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Albania-UE: siglata la grande sfida

21.06.2006    scrive Indrit Maraku

Festeggia l’Albania per la firma dell’Accordo di associazione e stabilizzazione con l’UE, ma secondo gli analisti la vera sfida - attuare le necessarie riforme - è appena iniziata
Durante la firma dell'ASA, Berisha e Plassnik
Lo scorso 12 giugno l’Albania ha siglato a Lussemburgo l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione (Asa) con l’Unione europea, diventando così il terzo Paese dei Balcani occidentali ad impegnarsi con Bruxelles in profonde riforme, dopo la Croazia (attualmente Paese candidato all’adesione) e la Macedonia. La politica si è unita per un giorno ai festeggiamenti di ciò che è stato definito “un evento storico”, anche se l’UE ha subito messo in chiaro che d’ora in poi Tirana dovrà darsi parecchio da fare. I media locali invece si sono assunti il compito di spiegare alla popolazione, che ancora appare disorientata, i cambiamenti effettivi che comporta l’Asa.

Tre anni difficili

Ad aprire i negoziati con l’UE fu l’ex primo ministro socialista, Fatos Nano, nel gennaio 2003. Per tre lungi anni Bruxelles e Tirana hanno condotto le trattative, consumate in ben 18 round, fino allo scorso 8 febbraio, quando in seguito all’ultimo incontro nella capitale albanese i negoziati si dichiararono chiusi: a porre la firma preliminare questa volta c’era l’acerrimo nemico di Nano, l’attuale premier democratico Sali Berisha.

La vera cerimonia invece si è svolta lo scorso 12 giugno a Lussemburgo, a margine del Consiglio dei ministri degli Esteri dei 25 Paesi membri dell’UE. Questa volta il premier ha voluto con sé anche l’opposizione del centro sinistra, come segno di grande tolleranza politica, anche se una piccola vendetta personale non se l’è risparmiata: Berisha non ha invitato a far parte della delegazione albanese il leader dei socialisti, Edi Rama, limitandosi al suo vice, Pandeli Majko. Poco dopo mezzogiorno, il commissario UE per l’allargamento Olli Rehn, il ministro degli Esteri austriaco e presidente di turno dell’Unione Ursula Plassnik, e il primo ministro albanese Sali Berisha hanno firmato l’Accordo: un documento lungo più di 500 pagine piene di condizioni che i 25 Paesi membri hanno imposto a Tirana.

Nel suo discorso Berisha ha definito la firma dell’Asa “un grande passo verso la realizzazione del sogno [degli Albanesi] di ritornare nella loro famiglia europea. Ritornare, perché il secolo scorso ha riservato alla mia nazione disgregazioni ingiuste, occupazioni, razzismo, pulizia etnica e una feroce dittatura che la hanno totalmente isolata dall’Europa”.

Berisha, Solana, Plassnik e Rehn
“Sono consapevole – ha detto il premier albanese – che firmiamo questo Accordo mentre nella vostra memoria e in quella dei cittadini dei vostri Paesi si trovano ancora notizie, immagini ed eventi non piacevoli provenienti dall’Albania; e mentre la sindrome della stanchezza da allargamento dell’UE è una realtà. Ma io sono oggi qui per garantire a voi, ai vostri governi e alle vostre nazioni che la criminalità organizzata e il sistema della corruzione [in Albania] si stanno sgretolando rapidamente e che l’Albania sarà uno dei Paesi più sicuri nella regione [balcanica]”.

L’intera cerimonia è stata trasmessa in diretta da diverse emittenti televisive. Anche i deputati di entrambi gli schieramenti si sono uniti per seguirla nell’aula del Parlamento dove era stato posto appositamente un maxi schermo. In seguito, sempre insieme, hanno partecipato alla festa organizzata per l’occasione dal capo del Parlamento, Jozefina Topalli. Il Presidente della Repubblica, Alfred Moisiu, ha voluto invece fare il bis con una seconda festa organizzata il giorno dopo la firma, dove partecipava anche la delegazione albanese tornata da Lussemburgo.

