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Pane e non riforme

01.12.2009    Da Belgrado, scrive Cecilia Ferrara
Miroslav Prokopijević
E' considerato cinico e pessimista. Non concorda con molte delle politiche economiche adottate dal governo serbo e non crede che posticipare le riforme per garantire pace sociale sia una buona idea. Un'intervista all'economista Miroslav Prokopijević
“Si stanno comprando la pace sociale per posporre le riforme”. Questo il giudizio di Miroslav Prokopijević, economista professore all’Università di Belgrado, direttore del Free Market Center e ricercatore dell’Istituto per gli Studi Europei, sui prestiti che il governo serbo sta ricevendo quest'autunno a sostegno del proprio budget statale.

Le riforme sono quelle che riguardano i tagli alla pubblica amministrazione e la riforma delle pensioni, misure altamente impopolari soprattutto nell’anno della crisi. Prokopijević è considerato un pessimista, liberista e molto critico rispetto al governo attuale. Certo è che le previsioni economiche dell’Istituto centrale di statistica non sono rosee: si passerà secondo le previsioni da una crescita del PIL del +5,4% del 2008 al - 3% del 2009, sono calati drasticamente gli investimenti esteri, la disoccupazione è cresciuta di 2 punti percentuali (dal 14,4 al 16,4%) ed in genere la Serbia spende più di quel che produce.

Osservatorio Balcani e Caucaso ha intervistato il professor Prokopijević alla luce di un ultimo prestito presentato dalla Banca Mondiale la settimana scorsa, di 200 milioni di euro (500 milioni di dollari per il budget 2009 e 2010) e del possibile sblocco del prestito della Russia di un miliardo di euro (200 mln per il bilancio statale e 800 in infrastrutture).

Da parte sua l’Unione Europea ha destinato parte delle risorse per i fondi IPA, 100 mln di euro, destinate a bandi per progetti a sostenere il budget della Serbia, con una procedura “assai inusuale” secondo Prokopijević. Infine il prestito del Fondo Monetario Internazionale di 2,95 miliardi di euro di cui la Serbia ha già ritirato 788 milioni. Il deficit dovrebbe rimanere entro il 4,5% del Pil, un livello accettabile per il Fondo, mentre il ministro delle Finanze Diana Dragutinović ha annunciato che il budget del 2010 sarà ridotto di 107 miliardi di dinari (1,3 mln di euro) ma per il resto dei 3 miliardi di euro si dovrà ancora aspettare.

“La Serbia ha livelli di vita più alti di quanto dovrebbe avere – spiega il professor Prokopijević – il prestito dell’FMI è congelato fino a febbraio unicamente perché ci sarà una nuova missione del Fondo a Belgrado. In pratica il governo non fa niente nel campo delle riforme, l’FMI chiede almeno di fare delle riforme 'cosmetiche' e questo governo non riesce a fare nemmeno quelle, ma allo stesso tempo non si voleva far fallire l’accordo perché questo avrebbe voluto dire creare un caos sociale e politico. Non approvare il prestito avrebbe significato andare contro le banche (che per l’80% in Serbia sono banche occidentali) e mettere in forse la tenuta del governo cosiddetto pro-europeo. Per questo l’FMI ha tenuto un profilo basso, se il governo riesce ad ottenere l’intero prestito si sarà comprato la pace sociale fino ad agosto-settembre dell’anno prossimo”.

“Quando queste risorse finiranno si dovranno cercare fondi da altre parti, non si potrà chiedere ancora soldi all’FMI, il governo non potrà trovare soldi nel mercato commerciale e nelle banche commerciali perché la sua affidabilità creditizia è molto bassa e non resterà che vendere alcune aziende che sono ancora dello stato come Telekom, l’EPS (l’Enel serba), e ci sono ancora molti terreni di proprietà dell’esercito che possono essere venduti. Così riusciranno a governare per un altro po’ fino a che un giorno tutto questo sarà finito. A quel punto ci sarà un aggiustamento spontaneo: il dinaro che ora ha valore di 94 dinari per 1 euro balzerà a 120, 150, i salari saranno più bassi, persone e aziende che hanno preso crediti non potranno più pagarli, chi avrà dei risparmi cercherà di ritirarli il sistema collasserà per un paio di settimane e poi si tornerà a negoziare con i creditori stranieri per il ripagamento dei debiti. Questo è quello che succederà prima o poi”.

Quale può essere un meccanismo per evitarlo?

Da una parte va riformato l’ambiente economico per gli investimenti che è molto poco attraente rispetto a Ungheria, Bulgaria ma anche Croazia, dall’altra riformare il settore pubblico: lo Stato e le compagnie di proprietà dello stato ad oggi impiegano 450 mila persone, all’incirca il 25% della forza lavoro. Quindi sì una grossa parte del settore deve essere toccata dalle riforme, dalle aziende di stato alle municipalizzate.

