Ossessionato dai suoni, "una delle cose più importanti nella vita umana", rifugge la gabbia dei generi per creare una musica che fonde acustica ed elettronica. Nedim Zlatar, "in duo" con il suo alter-ego Edo K., è il protagonista del progetto Basheskia
Di Francesca Rolandi, Monika Piekarz e Andrea (Paco) Mariani
Qual è la storia di Basheskia?
Basheskia è un progetto musicale personale, iniziato nel 2000. Dopo la guerra non sono riuscito a trovare una band con cui suonare, cosi ho deciso di fare la mia musica, così come la immaginavo. Ho composto le mie prime canzoni, e nel 2004 ho fatto la prima registrazione, “Postcard from Sunny Neighbourhood”. Poi ho cominciato a lavorare al primo album, “23/23”, a cui hanno collaborato molti amici musicisti. Abbiamo cominciato a suonare dal vivo e ci siamo messi a lavorare ad un nuovo album, che non porterà solo il nome Basheskia ma Basheskia e Edward EQ, come un duo. “Basheskia” è un’antica parola per indicare un veterano di guerra e io l’ho usata perché è il mio soprannome da quando ero ragazzo; inoltre mi piace il suo significato, perché lo collego alla mia vita nel periodo post-bellico.
La descriverei come un non genere, come libertà per me stesso. Sono ossessionato dai suoni, credo che il suono sia una delle cose più importanti nella vita umana, per me è più forte di qualsiasi altra cosa. A causa di questa ossessione per i suoni, amo crearli. Spesso le persone mi chiedono perché scrivo in inglese i miei testi, ma nel nuovo album ci sono anche dei testi in tedesco e italiano. Semplicemente cerco un suono che si accordi alla musica, il significato e le parole sono secondarie. Cerco di essere anche il più universale possibile, perché credo che non solo la musica, ma l’arte in generale, siano migliori quanto più sono senza tempo e senza spazio. I miei testi sono astratti e non sono collegati ad una specifica situazione politica o sociale; cerco di essere atemporale.
Quali influenze ti hanno ispirato?
Tutte. Non rifuggo dalle influenze, amo tutta la buona musica. Non mi piace parlare di generi, per me c’è buona e cattiva musica, e la buona musica è quella che mi influenza.
Cosa pensi del concetto di cultura urbana?
Non mi piacciono queste definizioni. C’è qualcosa che stiamo combattendo tutti quanti ed è la non-cultura, pulp, e la cattiva musica, chiamala turbofolk o come vuoi. In ogni caso io non credo che l’“urbana kultura” esista come concetto, semmai esiste come idea.
Come vedi la scena musicale di oggi a Sarajevo?
Secondo me è molto povera. Sarajevo è una città che non dà alcun supporto per la scena musicale. Suono da 16 anni e non ho mai avuto uno spazio per provare per più di un mese. Non abbiamo un centro culturale in cui i musicisti possano suonare, non abbiamo club, non abbiamo spazi per concerti e nemmeno persone che sappiano promuoverli. Non ci sono tanti buoni musicisti perché gli adolescenti non hanno esperienze musicali, non vedono buoni concerti e non hanno possibilità di conoscere musica diversa, cosi i gruppi continuano a suonare punk rock o pop rock degli anni ‘ 80, della ex- Jugoslavia.
In che relazione sei con la tua città, Sarajevo?
Sono nato qui e non ho mai lasciato questa città per più di un mese. La connessione più forte è la guerra: sono rimasto qui durante tutti gli anni di assedio e avevo 15 anni quando è cominciata. Dopo la guerra sono caduto in depressione, volevo suonare ma non c’erano gli spazi, volevo viaggiare ma bisognava avere il visto, nulla era possibile. Ero molto frustrato, ma anche questa frustrazione fa parte della mia relazione con questa città, fatta di odio e amore insieme. Da un lato odio tutte queste cose brutte che mi sono successe e le relative conseguenze, ma dall’altro lato le amo, perché fanno di me ciò che sono, più umano e capace di apprezzare le cose positive. Posso vivere senza soldi, ma non posso vivere senza la musica e le persone di valore. Sarajevo sta diventando una città stressante, tutto soldi e business, ma resta la mia città e l’amo.
Spesso le persone si riferiscono agli anni ’80 come all’”età dell’oro” per la scena musicale jugoslava. Secondo te qual è oggi la relazione tra le ex repubbliche jugoslave dal punto di vista musicale?
Il problema è proprio quello a cui accennavo prima, la nostalgia della Jugoslavia in cui tutto era meraviglioso. Ma non sarà mai più così. Mi sembra stupido pensarla così, è controproducente, perchè guardare solo al passato blocca la scoperta delle novità; è come un pregiudizio per cui i fenomeni nuovi non saranno mai all’altezza di quelli vecchi.
Hai mai trasmesso un messaggio politico?
Le mie canzoni sono molto politiche, ma non si riferiscono ad una classe o generazione specifica. Quando parlo di bugie, mi riferisco ai politici. L’album nuovo è forse ancora più politico, ho perso il senso dell’umorismo e sono diventato serio.
Hai possibilità di suonare all’estero?
Si, gran parte dei concerti li abbiamo fatti fuori dalla Bosnia. Non siamo mai stati molto contenti delle nostre performance dal vivo, ora cerchiamo di lavorarci e migliorare. Finora abbiamo tenuto circa 20-30 concerti.
Nei tuoi album scopriamo una figura chiamata Edo K., chi è?
Edo K. è un personaggio mistico, il mio alter ego. È nato quando ho scritto la storia di un personaggio che confonde le realtà con il mondo dei sogni, che rifiuta il mondo reale, vive solo nel suo mondo immaginario. A volte anch’io ho questo rapporto con la mia musica, perchè mi connette con un altro mondo, che è migliore rispetto a questa realtà, perchè mi posso sentire libero. Uso questo personaggio perché credo che la musica da sola non mi basti per esprimere ciò che voglio. Ho realizzato anche dei video: i miei primi cinque video clip sono in realtà dei corti composti da 25 video. Credo che la musica non sia l’unico modo per dire qualcosa, mi piace anche scrivere e, in generale, creare.