Di Dragan Blagojević, 16 giugno 2008, Ekonomist (titolo orig. «Tri milijarde za Kosovo»)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Ana Ljubojević
La Commissione europea e le organizzazioni finanziarie internazionali si preparano per la conferenza dei donatori prevista per il mese di luglio che dovrebbe raccogliere le (“promesse”) grandi risorse per una ripresa sociale, economica e per la stabilizzazione del Kosovo.
“No, è troppo, non stiamo considerando somme così alte”, così i responsabili della Commissione europea e del Consiglio dei ministri dell’UE replicano alla domanda se fosse ancora in vigore la dichiarazione del capo della diplomazia italiana Massimo d’Alema, in cui sosteneva che gli albanesi del Kosovo “devono obbedire” all’Unione europea, se vogliono di ricevere l’importo previsto di “tre miliardi euro in tre-quattro anni”, destinati alla ripresa economica e sociale per potersi reggere con le proprie gambe.
“Stiamo riflettendo su un importo pari a oltre un miliardo di euro, in due, forse tre anni”, ribadiscono, non ufficialmente, i funzionari di Bruxelles, alla richiesta di precisare la cifra che si incasserà alla fine della Conferenza per il Kosovo, convocata per l’11 luglio. Nel corso della conferenza le “promesse di denaro” dovrebbero giungere sia dall’Unione europea e dai suoi paesi membri, che dalle banche internazionali, organizzazioni finanziarie, e dalle agenzie dell’Onu seguite da alcuni paesi ricchi, come gli Stati Uniti, il Giappone, la Svizzera.
All’interno della Commissione europea nessuno voleva dare la risposta sulla somma esatta prevista, per cui Krisztina Nagy, portavoce del commissario europeo Olli Rehn, ha affermato che “tutto è ancora nella fase di valutazione e di analisi, e quindi non è possibile precisare neanche l’importo approssimativo”.
Nella nota di convocazione della Conferenza, la Commissione europea ha sottolineato che “le risorse provenienti da donazioni internazionali dovrebbero assicurare la creazione delle condizioni necessarie per la crescita economica, per gli investimenti e per l’occupazione, i cui beneficiari sarebbero tutte le comunità originarie di uno dei territori più poveri d’Europa”. Si è precisato inoltre che “considerevoli risorse” proverrebbero dal budget dell’UE.
In sostanza, dai fondi europei nonché di quelli dei singoli paesi dell’UE, si otterrà circa la metà del più o meno previsto “miliardo e passa di euro” per i primi due anni della missione UE in Kosovo per il suo ruolo di “ispettore” nei settori di polizia e di giustizia, per la creazione dello stato di diritto e il controllo dello sviluppo macroeconomico.
La presunta missione europea in Kosovo, Eulex, dovrebbe occuparsi della giustizia e della polizia, nonostante le grosse difficoltà e i rinvii continui, nonché l’obbligo di accettare il quadro di diritto internazionale previsto dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sul Kosovo e l’Unmik, mentre i “rappresentanti civili dell’UE”, finora pensati come funzionari dell’“Ufficio Civile Internazionale”, di cui pare si è rinunciato per l’assenza di fondamenti giuridici, sarebbero semplicemente aggiunti alle amministrazioni locali di Pristina.
Economicamente (in)sostenibile
Il precedente accordo tra gli Stati Uniti e l’Unione europea e la forte determinazione di Washington di mettere Eulex e “l’organo civile” dell’UE in Kosovo a prescindere dal permesso dell’Onu, pare sia ancora in vigore, per cui l’UE sembra avere il ruolo e la responsabilità di “sistemare” la questione del Kosovo, il che vuol dire anche l’intera regione dei Balcani occidentali.
Nella stabilità del Kosovo, ma anche della Serbia e di tutta la regione dei Balcani occidentali, l’Unione europea vede una specie di ricompensa per la riuscita presa di posizione e come parte del suo potere politico a livello mondiale, e non più solo come un’UE “gigante economico, ma nano politico”, come le si contestava in passato.
Per questo motivo il commissario europeo per l’Allargamento Olli Rehn, a proposito della Conferenza, ha dichiarato che “la questione del Kosovo è profondamente europea” e che “l’Unione europea è determinata a mettere a disposizione tutti gli strumenti necessari per aiutare il Kosovo a crearsi una prospettiva europea”.
“Organizzando la Conferenza dei donatori, la Commissione europea contribuisce largamente alla raccolta delle ricorse finanziarie per lo sviluppo socio-economico del Kosovo”, ha aggiunto in seguito, “Il fatto che si dia appoggio alla crescita e allo sviluppo a una delle regioni più povere d’Europa, rinforzerà indubbiamente la stabilità dei Balcani occidentali”.
Il comunicato della Commissione europea riporta il richiamo di Rehn ai donatori internazionali per “aiutare generosamente” la raccolta delle risorse per il Kosovo. Il Commissario ha sottolineato anche il bisogno “di grandi aiuti finanziari per soddisfare le necessità urgenti per il consolidamento delle istituzioni e per lo sviluppo socio-economico”.
Si legge inoltre che il governo di Pristina aveva esposto il suo programma per lo sviluppo, nel quale “le sfide maggiori sono (attirare) gli investimenti per le infrastrutture, per fare in modo che il Kosovo si colleghi con il resto della regione”.
