Un punto di vista da Sarajevo sulla Turchia in rotta di avvicinamento a Bruxelles. La disamina dei luoghi comuni e dei passi fatti dalla Turchia, alcuni riferimenti storici, i cinque maggiori errori comuni sul conto della Turchia, il genocidio degli Armeni. Nostra traduzione dal settimanale sarajevese DANI
Di
Irham Čečo,
DANI, 23 dicembre 2004
Traduzione per Osservatorio sui Balcani:
Ivana Telebak
Davanti alla Turchia è rimasto un grande tratto di strada per arrivare ad essere membro dell’Unione europea, per giungere in quel luogo per il quale si “prenota” sin dal 1963, cioè da quando la Comunità economica europea stipulò l’accordo di associazione. Ma, è rimasto anche molto meno spazio ai difensori dello “status privilegiato”, inteso come arrogante surrogato dell’appartenenza a pieno diritto, per la quale da decenni la Turchia cerca disperatamente di lottare. Perché preso nella trappola degli stereotipi plasmati nei secoli sulla “minaccia musulmana”, e dalle vie traverse del suo del tutto rigido sistema politico, dove il putsch militare è stato per decenni la “panacea” di tutti i problemi, questo Paese non è riuscito a “certificare” la sua europeità.
Il premier turco Recep Tayyip Erdogan è rimasto soddisfatto della sua visita a Bruxelles, dove ha coronato lo sforzo che da molti anni porta avanti il suo governo, ma anche di tutte le precedenti amministrazioni, mirato all’avvicinamento ai severi e sempre più severi criteri europei. “Non abbiamo ottenuto tutto ciò che abbiamo chiesto, ma possiamo parlare di un successo. Abbiamo raggiunto il punto in cui la Turchia è stata premiata dei suoi 41 anni di sforzi”.
Il presidente della Commissione europea Jose Manuel Barroso ha dichiarato “L’Unione europea ha aperto la porta alla Turchia”. Ma resta ancora incerto se i Turchi riusciranno a passare, dopo tutti questi anni, proprio da quella porta.
Questo perché gli oppositori alla candidatura turca sono pur sempre forti, potenti e pronti a inventare nuove e svariate condizioni. La Turchia dal canto suo dovrà trovare un modo adeguato per riconoscere il governo greco di Cipro – tre decenni dopo che con un intervento militare ha “creato” a nord dell’isola una mini repubblica per i Turchi che vi abitano, e che erano minacciati di sterminio. Questo non sarà per niente facile, perché l’attuale potere di Nicosia è completamente orientato a destra ed è già parte dell’Unione europea – mentre i Turchi non sono mai scesi a compromessi su questa questione, benché la “Repubblica turca di Cipro del Nord” sia riconosciuta solo da loro.
Oltre a ciò, l’UE insiste che finalmente sia riconosciuto il genocidio degli Armeni, perpetrato all’inizio del ventesimo secolo – perlopiù grazie all’influenza della forte lobby della diaspora armena, facoltosa e ben piazzata. Di contro – alla fine, forse, farà i conti con un referendum in tutta l’Unione, col quale l’opinione pubblica di Paesi come la Francia deciderà infine se la Turchia entrerà nell’Unione oppure no! A questo riguardo gli argomenti sono del tutto ipocriti: la Turchia di Ataturk, diciamo, dieci anni prima della Francia, ha dato alle donne il diritto di voto – e adesso l’ex presidente francese e creatore della futura Costituzione dell’UE, l’ultraconservatore Valery Giscard d’Estaing punta il dito sulle “differenze culturali”…
Il conforto ai Turchi proviene da un versante del tutto inatteso: “l’America crede che, in quanto forza europea, la Turchia appartenga all’Unione europea… il vostro diventare membri sarebbe un passo in avanti cruciale per le relazioni tra il mondo islamico e l’Occidente, perché voi siete parte di entrambe le storie”, ha dichiarato in persona George W. Bush questa estate a Istambul! Jacques Chirac allora aveva dichiarato che ciò è rilevante tanto quanto la posizione della Francia nelle relazioni tra Washington e il Messico, ma è rimasto coerente nell’aiuto alla Turchia.
Muammer El Gheddafi, invece, ha denunciato l’avvicinamento della Turchia all’Unione europea come “il trionfo di Osama Bin Laden”, e la Turchia come “cavallo di Troia del fondamentalismo”. Chi ha ragione, sarà dimostrato nei colloqui che inizieranno il prossimo ottobre.
