La rivisitazione personale e poetica della guerra, senza mai esplicitare in quale parte del mondo essa si svolga, è il tema centrale del nuovo singolo di Nedim Zlatar, in arte Basheskia. Intervista con l’autore e videoclip animato. Riceviamo e pubblichiamo
Di Andrea “Paco” Mariani
È uscito da qualche settimana, disponibile on-line, il videoclip “A.I.M.”, preludio del nuovo attesissimo album del cantante e compositore sarajevese Nedim Zlatar, in arte Basheskia.
Basheskia, conferma il suo talento, a pieni voti, e s’impone nettamente, come un punto di riferimento della nuova scena musicale bosniaca.
“A.I.M.”, un pezzo semplicemente straordinario: un uso accurato e snello delle sonorità, in piena coerenza con l’album d’esordio “23/23”, del 2004. L’inconfondibile voce calda, pacata di Basheskia si mescola alla capacità di utilizzare, senza abusarne, delle influenze elettroniche che la nostra era digitale mette a disposizione.
“A.I.M.”, video interamente animato, dalle mani dei fumettisti bosniaci, Enis Čišić e Midhat Kapetanović, consolida definitivamente il sodalizio tra Basheskia e Edward EQ, cantate lirico del Teatro Nazionale di Sarajevo, con il quale ha prodotto ed elaborato il nuovo album, la cui uscita è prevista per l’autunno 2009.
Basheskia, col nuovo singolo, ci offre la sua rivisitazione personale e poetica della guerra, senza mai esplicitare in quale parte del mondo essa si svolga. In altre parole, è chiaro il tentativo di mostrare il concetto di conflitto violento, nella sua chiave di lettura generale, soffermandosi sulla tragedia umana che ne consegue e smascherando apertamente la linea di confine tra vittima e carnefice. Mettendo altresì vittima e carnefice sullo stesso piano, quello che ne emerge è una rappresentazione del disastro umano, che per certi aspetti è molto vicina alla chiave di lettura raccontata ne “La guerra di Piero”, di Fabrizio De Andrè.
La guerra è un tema ricorrente nella biografia personale di Nedim. Ha vissuto ininterrottamente a Sarajevo durante gli anni dell’assedio, e questo influenza tutt’oggi la sua carriera artistica e il taglio poetico che infonde ai testi delle sue canzoni.
Come nasce “AIM”? Da dove hai preso ispirazione per una canzone e un video così denso di significati simbolici?
Circa un anno fa, mentre lavoravo nel mio studio di registrazione, mi è capitato di vedere alcuni documentari su internet, che parlavano di Fallujah.
Nello specifico, mi colpì un’intervista a tre soldati americani di ritorno dall’Iraq, fatta pressappoco nello stesso periodo dell’ultimo grande massacro a Gaza.
Queste immagini, spesso molto cupe e tetre, mescolandosi con i personali ricordi dell’assedio della mia città natale, suscitarono in me una forte emozione, e sentii l’esigenza di scrivere una canzone sulla guerra. Una mia personale visione ed interpretazione del dramma umano che si consuma in quelle situazioni, cercando di addentrarmi nel perverso rapporto che si crea, per pochi istanti, tra chi premerà il grilletto di un fucile, e chi morirà ucciso dalla pallottola di quello stesso fucile.
Così mi venne l’idea di strutturare, sia la canzone, che il video stesso, in due parti, nelle due facce della medaglia: la vittima e il suo carnefice.
Mentre scrivevo la canzone, ho immaginato la scena nella mia testa: una sorta di dialogo tra un soldato e l’uomo che sta per uccidere.
Così, la prima parte della canzone, e del video, è raccontata dalla prospettiva del soldato armato. Un soldato terrorizzato, dal mondo grigio e funebre che lo circonda, e che nasconde la sua umana paura, con un falso atteggiamento aggressivo. Dopo aver premuto il grilletto del fucile, il soldato si trasforma in demone e vola nel cielo di una città distrutta.
