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Mattone facile

12.03.2009    Da Pristina, scrive V. Kasapolli
Pristina - di V. Kasapolli
Pristina è cresciuta dai 100mila abitanti del 1981 ai circa 500mila di oggi. La forte crescita demografica della città è stata connotata da una frenetica attività edilizia, portata avanti senza alcun piano urbanistico. Un modello che oggi solleva molte domande
Svelata a Pristina il 17 febbraio 2008, dopo la dichiarazione d’indipendenza dalla Serbia, la scritta “NEWBORN” a giganti lettere gialle è stata l’oggetto più fotografato dell’ultimo anno, trasformandosi presto nel simbolo della città. La scultura ha ricevuto svariati riconoscimenti internazionali ed è stata adottata dagli appassionati come un pezzo unico per concezione e design.

Tuttavia, se si dà un’occhiata a ciò che circonda l’installazione, collocata “temporaneamente” nel centro storico, la moltitudine di nuove costruzioni in rapida espansione non trasmette la stessa immagine di modernità. “Gli edifici di Pristina riflettono la frustrazione di architetti e costruttori”, afferma la designer urbana Eliza Hoxha in riferimento alle forme disorganizzate, ai colori insignificanti e alla pomposità di ogni grattacielo che si aggiunge al già caotico paesaggio urbano.

Questo fenomeno ha cominciato ad emergere con evidenza dopo la guerra del 1999: i costruttori, puntando all’incasso veloce e chiudendo un occhio sulle norme architettoniche, tendono a trascurare il design.

Eliza, 35 anni, è nata a Pristina e fa l’architetto. Pensa che ogni costruttore voglia mettersi in mostra attraverso dimensione, quantità o “bellezza” dell’edificio. “E le facciate che usano sono tremende, trasudano frustrazione.”

L’edilizia rimane l’investimento più ghiotto del paese: secondo le agenzie immobiliari, il prezzo delle case è più che raddoppiato dalla fine della guerra nel 1999, mentre quello dei terreni è quasi triplicato nello stesso periodo. Gli esperti considerano i prezzi completamente avulsi dalla qualità degli appartamenti: alcuni sostengono che l’interesse nel mattone riflette la domanda di nuove abitazioni, altri obiettano che il potere d’acquisto non è così alto.

La popolazione di Pristina è passata da poco più di 100mila abitanti nel 1981 all’attuale stima di mezzo milione, con l’aumento più forte dal 1999. Nonostante l’ultimo censimento ufficiale nel paese risalga al 1980, non c’è dubbio che Pristina sia avviata a diventare una metropoli; senza adeguate statistiche demografiche, tuttavia, è impossibile realizzare un’accurata pianificazione urbana.

La migliore prova del sovraffollamento della città sono le code infinite negli uffici pubblici, ormai un problema cronico per le autorità comunali. Ottenere un documento può dimostrarsi un’impresa – ore di coda, a volte giorni; la notizia della prossima apertura di diversi uffici comunali decentralizzati è stata un insperato sollievo per i cittadini. Tra le maggiori cause della situazione le carenze organizzative, ma alcuni sostengono anche che le attuali infrastrutture della città non potrebbero ospitare più di 400.000 abitanti.

In lotta contro la mentalità del passato

Centinaia di edifici di ogni altezza si ergono ogni giorno nella regione di Pristina, con o senza licenza. I funzionari comunali dedicati all’urbanistica, schierati in proporzioni lillipuziane rispetto al numero di costruzioni illegali, sono costantemente alle prese con centinaia di casi di abuso.

Secondo l’architetto Astrit Hajrullahu, ex funzionario del ministero dell’Ambiente e della Pianificazione Urbana, non c’è nessuna pianificazione edilizia in Kosovo, ci sono invece grossi problemi di programmazione e sviluppo. “Anche la legislazione è antiquata e andrebbe cambiata,” dice Hajrullahu, che confessa di essersi dovuto dimettere dopo un fallito tentativo di introdurre alcune norme a beneficio della comunità.

