È una vittoria della giustizia dei Balcani, ma è stata poco celebrata: funzionari di Serbia, Bosnia e Croazia stanno condividendo informazioni e prove. Un articolo di Drago Hedl per IWPR
Di Drago Hedl* per IWPR (Tribunal Update), 23 giugno 2006 (tit. or.: "Regional Cooperation helps bring war criminals to justice")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Gaia Baracetti
La stampa ha dedicato scarsa attenzione ad un incontro a Belgrado, la scorsa settimana, tra il procuratore per i crimini di guerra serbo e il procuratore di stato bosniaco. Ma è un ulteriore segnale di un'importante tendenza nei Balcani: l'aumento della cooperazione negli ultimi anni tra funzionari di Serbia, Bosnia e Croazia, per la consegna alla giustizia di coloro che si macchiarono di crimini nei cruenti conflitti degli anni '90.
Fino a poco tempo fa, un tale lavoro di squadra tra questi ex nemici sarebbe stato impossibile. Nel passato, i procuratori di stato hanno fatto fatica ad accedere agli archivi di guerra degli altri stati, e i testimoni che si recavano nei paesi vicini per testimoniare subivano in alcuni casi maltrattamenti e umiliazioni da parte di nazionalisti del posto.
Oggi invece gli osservatori notano che la cooperazione regionale è diventata un pilastro della giustizia transizionale nei Balcani. La cooperazione di questo tipo tra Serbia e Croazia è fondata sugli accordi firmati nel 2001 e nel 2005, pensati per sostenere gli sforzi volti a contrastare il crimine organizzato e a punire i crimini di guerra.
Mentre il primo accordo delinea i principi base che governano la cooperazione tra i due paesi, il secondo stabilisce una struttura più precisa all'interno della quale procede la cooperazione. Nei termini fissati da questi accordi, Zagabria e Belgrado si impegnano a scambiarsi informazioni e altri documenti che possono aiutare nelle indagini sui crimini di guerra.
Dal momento che tanti accordi regionali sono falliti miseramente in passato, l'opinione generale era che questi segnali esteriori di collaborazione fossero poco più che una foglia di fico per accontentare la comunità internazionale. Questa impressione è stata rafforzata dalle circostanze che hanno portato alla stesura di un ulteriore accordo chiave tra Croazia e Serbia e Montenegro nel 2004, che prevedeva cooperazione diretta tra le rispettive procure. In questo caso, il documento ha visto la luce all'incontro di esperti sul lago Palic, sotto lo sguardo attento dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, l'OSCE.
Tuttavia, nonostante i dubbi, i funzionari e gli osservatori oggi sostengono che tutto questo lavoro ha portato a risultati notevoli. “Lo scopo principale di questi accordi era di assicurare una cooperazione veloce ed efficiente, specialmente nello scambio di intelligence, informazioni e documenti”, ha detto a IWPR Martina Mihordin, portavoce del procuratore generale croato Mladen Bajic. “Questi accordi hanno permesso agli uffici dei procuratori di lavorare assieme. I risultati che abbiamo raggiunto finora sono straordinari, e comunichiamo quotidianamente.”
Questo tipo di cooperazione ha giocato un ruolo importante nell'indagine croata sui presunti crimini di guerra commessi da combattenti croati contro i serbi nella città orientale di Osijek nel 1991. Nel novembre scorso, il procuratore del distretto di Osijek si è potuto recare a Belgrado per partecipare a udienze convocate per raccogliere prove da testimoni che ora vivono in Serbia, prove che potrebbero poi essere usate dai procuratori croati. I testimoni hanno deposto davanti a un giudice serbo, ma anche il procuratore di Osijek ha potuto fare loro domande.
“Senza questa cooperazione, sarebbe impossibile punire i crimini di guerra”, sostiene Ivo Josipovic, un professore di diritto dell'Università di Zagabria. “Si sa che spesso ci sono i testimoni in un paese e gli indagati e le prove in un altro. Quindi, senza il pieno appoggio dell'altro stato, che comprende lo scambio di informazioni e l'individuazione dei testimoni, non ci possono essere processi efficenti per crimini di guerra.”
Il che è apparso chiaramente nel processo in corso alla corte distrettuale di Vukovar contro 17 persone accusate di aver partecipato a un episodio nell'ottobre del 1991 che è considerato una delle peggiori atrocità commesse durante il conflitto in Croazia. Alcuni soldati dell'Armata Popolare Jugoslava, la JNA, sono accusati di aver costretto dei croati di Lovas a camminare in un campo minato, con il risultato che 21 persone sono morte e 14 sono rimaste ferite.
L'imputato principale, Milos Devetak, e alcuni degli altri imputati vivono fuori dalla Croazia, e il processo arranca, data la loro assenza. Inoltre, i procuratori croati sono stati costretti a procedere senza avere accesso agli archivi della JNA, che si trovano in Serbia. Il processo è al quarto anno e la preoccupazione è che, se va avanti così, non si arrivi a nessuna conclusione.
