Attese divise
12.02.2008
Da Kosovska Mitrovica,
scrive Tatjana Lazarević
Mitrovica dall'alto
Un parlamento locale serbo e resistenza alla futura missione dell'Ue coi metodi della disobbedienza civile. La comunità serba del Kosovo, preoccupata e isolata, cerca risposte, mentre si moltiplicano le voci di una probabile dichiarazione di indipendenza di Pristina nei prossimi giorni
A Pristina, come nelle maggiori città del Kosovo abitate da albanesi, in questi giorni ci si prepara a festeggiare l'attesa proclamazione di indipendenza da Belgrado.
Anche molti albanesi kosovari emigrati all'estero stanno tornando a casa “per essere presenti in questo giorno storico per il Kosovo”, come molti di loro hanno dichiarato nei giorni passati a media locali ed internazionali. Gli stessi albanesi kosovari non perdono l'occasione di ringraziare la comunità internazionale per l'appoggio alla loro causa, e soprattutto gli “amici americani”.
All'inizio di questa settimana, si attende a Pristina la stesura della cosiddetta dichiarazione di intenti per l'indipendenza che, come dichiarano gli stessi interessati, viene preparata in coordinazione tra i funzionari albanese-kosovari e quelli internazionali. Oltre alla volontà di indipendenza, la dichiarazione dovrebbe esprimere anche l'invito alla missione dell'Ue in Kosovo, così come un richiamo al rispetto delle minoranze.
Al tempo stesso, dovrebbe essere definita la data della prossima riunione dell'Assemblea Parlamentare del Kosovo, durante la quale la stessa dichiarazione dovrebbe essere adottata. Secondo molti il 17 febbraio verrà formulata una dichiarazione di intenti per l'indipendenza, mentre il giorno successivo, durante la riunione dei ministri degli esteri dell'Ue, si potrebbe arrivare ad una posizione comune dell'Unione sulla missione europea in Kosovo.
La dichiarazione di indipendenza vera e propria potrebbe arrivare invece all'inizio di marzo. Secondo i media sloveni, ripresi da B92, nell'intervallo tra la dichiarazione d'intenti e l'indipendenza vera e propria il parlamento di Pristina dovrebbe approvare circa trenta nuove leggi previste nel piano formulato da Martti Ahtisaari.
Gli stessi media sloveni, in aggiunta, scrivono che non è ancora chiaro se l'invito rivolto alla missione dell'Ue in Kosovo verrà votato a Pristina in contemporanea con la dichiarazione d'intenti, oppure all'inizio di marzo, con l'indipendenza vera e propria.
Secondo un alto rappresentante del governo kosovaro, citato dalla Reuters, non ci sarà però alcun processo in due fasi. “Entro domenica sarà tutto finito”, ha dichiarato la fonte anonima, smentendo che la dichiarazione di domenica sarà solo d'intenti, e che l'indipendenza arriverà poi a marzo.
A Pristina si attende anche l'approvazione della nuova costituzione, lungamente attesa, compresi i nuovi simboli dello stato. Il concorso per l'ideazione di una nuova bandiera, così come del nuovo stemma, è quasi arrivato a conclusione. Attualmente gli albanesi kosovari utilizzano la bandiera dell'Albania, ma è stato loro richiesto che, alla dichiarazione di indipendenza, elaborino simboli nazionali esclusivi, che sottolineino la composizione multietnica della regione.
Visto che le comunità albanese e serba del Kosovo vivono separate ormai da anni, e che la consistenza delle altre minoranze è limitata, la campagna per la nuova bandiera è divenuta motivo soprattutto di battute e sarcasmo da entrambe le parti.
In una settimana di grandi sfide per la Serbia, un eufemismo politico per quella che forse rappresenta una delle maggiori crisi nella storia del paese, i serbi del Kosovo appaiono fortemente preoccupati per la propria sicurezza ed il proprio futuro. In molti sono ancora convinti che gli albanesi kosovari non otterranno mai l'indipendenza.
Particolarmente difficile è la situazione delle comunità serbe che ancora vivono a sud del fiume Ibar, poco numerose e disperse sul territorio.
Nella regione di Gnjilane, in dodici villaggi, vivono ancora circa 15mila serbi, mentre in città non ne rimangono che una quarantina, dei 16mila che qui vivevano fino al 1999.
Vesna Jovanovic (36), professoressa di lingua serba nella scuola tecnica “Dragi Popovic” di Partes, villaggio a sette chilometri da Gnjilane, racconta ad Osservatorio l'atmosfera che in questo momento aleggia su professori, alunni e genitori.
“C'è molta tensione, anche tra i professori, specialmente da domenica scorsa. Ci si chiede continuamente in che data potrebbe essere dichiarata l'indipendenza. Le uniche informazioni che ci arrivano sono quelle dei media. Nessuno si è rivolto direttamente a noi, né le istituzioni di Pristina, né le nostre, da Belgrado. Sappiamo che queste ultime parlano di misure d'emergenza da adottare nel caso di dichiarazione di indipendenza, ma qui nessuno sa di cosa si tratta e cosa questo significa in concreto. Quello che è certo è che abbiamo paura. Cosa succederà domenica? E cosa il giorno successivo?”.
