giunto a Belgrado il giorno dopo le elezioni, non contiene nulla di discutibile. Nel testo, come ha spiegato Milica Delevic, assistente del ministro degli Esteri della Serbia, Vuk Jeremic, non si parla del Kosovo e del futuro status della provincia. “Esso rappresenta la messa in opera delle conclusioni che sono state adottate il 28 gennaio scorso, durante la seduta dei ministri degli esteri dell’UE” e rispecchia fedelmente ciò su cui i ministri dei 27 membri dell’UE si sono accordati la scorsa settimana, e cioè di offrire alla Serbia qualcosa che fosse un quadro politico per tutte le relazioni bilaterali, e oltre al resto, l’apertura del dialogo sulla liberalizzazione del visti. L’accordo fa riferimento all’”accettazione del fatto che l’obiettivo finale della Serbia sia l’avvicinamento all’UE con la prospettiva di ottenimento dello status di candidato e la membership a pieno diritto nell’Unione”.
Un non favore
Il problema è che, da un lato l’UE afferma che il suo appoggio alla “Serbia democratica” che ha votato per Tadic, e l’offerta dell’accordo politico che conferma “la prospettiva europea per la Serbia” non hanno alcuna relazione sul futuro status del Kosovo, mentre dall’altra parte lo confuta, perché subito dopo la vittoria di Tadic, come se non aspettasse altro, decide, nonostante la contrarietà del governo serbo, di inviare una propria missione in Kosovo.
Alcuni media stranieri a questo riguardo hanno commentato che la sconfitta del rivale di Tadic, Tomislav Nikolic del Partito radicale serbo, ha attenuato i timori occidentali di una reazione violenta della Serbia alla proclamazione di indipendenza del Kosovo attesa per questo mese.
Il “Washington post”, per esempio, ricorda che entrambi i candidati si sono detti contrari all’indipendenza del Kosovo, ma che Tadic ha escluso l’impiego della forza e che “probabilmente sarà favorevole a far proseguire relazioni strette con l’UE e gli USA, nonostante la loro decisione sul Kosovo”. Se, però, Tadic si dovesse comportare veramente così in queste circostanze, si troverebbe facilmente contro l’opinione pubblica e guadagnerebbe nuovi nemici che lo riterrebbero un traditore degli interessi serbi.
Ecco perché il “timing” così maldestro di Bruxelles può veramente essere inteso come un non favore per il loro candidato favorito e per tutti i cittadini serbi che sono orientati verso l’Europa, e invece come il “vento in poppa” per coloro a causa dei quali non è ancora stato firmato l’Accordo di associazione e stabilizzazione e che, per come stanno le cose, non lo sarà per parecchio tempo.
La presidenza slovena dell’UE, con i complimenti a Tadic, ha espresso la speranza che a breve la Serbia (aveva già sperato per il periodo della propria presidenza, quindi entro il giugno 2008) firmi questo accordo. L’Olanda e il Belgio si oppongono a ciò finché il governo serbo non consegnerà al Tribunale dell’Aja i rimanenti accusati di crimini di guerra (soprattutto Ratko Mladic), ma fra gli altri membri dell’UE c’è stata la prontezza a far sì che questa condizione si “attivi” solo dopo la firma, e prima dell’entrata in vigore dell’accordo. Ovviamente, se la Serbia rifiuterà di firmare il precedente cosiddetto accordo politico con l’UE, questa possibilità decade.
Corrompere Belgrado
È interessante vedere come a tutto ciò reagiscono i vicini della regione. La vittoria di Tadic li ha incoraggiati perché ha tolto il timore del rinnovo di “un aggressivo nazionalismo serbo” e ha avvicinato la Serbia all’Unione europea, in cui valgono le regole della democrazia, della tolleranza, dell’unità, della soluzione dei conflitti per via pacifica e sulla base di accordi. I politici della Croazia e della BiH hanno dichiarato che l’avvicinamento di qualsiasi paese balcanico all’Unione è un bene anche per gli altri paesi della regione.
Sull’offerta dell’accordo politico a Belgrado molti, invece, hanno reagito in modo offensivo, invidioso, considerandolo un privilegio non meritato, un’”ingiustizia” nei confronti degli altri paesi che si preparano all’ingresso nell’UE (il deputato sloveno al parlamento europeo, Jelko Kacin). Un editorialista del settimanale croato “Globus” fa notare ironicamente che si tratta di una ricompensa per la Serbia perché non ha ancora rispettato le condizioni dell’Aja (“bellissimo, se lo è meritata, che entri e che porti pure Mladic e Karadzic”). Un editorialista del sarajevese “Oslobodjenje” ha definito il gesto dell’Unione europea come un “precedente politico” o come “una tangente politica”, sottolineando che dare la precedenza alla Serbia nell’UE prima della BiH è “estremamente e politicamente immorale”.
Adesso la vera questione è se questa “corruzione” riuscirà davvero, in altre parole, l’avanzamento più rapido verso l’UE e l’eventuale eliminazione dei visti, convincerà i serbi ad accettare l’indipendenza del Kosovo, o farà in modo che almeno non si oppongano con le armi? In questo caso la Croazia e la BiH accetterebbero più facilmente l’”ingiustizia”? O avrebbero preferito che Bruxelles non ci avesse nemmeno provato?