Ma l'anno scorso, alcuni procuratori serbi per i crimini di guerra sono intervenuti. Un esperto funzionario della corte di Vukovar ha detto a IWPR che si aspetta che la loro assistenza sarà molto preziosa. Un portavoce della procura per i crimini di guerra di Belgrado, Bruno Vekaric, conferma che la cooperazione è preziosa anche dal punto di vista serbo. “La corte per i crimini di guerra di Belgrado al momento ha in esame 20 cosiddetti 'casi regionali'”, spiega. “Molti sono il risultato della cooperazione tra Serbia e Croazia.”
Come primo esempio, cita i processi in cui un video è stato reso pubblico attraverso il Tribunale per l'ex-Jugoslavia all'Aia, l'ICTY, l'anno scorso, che sembra mostrare l'assassinio di sei Musulmani bosniaci di Srebrenica da parte di membri della tristemente nota unità paramilitare degli Scorpioni. Da quella volta, ex membri degli Scorpioni sono stati processati a Belgrado e a Zagabria.
Vekaric nota anche “una cooperazione molto ampia” in relazione agli ultimi processi in Croazia in cui degli ex poliziotti militari croati sono stati trovati colpevoli di violenze nei confronti dei detenuti nella prigione militare di Lora a Spalato nel 1992. La colpevolezza degli imputati è stata accertata dopo che la Corte Suprema croata ha capovolto la sentenza precedente, che li proscioglieva. I processi precedenti erano incorsi in una serie di gravi difficoltà - risolte dalla ripetizione del processo - tra cui la mancata disponibilità di testimoni serbi a venire a deporre.
Oltre alla cooperazione tra Belgrado e Zagabria, funzionari serbi e croati hanno anche stabilito buoni rapporti con l'ufficio del procuratore pubblico a Sarajevo, come hanno affermato rappresentanti della magistratura di tutti e tre i paesi.
Secondo un rapporto dell'Associated Press sull'incontro, tenutosi la settimana scorsa, tra il procuratore per i crimini di guerra serbo Vojislav Vukcevic e il procuratore di stato bosniaco Marinko Jurcevic, i due si sono trovati d'accordo sul fatto che la cooperazione in relazione alle indagini sui crimini di guerra rivesta un'importanza cruciale. L'ufficio di Vukcevic a quanto pare sostiene che Jurcevic si è detto soddisfatto degli sforzi fatti fino ad ora per lavorare insieme su casi “ad alto rischio” sia a Belgrado che a Sarajevo.
Il portavoce della procura dell'ICTY, Anton Nikiforov, ha confermato che la cooperazione è migliorata negli ultimi anni e ha raggiunto un livello a cui “secondo noi, è molto buona”. “In parte è merito nostro”, ha aggiunto, spiegando che i funzionari del Tribunale dell'Aja da tempo spingono per aumentare la cooperazione, invitando funzionari dei paesi del'ex-Jugoslavia a vari forum e, due anni fa, spingendoli ad aiutarsi a vicenda al di fuori del tribunale. Tuttavia, Nikiforov riconosce che ci sono ancora questioni da risolvere in questo ambito, come per esempio il rifiuto da parte di Serbia e Croazia in particolare di estradare i cittadini sospetti di crimini di guerra ai paesi vicini, dove verrebbero processati.
“Temiamo che ci saranno casi irrisolti se non vengono presi provvedimenti adeguati”, ha detto, aggiungendo che una possibile soluzione in situazioni simili è che il materiale relativo al caso sia trasferito al paese di cui l'individuo in questione è cittadino, così che lo/la stesso/a sia processato lì.
La cooperazione tra stati nel campo della giustizia nei Balcani non si limita alla condivisione di informazioni e prove a livello ufficiale. L'anno scorso, a Belgrado sono stati processati numerosi individui coinvolti nel tristemente noto massacro di persone prelevate dall'ospedale di Vukovar dalle truppe della JNA nel novembre del 1991. Grazie agli sforzi congiunti di ONG serbe e croate, i parenti delle vittime sono riusciti a raggiungere Belgrado per essere presenti ai processi. Con un gesto apprezzato dalla Croazia, il Fondo legale umanitario di Belgrado ha rimborsato loro il viaggio.
Inoltre, due gruppi di giornalisti serbi si sono recati in Croazia a maggio e a giugno di quest'anno per visitare gli uffici del pubblico procuratore e le corti locali, come quelle di Vukovar e Spalato, in cui si tengono i processi per crimini di guerra. Lo scopo di questi tour, uno dei quali è stato finanziato dall'OSCE, l'altro dall'ambasciata americana in Croazia, è stato di mostrare ai giornalisti come procede il processo di giustizia transizionale dall'altra parte del confine. Quest'autunno, di nuovo con il sostegno dell'OSCE, alcuni giornalisti croati faranno un viaggio simile in Serbia.
Drago Hedl è corrispondente di Osservatorio sui Balcani e collabora con IWPR da Osijek