La sfida inizia adesso

Ma se la politica “in festa” cercava di approfittare della grande attenzione mediatica per “vendere” l’evento come il frutto del loro lavoro, i media non si sono lasciati usare. La parola “traguardo” infatti è stata sostituita dai giornali con “inizio”: quasi tutti gli analisti intervenuti sull’argomento hanno cercato di mettere in guardia l’opinione pubblica e la politica stessa che la firma dell’Asa indica solo l’inizio di una strada tutta in salita per il Paese.

È toccato ai giornalisti spiegare all’opinione pubblica i veri cambiamenti che comporta l’Asa, a partire dalle imposte doganali che cessano di esistere immediatamente a quelle che entreranno in vigore più in là. Così, la gioia dei commercianti albanesi si traduce in un grattacapo per lo Stato nelle cui casse mancheranno nei prossimi mesi circa 60 milioni di dollari poiché l’83% degli articoli importati in Albania dai Paesi UE rientrano nella fascia a “dogana zero”.

Lunghe interviste dei “big” di Bruxelles, pubblicate dai giornali locali, hanno fatto un po’ da guastafeste ricordando ai politici albanesi che il documento firmato non è composto da elogi, anzi. “Con la sigla dell’Asa inizia la grande sfida per l’Albania. L’Accordo consiste in più di 500 pagine, fatte di regole e obblighi che l’Albania dovrà adempiere. Si devono fare riforme e si devono realizzare le priorità imposte dall’UE per trasformare lo stato albanese in uno stato moderno”, ha detto il capo della diplomazia austriaca Plassnik che ha anche la presidenza di turno dell’Unione.

Secondo Olli Rehn, il commissario UE per l’allargamento, Bruxelles si aspetta dalle autorità di Tirana la “messa in atto precisa, effettiva e senza errori di questo accordo”. D’ora in poi, per Rehn “l’Albania dovrà dare prove concrete dell’esecuzione dell’accordo, prima che si prenda in considerazione qualsiasi altro tipo di passo avanti del processo di adesione”.

Non solo champagne, quindi, per la delegazione albanese a Lussemburgo: i 25 Paesi membri sembrano aver seguito il motto “patti chiari, amicizia lunga” nel chiedere a Tirana profonde riforme a tutto campo, una rapida crescita economica, più rispetto per le istituzioni indipendenti (come la procura generale, con il cui capo Berisha è in aperto conflitto), la restituzione dei beni terrieri confiscati durante il comunismo, rispetto dei media e delle minoranze. Altro che solo lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, come ha tentato di far credere il premier.

In grosso ritardo

Più di 15 anni fa gli albanesi scendevano in piazza contro il comunismo gridando a squarciagola “Vogliamo l’Albania in Europa”. Da allora l’Europa è stato l’obiettivo maggiore di tutti i governi democratici che si sono susseguiti, ma nonostante ciò la classe politica locale non si è mostrata all’altezza e il “grande sogno” è continuato a rimanere lontano.

È un parere diffuso tra gli analisti albanesi che questo accordo si doveva siglare diversi anni fa. Secondo alcuni, ora l’Albania avrebbe potuto avere lo stesso status della Romania e della Bulgaria. Nel 1996, la rapida crescita economica aveva fatto sembrare l’adesione all’UE più vicina, ma le truffe finanziarie del 1997 e i disordini interni che seguirono fecero svanire le speranze. Si è dovuto aspettare fino al 2003 per aprire i negoziati e altri tre anni per concluderli.

Per tutto ciò l’Europa ha declinato ogni responsabilità. Secondo l’europarlamentare Doris Pack, l’UE ha aspettato a lungo che gli albanesi si dessero da fare. “Va bene aspettare, ma il tuo lavoro non lo possono fare gli altri. E gli albanesi devono fare il proprio lavoro. Forse c’è stato un ritardo e si è perso tanto tempo per via degli inutili dibattiti tra loro”, ha sintetizzato l’europarlamentare.

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