La maggioranza delle leggi che regolamentano edilizia e pianificazione urbana sono di fresca adozione da parte dell’Assemblea del Kosovo, in sostituzione del vecchio sistema legale. A queste norme, tuttavia, manca un coordinamento che permetta loro di funzionare. Secondo Hajrullahu, inoltre, non bastano le leggi per affrontare il complesso intreccio di pianificazione, licenze professionali e abusivismo. La nuova generazione di architetti sta cercando di coinvolgere cittadini e imprese, ma “alla fine nessun contributo emerso dai dibattiti pubblici viene preso in considerazione”.

La società kosovara ha difficoltà a comprendere il nuovo sviluppo urbano, ed Eliza Hoxha si prodiga a spiegarlo nel blog che pubblica in un quotidiano: “la pianificazione non è percepita come un processo inclusivo, è questo che mi ha spinta a rivolgermi direttamente al pubblico”, dice, aggiungendo poi che guerra e crisi hanno causato la mancanza di una cultura urbana, portando i cittadini ad alienarsi concettualmente dagli spazi pubblici. La pianificazione è un processo aperto che interessa cittadini, imprese e autorità, afferma Hoxha: “i cittadini devono convincersi che la città appartiene a loro, e che devono amarla”.

Se i “vecchi” cittadini non mostrano abbastanza sentimento per la propria città natale, il contrario si può dire di Alan Fox, imprenditore londinese che, insieme a un partner kosovaro, costruisce palazzi nella capitale. “Dal primo giorno mi sono innamorato di questo popolo e della vivacità di strade, locali e ristoranti, e ho deciso di fare qualcosa per queste persone, che meritano di meglio dei brutti edifici attuali.”

Con la sua “Chelsea Point”, afferma, sta introducendo una nuova mentalità edilizia. “I nostri metodi sono abbastanza lenti; costruiamo palazzi di soli due piani, e l’applicazione delle norme fa alzare il prezzo,” dice Fox, che incontra grossi problemi a convincere i muratori a indossare caschi protettivi, e in generale a rispettare le misure di sicurezza. La crisi finanziaria globale ha colpito – ma non fermato – il business; e nonostante la crisi, la diaspora albanese domina le liste degli acquirenti. “Il nostro target sono persone che hanno vissuto fuori dal Kosovo, sono abituate agli standard inglesi o tedeschi e li ricercano anche qui”.

La Chelsea Point assicura di aver pagato tutte le licenze, e vende appartamenti a 800/900 euro al metro quadro, un prezzo in linea con la media per le nuove costruzioni, che va da 800 a 1000 euro. Le case abusive sono però molto più economiche, e vanno dai 500 ai 700 euro.

Muhamet Gashi, portavoce del Consiglio Comunale di Pristina, dichiara che il Comune può garantire gli standard tecnici solo in presenza di una licenza. “Stiamo accordando le licenze a tutte le costruzioni che presentano i requisiti adeguati: le persone possono confidare nella qualità dei loro acquisti”. Tuttavia, i prezzi bassi praticati dalle imprese abusive continuano a conquistare clienti.

Al momento, molti imprenditori del settore operano senza alcuna formazione o competenza edilizia. Una pratica comune per gli abusivi è convincere i proprietari a lasciar demolire le proprie case in cambio di nuovi appartamenti; lo stesso schema si applica in seguito ai fornitori: ferro, cemento, mattoni, finestre e porte entrano a far parte dello scambio: beni contro appartamenti. Alla fine, Pristina si ritrova con l’ennesimo grattacielo abusivo.

Hajrullahu ritiene che i proprietari che accettano lo scambio hanno molto da perdere, data la scarsa qualità delle nuove costruzioni; sottolinea inoltre che la città e i suoi abitanti stanno perdendo un’occasione, poiché questi investimenti si riveleranno presto un errore, e rimpiange che i nuovi edifici progettati per ospitare le neonate istituzioni kosovare non stiano creando nuovi simboli riconoscibili dell’architettura della città.

Sembra che Pristina e il Kosovo dovranno tenersi stretta ancora un po’ la scultura “Newborn” come unico e isolato simbolo di un nuovo modello di sviluppo urbano.
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