La seconda parte della canzone è invece il punto di vista dell’uomo disarmato, un uomo che vive i suoi ultimi attimi di vita terrena, che guarda esterrefatto il mondo che anche lui stesso ha contribuito a distruggere. Ma il destino per lui ha una sorta di finale positivo: la morte dettata dall’esecuzione militare, lo trasformerà in spirito, e lentamente volerà verso l’universo.
Da dove nasce la scelta di creare un video totalmente fatto con disegni animati?
Ho realizzato che per creare un’idea del genere non fosse possibile farlo tramite un video con attori veri, così ho contattato il mio amico Enis Čišić, un fumettista che lavora per Fabrika, uno studio di produzione di video animazioni, al quale è piaciuta molto la mia proposta, ed è nato così un team di lavoro, includendo nel progetto un altro fumettista, Midhat Kapetanović, e Antonio Ilić, un ottimo video editor di Sarajevo.
Il team ha fatto un eccellente lavoro di realizzazione del videoclip, se teniamo anche presente che hanno tutti lavorato come volontari. Ci siamo trovati molto bene a lavorare insieme e stiamo già lavorando alla realizzazione di un secondo videoclip.
Il tema della guerra risulta essere centrale sia nel videoclip, che nel testo stesso della canzone. Puoi argomentare una scelta così netta?
È stato davvero molto importante trovarmi a lavorare su questo progetto con loro, non solo perché hanno realizzato un ottimo lavoro, ma anche e soprattutto perché ci siamo trovati molto in sintonia su come elaborare il messaggio che sta dietro questo video: tutto il nostro team di produzione ha vissuto la guerra degli anni ’90, e tutti eravamo rimasti a Sarajevo sotto l’assedio e le bombe. In qualche maniera, posso dire che la sinergia che si è creata all’interno del gruppo è legata al fatto che tutti noi volevamo dire la nostra opinione sulla guerra, dare la nostra visione di essa. Ognuno nel suo campo, chi con la voce, come il sottoscritto, e chi con l’arte della matita e del fumetto, volevamo consegnare alla gente la nostra visione, in qualche modo, poetica, della guerra, del concetto stesso di guerra.
Nel video appaiono spesso simboli religiosi, a cui va aggiunta la magistrale interpretazione di Edward EQ dell’ultimo verso della canzone, che se non sbaglio è un verso in latino, tratto dalla Bibbia. Perché accostare rimandi al sacro, in una canzone che parla di guerra?
Nel video usiamo molta simbologia e mitologia alchemica che non sono altro che radici filosofiche della simbologia religiosa: la circolarità della vita.
È anche per questo che abbiamo scelto di non chiarire nel video il luogo e il tempo dello scenario apocalittico, per meglio rappresentare lo scontro, in veste umana, tra il bene e il male.
Per quanto riguarda invece l’ultimo verso della canzone è realmente preso dalla Bibbia, (“Videns autem Deus, quod multa malitia hominum” – “E dio vide la cattiveria dell’uomo”).
Questa frase rappresenta l’essenza stessa dell’idea originaria della mia canzone: vittima e carnefice fanno parte di un’unica cornice, di un’unica umanità, troppo spesso impaurita e terrorizzata, che finisce per ammazzarsi da sola, scontrandosi violentemente con se stessa.
Ho scelto di inserire un rimando esplicito al sacro e all’aspetto religioso, in quanto sono fermamente convinto che la religione sia sempre stata, nella storia dell’uomo, la scusa più abusata tra tutte, per iniziare una guerra, e che, nel nome della religione, l’uomo ha inflitto a se stesso troppi danni, troppo dolore.
Traduzione del testo AIM:
“Con il fucile tra le mie mani, sto mirando alla tua testa.
Dovresti essere morto, noi non la pensiamo allo stesso modo.
Alza le mani in aria e non ti muovere,
non mostrarti dubbioso, sei sotto il mio tiro.
Con il fucile tra le tue mani, stai mirando alla mia testa.
Dovrei essere morto, ma mi sento come se lo fossi già.
Respiro un po’ di aria e non mi muovo,
non mostrarti dubbioso, sparami.
Trova il tuo scopo.
Trova il tuo scopo.
Trova il tuo scopo.