Che sta succedendo con le privatizzazioni? I numeri dell’Agenzia per le privatizzazioni ci dicono che circa il 25 per cento dei contratti per la privatizzazione viene rescisso. Quanto ci ha guadagnato lo Stato fino ad ora?


Lo Stato dovrebbe averci guadagnato in tutto circa 7 miliardi di euro. Con la privatizzazione sono state vendute fabbriche già in bancarotta o che non hanno più mercato, mentre la de-nazionalizzazione non è regolata, esiste solo una bozza di legge. Inoltre oggi circa 200.000 lavoratori sono impiegati in fabbriche che sono in fallimento, la privatizzazione attraverso la liquidazione delle aziende non viene portata avanti perché si avrebbe solo l’aggiunta di altri 200.000 disoccupati in una situazione in cui la disoccupazione è già molto alta. Le cifre ufficiali parlano del 14,4 per cento (prevista 16,4% per il 2009) ma in realtà è almeno il doppio. Forse solo in Kosovo è più alta. Già in questo anno circa 130 e 150 mila persone hanno perso il lavoro, un 8% della forza lavoro, e l’anno prossimo sarà ancora peggio.

Cosa ne pensa dell’investimento Fiat in Serbia?

Guardandolo dal punto di vista serbo, diciamo che se hai 100 milioni e sei un investitore, non investiresti mai il tuo denaro privato là. Il governo è entrato nell’affare come atto disperato nella speranza che la Fiat possa rivitalizzare la produzione di qualcosa che è morto (la Fiat ha acquisito il 67% della Zastava il resto è dello Stato, la casa torinese dovrebbe investire 700 mln di euro mentre il governo ne ha messi sul piatto 200 mln ndr.). Ma a questo punto la crisi è arrivata e adesso nessuno sa esattamente che tipo di contratto leghi la Fiat a Kragujevac. La Fiat dice ufficialmente ‘ok noi siamo qui quando la situazione migliorerà saremo pronti’. Per ora producono 10 mila macchine all’anno che è una misura irrisoria per una fabbrica di automobili, è quasi nulla se si pensa che quella fabbrica ne produceva 300 mila negli anni Ottanta.

In qualche maniera la Fiat è presente. Dal lato italiano si aspetta che la situazione si chiarisca ma il mercato dell’auto è molto in crisi oggi, la Fiat non è nei guai come la General Motors o Volswagen ma anche loro sono colpiti dalla recessione. Con l’iniezione di nuova tecnologia e investimenti potrebbe diventare una normale fabbrica di auto con una produzione da 50 a 100 mila macchine l’anno.

Se ne è già parlato molto ma ci può dire qualcosa della vendita della NIS (Industria petrolifera serba)?

È stato un regalo alla Russia, al di là di ogni ragione politica perché il motivo era il sostegno al governo serbo per il Kosovo che è in sostanza perso. Senza contare che prima o poi per ottenere il riconoscimento dell’Abkhazia e dell’Ossezia i russi cambieranno la loro politica ma si terranno la NIS. Inoltre i russi hanno il monopolio per l’importazione di petrolio dalla NIS e quindi tutti le altre compagnie che operano nel settore fino al 2012 dovranno comprare da loro perché il 51% è loro.

Per quanto riguarda il gas la situazione non è migliore perché avremo sul nostro territorio un gasdotto di proprietà 100% russa, ci affidiamo totalmente alla Russia per il rifornimento e costruiremo un deposito per il gas a Banatski Dvor con un’azienda dove la maggioranza sarà sempre della Gazprom. Questo è un nonsense, dare via in maniera totale risorse strategiche ad un regime così potente. La Serbia dovrebbe andare insieme ad altri stati con il Nabucco, allo stesso tempo Bosnia Erzegovina Croazia, Serbia e Montenegro dovrebbero negoziare con l’Italia per un gasdotto che attraversi l’Adriatico per avere rifornimenti anche dal nord Africa come fa l’Italia.

Gli investimenti diretti dall'estero sono intorno al miliardo di euro...

Non sono allo stesso livello dei paesi vicini. Nei quindici anni passati c’era una grossa prosperità nei paesi occidentali grazie a politiche gonfiate dagli stati e parte della prosperità arrivava anche qui. Se uno poteva comprare una fabbrica di tabacco e avere anche il mercato già pronto, e infrastrutture già fatte, poteva essere conveniente. Quindi un certo numero di investitori è venuto, ma non abbastanza. Gli investimenti greenfield (costruzione di nuovi impianti) sono rimasti bassissimi al di sotto al 5 per cento del totale, che è un segnale della bassa qualità dell’ambiente economico.

Qual è l’influenza della corruzione in questo trend?

È importante, non tanto quanto in altri paesi come in Romania, ma influisce. Il problema è che a causa della corruzione non viene creato nessun nuovo profitto reale, in pratica si bruciano risorse che potrebbero essere reinvestite a fini produttivi. Per l’indicatore sulla corruzione di Transparency International siamo attorno al 83mo posto, ai livelli di Bosnia, Bulgaria, Macedonia, Montenegro e Croazia.
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