Nel mare agitato della politica balcanica, il prossimo 15 febbraio si attende anche la formazione di un parlamento serbo del Kosovo e Metohija, con sede a Mitrovica nord.
La decisione è stata presa la settimana scorsa, sempre a Mitrovica, durante la seduta dell'Unione delle Municipalità e dei Villaggi, organizzazione che raccoglie i rappresentanti dei serbi del Kosovo settentrionale, che oggi è molto vicina alle posizione del premier serbo Vojislav Kostunica ed è guidata da Marko Jaksic, attualmente il leader più influente tra i serbi della regione.
L'Unione delle Municipalità e dei Villaggi dovrebbe quindi diventare un vero e proprio parlamento dei serbi del Kosovo durante la festività di "Sretenje", dal 2006 giorno in cui si festeggiano le istituzioni statali e militari della Repubblica di Serbia.
I rappresentanti dell'organizzazione hanno dichiarato che un' eventuale firma di un accordo con l'Ue rappresenterebbe una forma di tradimento, e metterebbe a rischio l'esistenza stessa della comunità serba in Kosovo. I serbi ritengono inaccettabile l'arrivo di una missione europea, in quanto questa rappresenterebbe un primo passo per l'implementazione del piano Ahtisaari. Durante la seduta è stato deciso che, nel caso di invio della missione Ue, “i serbi si opporranno e boicotteranno la sua presenza e le sue attività”.
Secondo lo scenario più dibattuto nella regione, in seguito alla dichiarazione di indipendenza di Pristina, il neonato parlamento serbo del Kosovo e Metohija dichiarerà a sua volta la volontà di restare all'interno dello stato serbo, rigettando così la decisione della regione di staccarsi da Belgrado.
I poliziotti serbi che oggi servono nel corpo di polizia kosovaro (KPS), e che già adesso operano sotto un diverso comando, potrebbero scegliere di rassegnare le dimissioni, piuttosto che servire agli ordini di Pristina.
Dragisa Djokovic, deputato del Partito Democratico dal Kosovo, domenica scorsa ha dichiarato a Radio Kontakt Plus che il ministero degli Interni serbo dovrebbe presentare presto le sue direttive sul caso, e cioè se i poliziotti serbi debbano rimanere in servizio o dimettersi in caso di dichiarazione di indipendenza.
Parlando della situazione nella regione in questo scenario, Djokovic ha detto poi che l'eventuale scatenarsi del caos da parte serba non sarebbe affatto una buona scelta.
Tutti queste evoluzioni potenziali potrebbero rafforzare la divisione de facto del Kosovo, e non si può escludere la possibilità che, se entrambe le parti saranno in grado di evitare atti di violenza, i segnali della comunità internazionale verso l'accettazione di questa situazione sul campo potrebbero rafforzarsi.
In pubblico, però, i leader serbi continuano a rigettare la prospettiva della spartizione, perché questa significherebbe l'accettazione della secessione di una parte del paese.
Dalla stessa Unione Europea arrivano segnali che Bruxelles deciderà i fretta sulla cornice operativa della missione in Kosovo.
Marko Jaksic, che sarà forse il presidente del futuro parlamento serbo del Kosovo e Metohija, ha dichiarato ai media serbi che membri della futura missione europea stanno già arrivando in Kosovo, e che questo rappresenta la chiara volontà dell'Ue di sottrarre alla Serbia una parte del suo territorio.
“In silenzio e senza fanfare, funzionari dell'Ue nel campo della polizia e della giustizia stanno già arrivando a Pristina, senza nemmeno aspettare la decisione del consiglio dei ministri europei”, ha detto Jaksic, aggiungendo di avere informazioni certe da Pristina che nessun membro della futura missione per il momento ha intenzione di recarsi a nord dell'Ibar.
Nel frattempo, a Mitrovica nord, davanti alla sede che dovrebbe accogliere la rappresentanza della missione Ue, è già stato tenuto un meeting di protesta.
I serbi che vivono nel Kosovo settentrionale annunciano il boicottaggio della missione con mezzi pacifici e democratici. Milan Ivanovic, uno dei leader più influenti, ha dichiarato che le strade verranno bloccate per impedire il movimento ai funzionari Ue, e che verrà bloccato anche l'accesso alla sede della missione. Ivanovic ha poi dichiarato che i cittadini serbi adotteranno le pratiche della disobbedienza civile. Ristoranti, caffè e negozi si rifiuteranno di servire i rappresentanti dell'Ue.
Con loro non si parlerà neppure, ha aggiunto Ivanovic, e si troverebbero di fronte ad un boicottaggio collettivo da parte di tutta la popolazione.