Il punk-rock, si sa, non conosce confini nazionali. Con la loro musica, gli Ofsajd raggiungono non solo il pubblico della Bosnia, ma anche quello di Croazia, Serbia e Montenegro. Glisha, voce e chitarra, racconta le sue sonorità e lo stretto legame con Sarajevo
Di Francesca Rolandi, Monika Piekarz e Andrea (Paco) Mariani
Qual è la storia della vostra band?
Abbiamo iniziato circa 10 anni fa, ma ci conosciamo da molto tempo, dagli anni della scuola. Abbiamo imparato a suonare insieme. Anni fa abbiamo cominciato con il punk-rock, e dato che alla gente la nostra musica piace, continuiamo a suonarla! Per quanto riguarda le tournée, suoniamo soprattutto negli stati vicini. In questa regione, Sarajevo compresa, siamo conosciuti come una delle band punk rock della scena underground. Lo scorso anno abbiamo autoprodotto il nostro primo album, composto esclusivamente da pezzi nostri. Ma non è facile, tutti i componenti della band studiano e lavorano e quindi spesso non è semplice trovare il tempo per suonare.
Come descriveresti la scena musicale di Sarajevo e, più in generale, della Bosnia Erzegovina?
Non è una situazione semplice per le band underground. Non esistono molti spazi dove poter suonare musica punk-rock. Prima della guerra la situazione era molto diversa, migliore, ma oggi dobbiamo ricostruire una nuova scena alternativa. Anche per questo motivo noi, come progetto Ofsajd, suoniamo spesso all’estero, in Croazia, Serbia o Montenegro, perché lì oggi esiste un’ottima scena punk rock.
Da un punto di vista musicale, quali sono oggi i rapporti tra i paesi dell’ex-Jugoslavia?
Direi che esistono ottime relazioni tra i gruppi provenienti da questi paesi, per il semplice fatto che siamo cresciuti avendo come riferimento la stessa scena musicale: la scena jugoslava degli anni ‘80. Per gruppi come il nostro, legati inevitabilmente a quella scena del passato, non esistono confini nazionali.
Cosa pensi della scena musicale degli anni ’80? È stata davvero l’età dell’oro per la musica a Sarajevo?
Sì, ma bisogna tener presente che qui molte persone sono nostalgiche rispetto a quel periodo, perché allora si viveva meglio. Questa sensazione si riflette anche sulla percezione che oggi abbiamo di quella scena musicale. Una forma di nostalgia che non sempre aiuta a ricordare come davvero stavano le cose negli anni ‘80 in Jugoslavia.
Dal punto di vista musicale, sicuramente è stato un momento d’oro, con musicisti e band di enorme talento e capacità. In altre parole, era un’ottima situazione artistica, sicuramente migliore di quella odierna. Io credo che oggi Sarajevo abbia una buona scena underground, ma il vero problema è che tutti i nuovi gruppi emergenti hanno molte difficoltà, economiche e pratiche, per produrre la propria musica.
Pensi che ci sia una forte influenza degli anni ‘80 sulla scena musicale attuale?
Certamente. Ma questa influenza non vale per le nuove generazioni. Almeno non nella forma e nell’intensità con cui vale per le generazioni precedenti, che hanno le idee molto più chiare su cos'era Sarajevo prima della guerra, cos'è stata durante la guerra, e sulla vitalità culturale che l’ha attraversata nel periodo immediatamente successivo alla fine del conflitto. Questo stesso discorso vale per qualsiasi aspetto della vita sociale e culturale della città, quindi anche per la musica.
Cos'è successo alla scena musicale dopo la fine della guerra? Cos'è cambiato?
Sono cambiate molte cose. La società, i costumi e, di riflesso, anche la cultura. In particolare, nell’arco degli anni ‘90, molte persone sono scappate da questo paese e si sono rifugiate all’estero. Alcuni sono ritornati, altri ancora sono arrivati dalle campagne. Ciò ha inevitabilmente cambiato la mentalità, il senso comune di questa città.
Qual è il tuo rapporto con Sarajevo e la Bosnia Erzegovina?
Preferirei dirti che non ho un rapporto con questi luoghi, ma ti mentirei, perché sono nato e cresciuto qui. Ho vissuto la mia infanzia in questa città, ho vissuto la guerra. Non mi piace la strada che sta prendendo questo paese, qui sono poche le persone con cui mi sento davvero a mio agio e con cui sento di condividere qualcosa. Ma rimare pur sempre il mio paese, dove sono nato.
Come vedi la situazione delle band emergenti a Sarajevo? Viene data loro la possibilità di esprimersi attraverso la propria musica?
Non ci sono molte possibilità per i gruppi emergenti. Ci sono molte nuove band, specialmente nel punk, che suonano davvero bene, ma avrebbero bisogno di spazi e possibilità per esprimersi e produrre la propria musica, cosa che invece oggi manca a Sarajevo. Abbiamo molte band emergenti, ma si fa davvero fatica a sviluppare liberamente la propria arte e produrre un proprio album.
C’è un messaggio politico nella vostra musica?
Certamente. Ma non si esprime in modo diretto, perché non mi piace pensare che il mio gruppo esprima messaggi moralisti, indicando cosa è giusto o cosa è sbagliato, cosa funziona o non funziona nella nostra società. Preferiamo lanciare un messaggio più semplice e vicino alla gente. Non a caso il nostro album è completamente autoprodotto, senza passare per una grande casa discografica. Inoltre in internet è possibile scaricare gratuitamente i nostri brani; anche questo, secondo me, è un messaggio politico.
Dove suonate abitualmente?
Suoniamo spesso in piccoli club, come ad esempio il Fis Klub Bock a Sarajevo. Oppure, in estate, ai festival punk che si tengono in Bosnia Erzegovina.
Quali generi vi hanno influenzati? Provengono dall’estero o dal contesto locale?
La nostra musica è influenzata sia dalla vecchia scena punk-rock e new wave jugoslava, sia dalla scena punk inglese e americana. In sostanza è un mix tra sonorità jugoslave e occidentali.