Ostacoli – I cinque maggiori luoghi comuni
1. La Turchia è troppo povera per l’UE
Certamente l’economia della Turchia è del tutto instabile – ma per l’UE non si tratta di una novità: decenni dopo l’accoglienza da parte dell’allora Unione europea, la Grecia l’Irlanda, il Portogallo e la Spagna rimangono note come le “quattro povere”. Al confronto la Romania e la Bulgaria, le quali apparterranno all’Unione a partire dal 2007, hanno un reddito di 1.100 e 1.400 dollari pro capite, mentre la Turchia gode di un modesto ma incomparabilmente più forte valore di 3.100 dollari!
2. La Turchia è la minaccia fondametalistica dell’Europa
Una visione miope, stereotipata ed errata, ma purtroppo diffusa, della Turchia: gli islamofobi vedono in questo paese una minaccia. Tuttavia, il secolarismo turco non è solo severamente controllato mediante il sistema politico del Paese – ma bensì anche profondamente radicato nella popolazione, fino al punto che persino i credenti non lo mettono in questione. A dire il vero, la mossa più decisiva e finale verso l’adempimento dei criteri dell’UE degli ultimi anni è stata portata avanti dall’amministrazione di Recep Tayyip Erdogan e dal suo filo-islamico Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP).
3. L’esplosione demografica della Turchia danneggerebbe l’equilibrio dell’Unione
Secondo alcune proiezioni demografiche, la Turchia entro il 2020 dovrebbe oltrepassare il numero di abitanti della Germania, e con ciò diventare ufficialmente il Paese più popoloso dell’UE, se vi entrerà. Ma secondo i dati a disposizione dell’ex ministro degli esteri della Turchia, Mesut Yilmaz, il tasso di natalità in Turchia è in drastico calo – il 2.3 nella scorsa decade, si è ridotto al 1.1 percento. Ma, nemmeno la Germania fino ad ora, grazie alla sua forza numerica, ha mai ottenuto un qualche tangibile guadagno politico, né tanto meno economico.
4. La Turchia non è Europa
Se il criterio è quello geografico, allora proprio non lo è: in tutto solo il tre percento di questo Stato è in Europa – benché, perlopiù a Istanbul viva il 20 percento dei suoi abitanti. “Non si deve prendere in considerazione la geografia fisica, ma quella culturale ed economica. In accordo con essa, nulla impedisce alla Turchia di stare tranquillamente nell’Unione europea”, afferma lo storico francese Stephane Yerasismos, specialista per il periodo dell’Impero ottomano. In verità, la Turchia dopo la Prima guerra mondiale e la rivoluzione di Ataturk si è fisicamente staccata dall’europa: ma le idee europee in essa sono cresciute più forti che mai.
5. I rapporti tra Turchia e Grecia sono un ostacolo all’adesione
La Turchia e la Grecia sono state spesso sull’orlo del conflitto armato, e nemmeno negli scontri diplomatici non si sono misurate le parole né i mezzi. Ma, se Cipro rimane il pomo della discordia, le tese relazioni fra i due stati confinanti sono in fase di miglioramento. I devastanti effetti causati dal terremoto del 1999 hanno, secondo alcune analisi, giocato un ruolo determinante: entrambi i Paesi in quel momento furono colpiti. Ed entrambi hanno offerto, senza calcoli di sorta, l’aiuto l’un l’altro. La “diplomazia del terremoto” ha influito sul miglioramento delle relazioni reciproche: questa estate come ospite d’onore alle nozze della figlia di Erdogan c’era il premier greco Kostas Karamanlis. E la Grecia, finalmente, ha appoggiato la candidatura della sua vicina.
Turchi e Armeni – Genocidio come chiunque altro
Il termine genocidio è stato coniato solo nel 1945, ma la sistematica persecuzione etnica, religiosa e/o politica di popolazioni “indesiderate” è una prassi ancora più vecchia. Così pure il sultano Abdul-Hamid, l’ultimo almeno un po’ positivo monarca ottomano, tra il 1894 e il 1896 su richiesta di maggiori diritti da parte degli Armeni, di contro gli inviò le truppe. Nella serie di persecuzioni e uccisioni persero la testa migliaia di Armeni. Ma il vero genocidio nei loro confronti fu perpetrato durante la Prima guerra mondiale.
A quel tempo i “giovani turchi”, durante il 1915 e il 1916, condussero un sistematico programma di uccisioni e deportazioni degli Armeni dai territori che oggi appartengono ad una parte della Repubblica Turca, così come dalla attuale Armenia, dove allora combatterono coi Russi. L’intento era di creare un ideale “Impero turco”. La “pulizia” degli Armeni proseguì fino al 1923, e si stima che abbia portato con sé oltre un milione di vite. La cifra più piccola che oggigiorno baratta il governo turco è di 600.000 persone. D’altra parte le unità che sterminarono gli Armeni, si chiamavano
briganti.