Le altre sfide altrettanto importanti sono la riforma del sistema scolastico per “una popolazione estremamente giovane”, nonché “lo sviluppo delle istituzioni kosovare, con lo scopo di consolidare la democrazia e lo stato di diritto in una società multietnica”.
La Commissione europea ha ricordato che il territorio del Kosovo è uno dei più poveri d’Europa, con "un reddito annuo pro capite di 1.774 euro e con un tasso di disoccupazione di circa il 40%”.
Nel corso della riunione sul Kosovo, organizzata nei giorni scorsi a Bruxelles dal “Centro per la politica europea”, Skender Hiseni, presentato come “ministro degli Affari Esteri del Kosovo”, ha dichiarato che il Kosovo è in grado di diventare economicamente auto-sostenibile, perché, come ha chiarito, “il Kosovo ha enormi risorse umane e naturali”. Il noto centro studi European Stability Initiative di Berlino ha fatto in precedenza diverse analisi della situazione economica del Kosovo e delle sue prospettive, e i suoi risultati difficilmente andrebbero d’accodo con le dichiarazione di Hiseni.
Tuttavia, l’ESI e Hiseni concordano sull’idea che sia essenziale trovare “un mucchio di soldi” da investire nelle infrastrutture, soprattutto nel sistema energetico. Finché questo obiettivo non sarà raggiunto, secondo l’analisi dell’ESI, il Kosovo rimarrà sempre un territorio dove le importazioni arrivano ad un ammontare a circa un miliardo e cento milioni di euro, mentre le esportazioni kosovare si aggirano intorno a trenta milioni di euro. A questo si devono aggiungere le rimesse dei Kosovari all’estero per motivi di lavoro, di circa 250 milioni di euro, mentre il resto trova origine nell’“economia grigia”, ovvero nel contrabbando di droga e altri “articoli”.
Durante la stessa riunione, Oliver Ivanović, esponente della politica serba del Kosovo, ha espresso dubbi sulla stabilizzazione del Kosovo nel breve periodo. Ivanović ha ribadito di non credere nella possibilità di attirare gli investimenti stranieri, d’importanza vitale per il Kosovo, finché non sarà risolta la questione giuridica dello status, visto il grande numero dei paesi, anche all’interno della stessa Unione europea, che non hanno nessuna intenzione di riconoscere l’indipendenza della provincia serba.
Ivanović ha precisato che in Kosovo non esiste neanche la sicurezza legale elementare, che non si sa a chi appartenga di preciso la maggior parte della proprietà privata, delle ditte o dei terreni, e che i rifugiati e gli sfollati serbi del Kosovo e lo stato serbo sono in possesso di atti di proprietà, per i quali hanno aperto migliaia e migliaia di processi giudiziari per il recupero della proprietà usurpata. I problemi più significativi sono la disoccupazione tra i giovani e l’incompetenza degli impiegati del settore economico, e secondo Ivanović, questi rappresentano una piaga sociale che in futuro potrebbe provocare potenziali disordini, sociali o meno, perché, giustamente, i giovani disoccupati sono il “terreno fertile” per ogni sorta di populismo o di demagogia politica.
La Conferenza dei donatori
Ecco perché, se l’Unione europea vuole, col consenso di Washington, prendere in mano la soluzione di uno spinoso problema nel suo cortile di casa, e il Kosovo lo è, deve recuperare grandi risorse per avviare lo sviluppo socio-economico e la crescita economica di questa provincia dallo status ancora da definire. Finora sono stati spesi circa un miliardo e mezzo di euro per il risanamento delle infrastrutture strettamente necessarie, mentre poco o nulla è stato fatto per la ripresa economica e sociale.
Perciò, le risorse raccolte durante la conferenza dei donatori saranno usate con uno scopo ben preciso, assicurano a Bruxelles.
Contemporaneamente, a Bruxelles i giornalisti hanno ricevuto anche l’invito per il “Primo vertice degli investitori e degli imprenditori della neo-indipendente Repubblica del Kosovo”, previsto per il 25 e il 26 giugno a Pristina, dove sono attesi “influenti uomini d’affari” provenienti da numerosi paesi.
Tutto è collegato alla conferenza dei donatori prevista per l’11 luglio, come precisato nell’invito dagli organizzatori che non si sono presentati esplicitamente, ma i cui nomi rivelano che non sono albanesi, bensì occidentali. Durante il “summit del business” sono attese le decisioni sugli investimenti nel settore produttivo, commerciale e quello legato ai servizi, con un’attenzione particolare sulla “determinazione del Kosovo a costruire un settore privato forte che servirebbe da base del futuro sviluppo economico”.
Come sottolineano gli organizzatori, “gli aeroporti, le miniere, la posta e le telecomunicazioni, nonché la compagnia elettro-energetica sono pronti per il processo di privatizzazione”, e ribadiscono che il Kosovo ha raggiunto la stabilità macroeconomica, che la valuta in uso è l’euro, che l’inflazione è pari a zero, che “il bilancio dovrà essere regolato dalla legge”, che “il settore finanziario è forte”, mentre il sistema fiscale è “molto conveniente” per gli affari.